vive solo potesse tenere cosi bene un appartamento?»
«Non sono sempre stato cosi», ho detto in tono di scusa. «Soltanto da quando mi sono trasferito qui. Era tutto in ordine quando sono venuto e non ho potuto fare a meno di tenerlo come si deve. Se qualcosa e fuori di posto, adesso, mi sento sconvolto.»
Lei e discesa dal davanzale della finestra per esplorare l’appartamento. «Ehi», ha domandato a un tratto, «le piace ballare? Sa…» Ha eseguito un passo complicato mentre canticchiava un ritmo dell’America Latina. «Se mi dice che balla, scoppio.»
«Soltanto il fox-trott», ho risposto, «e non sono molto bravo neppure in quello».
Ha alzato le spalle. «Vado matta per il ballo, ma nessuno di quelli che conosco e che mi piacciono sa ballare bene. Devo agghindarmi tutta, di tanto in tanto, e andare in centro nella sala da ballo Polvere di Stelle. Quasi tutti i tipi che la frequentano sono un po’ speciali, ma sanno ballare.»
Sospirando si e guardata intorno. «Le diro che cos’e che non mi va in una casa maledettamente ordinata come questa. In quanto pittrice… sono le linee a darmi ai nervi. Tutte le linee rette sulle pareti, negli angoli, sui pavimenti, che si trasformano in tante casse… come bare. Riesco a liberarmi delle casse in un solo modo, vuotando qualche bicchiere. Allora tutte le linee diventano ondulate e tortuose e il mondo intero mi sembra molto piu piacevole. Quando ogni cosa e diritta e allineata in questo modo divento morbosa. Auff! Se abitassi qui dovrei ubriacarmi continuamente.»
A un tratto ha girato sui tacchi voltandosi verso di me. «Senta, non potrebbe prestarmi cinque dollari fino al venti? E il giorno in cui mi arriva l’assegno degli alimenti. Di solito non resto a corto, ma la settimana scorsa ho avuto una grana.»
Prima che avessi potuto risponderle ha lanciato uno strillo e si e diretta verso il pianoforte nell’angolo. «Un tempo suonavo il piano. L’ho sentita strimpellare alcune volte e mi son detta, quel tipo e proprio bravo, accidenti. Ecco come ho saputo che desideravo conoscerla ancor prima di averla vista. Non suono piu da tanto di quel tempo stramaledetto.» Quando sono andato in cucina a fare il caffe stava suonacchiando sul pianoforte.
«Puo venire a esercitarsi quando vuole», le ho detto. Non so perche tutto a un tratto ero diventato cosi generoso con il mio appartamento, ma c’era qualcosa in lei che esigeva un assoluto altruismo. «Ancora non lascio aperta la porta di casa, ma la finestra non e chiusa, e quando io non sono in casa puo entrare passando per la scala antincendio. Latte e zucchero nel caffe?»
Poiche non rispondeva sono andato a guardare nel soggiorno. Non c’era, e mentre mi dirigevo verso la finestra ho udito la sua voce nella camera di Algernon.
«Ehi, che cos’e questo?» Stava esaminando il labirinto di plastica tridimensionale che avevo costruito. Lo ha studiato, poi si e lasciata sfuggire un altro strillo. «Scultura moderna! Tutta scatole e linee rette!»
«E uno speciale labirinto», ho spiegato. «Un complicato mezzo di apprendimento per Algernon.»
Ma lei gli stava girando intorno, entusiasmata. «Ne andranno pazzi al Museo d’Arte Moderna.»
«Non e una scultura», ho insistito. Ho aperto lo sportellino della gabbia di Algernon collegata al labirinto e l’ho fatto uscire.
«Dio mio!» ha bisbigliato lei. «Scultura con un
Ho cercato di spiegare, ma ha insistito nel dire che l’elemento vivo avrebbe reso storica quella scultura. Soltanto quando le ho veduto ridere gli occhi mi sono accorto che si stava burlando di me. «Potrebbe essere un’arte autoperpetuantesi», ha continuato, «una esperienza creativa per l’intenditore. Si procuri un altro topo e quando avranno i piccoli ne tenga sempre uno per riprodurre l’elemento vivo. Il suo capolavoro conseguira cosi l’immortalita e tutta la gente bene ne acquistera copie per potersene vantare. Come lo chiamera?»
