commissariato, per una cosa del genere?

– A Bay City? E perche avrebbe dovuto? Be', grazie mille, signor Hicks. Andate lontano?

– No. Non molto lontano. Quel tanto che basta.

– In che traffico avete le mani? – gli domandai.

– Traffico? – Hicks pareva offeso.

– Sicuro. Con che sistema fregate il prossimo? Come la tirate a casa, la 'grana'?

– Vi siete sbagliato sul mio conto, figliolo. Sono un ottico in ritiro.

– Per questo tenete un'automatica calibro quarantacinque, la dentro? – domandai, indicando la valigia.

– Non c'e niente da dire per quella pistola – replico lui, acidamente.

– E in famiglia da anni. – Poso di nuovo lo sguardo sul mio biglietto da visita. – Investigatore privato, eh? – brontolo con aria pensosa. – Che tipo di lavoro svolgete, principalmente?

– Qualsiasi lavoro, pur che sia ragionevolmente onesto.

Hicks annui.

– 'Ragionevole' e una parola discutibile. E cosi pure 'onesto'.

Gli lanciai un'occhiata di traverso, greve di malignita.

– Quanto avete ragione! – esclamai. – Vediamo di trovarci, un bel pomeriggio tranquillo e discutiamone. – Gli sfilai il mio biglietto da visita di tra le dita e me lo ficcai in tasca. – Grazie per l'intervista.

Uscii, chiusi la porta e rimasi in ascolto. Non so che cosa mi aspettassi di udire. Ma, fosse quel che fosse, non l'udii. Avevo la sensazione che l'altro fosse rimasto esattamente dove l'avevo lasciato, con gli occhi fissi sul punto in cui avevo pronunziato la mia battuta d'uscita. Percorsi il vestibolo con un certo rumore, e mi fermai in capo alle scale.

Una macchina si avvio davanti alla casa e si allontano. In un punto imprecisato una porta si chiuse. Mi diressi in punta di piedi alla camera numero quindici e mi servii del passe-partout per entrare. Poi richiusi a chiave, senza rumore, e rimasi in attesa, vicino al battente.

CAPITOLO V

Meno di due minuti dopo George W. Hicks se ne ando per i fatti suoi. Se ne ando cosi quietamente che non l'avrei udito, se non fossi stato in ascolto aspettando appunto quello. Udii il lieve suono metallico della maniglia che girava. Poi qualche passo lento. Poi l'uscio che si chiudeva, molto delicatamente. I passi si allontanarono. Udii, a distanza, lo scricchiolio delle scale. Poi piu nulla. Aspettai il suono della porta di strada. Non venne. Uscii dal numero quindici e percorsi il vestibolo, diretto nuovamente alle scale.

Dal piano inferiore venne il cigolio d'una porta che si apriva, con estrema prudenza. Guardai giu e vidi Hicks entrare nell'appartamento del direttore. L'uscio si richiuse alle sue spalle. Aspettai di udire delle voci. Niente.

Mi strinsi nelle spalle e tornai alla camera quindici. Sul comodino c'era una piccola radio, di sotto al letto disfatto spuntava un paio di pantofole; un vecchio accappatoio era appeso all'avvolgibile verde, pieno di spiragli, per parare il riverbero del sole.

Esaminai tutto questo come se significasse qualcosa, poi uscii sul pianerottolo e richiusi la porta col passe- partout. Dopo di che feci un altro pellegrinaggio alla camera quattordici. Ora la porta non era piu chiusa a chiave. Perquisii il locale con meticolosa attenzione e non trovai nulla che avesse a che vedere con Orrin P. Quest. Non m'aspettavo di trovarlo. Non vi era ragione perche dovessi trovarlo. Ma bisogna sempre guardare.

Scesi a pianterreno, ascoltai dietro la porta del direttore e non udii nulla.

Entrai e andai a deporre le chiavi sulla scrivania. Lester B. Clausen giaceva di fianco, sul divano, col viso rivolto al muro: morto per il mondo. Perquisii la scrivania, trovai un vecchio mastro che pareva riguardare gli affitti ricevuti e le spese fatte e nient'altro. Sfogliai di nuovo il registro degli ospiti. Non era aggiornato ma il tipo che dormiva sul divano bastava a spiegare questa negligenza. Orrin P. Quest se ne era andato. Un'altra persona aveva occupato la stanza registrata a nome di Hicks. L'ometto che contava il danaro in cucina si intonava magnificamente col quartiere. Il fatto che girasse con una pistola e un pugnale in saccoccia era un'eccentricita mondana che non avrebbe causato alcun commento, in Idaho Street.

Presi la piccola guida telefonica di Bay City, che pendeva da un gancio, accanto alla scrivania. Pensavo che non sarebbe stato molto faticoso pescare l'individuo che si faceva chiamare 'dottore' o 'Vince' e aveva un numero di telefono che cominciava con uno-tre-cinque-sette-due. Innanzitutto sfogliai il registro degli ospiti. Una cosa che avrei dovuto fare prima. La pagina con la registrazione di Orrin P. Quest era stata strappata. Un tipo prudente, il signor George W. Hicks. Molto prudente.

Chiusi il registro, lanciai un'altra occhiata a Lester B. Clausen, arricciai il naso all'aria viziata, all'odore dolciastro e nauseante del gin e di svariate altre cose, e mi avviai alla porta d'ingresso. Come vi giunsi mi venne improvvisamente un'idea. Un ubriaco del tipo di Clausen avrebbe dovuto russare molto forte. Avrebbe dovuto russare da spellarsi la laringe, con un bell'assortimento di grugniti, gorgoglii e sbuffamenti. Invece non emetteva alcun suono. Aveva una coperta marrone dell'esercito avvolta intorno alle spalle e alla parte inferiore del capo. Sembrava molto tranquillo, molto a suo agio. Gli andai vicino, e guardai giu. Qualcosa che non era una piega della stoffa, fatta a caso, gli rialzava la coperta sul collo. Scostai un lembo della stoffa. Un'impugnatura quadrata di legno giallo sporgeva dalla nuca di Lester B. Clausen. Sul fianco dell'impugnatura una scritta diceva: Omaggio delle Ferramenta Crumsen e C. L'oggetto spuntava proprio sotto al rilievo occipitale.

Era il manico d'uno scalpello da ghiaccio.

Lasciai il quartiere guidando tranquillamente, a cinquanta all'ora. Ai margini della citta, mi chiusi in una cabina telefonica stradale e chiamai il comando di Polizia.

– Polizia di Bay City, parla Moot – annunzio una voce velata.

Io dissi:

– Idaho Street, numero quattrocentoquarantanove. Nell'appartamento del direttore. Si chiama Clausen.

– E con questo? – chiese la voce – Noi che si fa?

– Non saprei – risposi. – E un problema, per me. Ma l'uomo si chiama Lester B. Clausen. L'avete annotato?

– E perche e tanto importante? – domando la voce, senza alcun sospetto.

– Il giudice istruttore ci terra a saperlo – risposi e attaccai il ricevitore.

CAPITOLO VI

Ritornai a Hollywood e mi chiusi a chiave in ufficio con la guida telefonica di Bay City. Mi ci volle un quarto d'ora per scoprire che l'utente del numero uno-tre-cinque-sette-due a Bay City era un certo dottor Vincent Lagardie che si dichiarava neurologo e aveva abitazione e studio in Wyoming Street, una via che, secondo la mia mappa, non si trovava nel centro del quartiere piu aristocratico, ma non ne era completamente al di fuori.

Chiusi la guida di Bay City nella scrivania e scesi al bar dell'angolo per un panino imbottito e una tazza di caffe. Poi mi servii del telefono a gettone per chiamare il dottor Lagardie. Mi rispose una donna ed ebbi qualche difficolta, per comunicare col dottore in persona. Quando arrivo all'apparecchio era impaziente. Era molto occupato, mi disse, era nel bel mezzo d'una visita. Non ho mai conosciuto un medico che non lo fosse. Conosceva per caso un certo Lester B. Clausen? No. Non l'aveva mai sentito nominare.

Per quale ragione gli rivolgevo quella domanda?

– Il signor Clausen ha cercato di telefonarvi, questa mattina – spiegai.

– Ma era troppo ubriaco per parlare in maniera intelligibile.

– Ma io non conosco il signor Clausen – rispose la voce fredda del medico. Pareva che non avesse piu tanta premura, adesso.

– Tutto bene, allora – dichiarai. – Volevo solo assicurarmene. Qualcuno gli ha piantato uno scalpello da ghiaccio nel collo.

Vi fu una pausa di silenzio. La voce del dottor Lagardie era gentile, ora, quasi untuosa.

– Il fatto e stato denunziato alla polizia?

Вы читаете TROPPO TARDI
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×