«Va bene», ho sospirato. «Mi arrendo.»
«No», ha sbuffato lei dando un colpetto alla cupola di plastica dove Algernon aveva trovato la strada della scatola-meta. «
«Lei e matta!» ho esclamato.
«Naturale!» Ha piroettato su se stessa facendomi un inchino. «Mi stavo domandando quando se ne sarebbe accorto.»
In quel momento il caffe ha cominciato a bollire.
Dopo aver vuotato a mezzo la tazza ella ha sussultato e ha detto che doveva scappar via perche aveva un appuntamento mezz’ora prima con qualcuno conosciuto a una mostra d’arte.
«Voleva del denaro», le ho fatto osservare.
Ha allungato la mano verso il mio portafogli mezzo aperto e ne ha tolto una banconota da cinque dollari. «Fino alla prossima settimana», ha detto, «quando arrivera l’assegno. Grazie infinite». Ha appallottolato il denaro, ha soffiato un bacio verso Algernon e prima che mi fosse stato possibile aprir bocca era fuori della finestra sulla scala antincendio e scompariva. Sono rimasto li stupidamente a seguirla con lo sguardo.
E cosi attraente, accidenti. Cosi piena di vita e di entusiasmo. La sua voce, i suoi occhi… tutto di lei era un invito. E abita subito al di la della finestra e della scala antincendio.
Matt aveva parlato molte volte di una bottega tutta sua. Come odiava fare il commesso viaggiatore! Che battaglie v’erano state in proposito con mia madre! Rose strillava che quella del commesso viaggiatore era per lo meno un’occupazione dignitosa e che non avrebbe mai voluto un marito barbiere. Figurarsi, chissa come Margaret Phinney avrebbe deriso «la moglie del barbiere». E Lois Mainer, poi, il cui marito era agente della societa di assicurazioni Alarm? Le arie che si sarebbe data!
Durante gli anni in cui aveva fatto il commesso viaggiatore, odiando ogni giorno di quella sua esistenza (specie dopo aver visto la versione cinematografica di
Ero eccitato dal pensiero di rivederlo. I ricordi che avevo di lui erano piacevoli. Matt mi aveva sempre accettato com’ero. Prima di Norma, i litigi che non concernevano questioni di denaro o la necessita di far bella figura con i vicini concernevano me: mi si sarebbe dovuto lasciare in pace invece di spronarmi a fare quel che facevano gli altri bambini. E dopo Norma egli sosteneva sempre ch’io avevo il diritto di vivere la mia vita, anche se non ero come gli altri. Mi aveva sempre difeso. E adesso ero impaziente di vedere l’espressione della sua faccia; con lui avrei potuto dividere la mia felicita.
Wentworth Street era una parte povera del Bronx. Nelle vetrine di quasi tutti i negozi si vedeva il cartello «Affittasi», mentre altre botteghe rimanevano momentaneamente chiuse. Ma a meta isolato dopo la fermata dell’autobus, un’insegna di barbiere era illuminata da colonnine luminose.
La bottega era deserta, eccezion fatta per il barbiere che leggeva una rivista sulla poltrona piu vicina alla vetrina. Quando ha alzato gli occhi su di me ho riconosciuto subito Matt, tarchiato, con le gote accese, molto invecchiato e quasi calvo tranne una frangia di capelli grigi ai lati della testa, ma pur sempre Matt. Vedendomi sulla porta ha messo via la rivista.
«Non c’e da aspettare. La servo subito.»
Ho esitato e lui ha frainteso. «Di solito non lavoro a quest’ora. Avevo un appuntamento con uno dei miei clienti fissi ma non e venuto. Stavo per chiudere. E una fortuna per lei che mi sia messo a sedere per riposarmi i piedi. Il miglior taglio di capelli e la migliore rasatura del Bronx.»
Mentre mi lasciavo trascinare nella bottega si e dato da fare intorno a me tirando fuori forbici, pettini e una salvietta di bucato.
«Tutto igienico, come puo constatare, e la stessa cosa non si puo dire di quasi tutti i barbieri da queste parti. Barba e capelli?»
Mi sono sistemato sulla poltrona. Incredibile che non mi riconoscesse, mentre io lo ricordavo cosi bene.