arrivato senza carrozza.
— Un dottore senza carrozza, — essi dicevano, — e un dottore senza medicina.
Ma proprio in quel momento sbuco fuori don Prezzemolo, che come sapete si trovava sempre dappertutto e, tanto per dire il contrario degli altri, ordino che lo lasciassero passare.
Il dottor Marrone visito il malato di sotto e di sopra, gli guardo la lingua e gli occhi, gli tasto il polso, gli fece qualche domanda a bassa voce, poi si lavo le mani e disse soltanto:
— O che brutta malattia esser senza compagnia.
— Che cosa volete insinuare? — domando bruscamente il Cavalier Pomodoro.
— Io non insinuo nulla, io dico la verita, se la volete sentire. Questo ragazzo non ha nulla. Ha un po' di malinconia.
— Che malattia e? — domando Donna Prima che non l'aveva mai avuta. Donna Prima, infatti, aveva un debole per le malattie: quando ne sentiva nominare una nuova se la faceva subito venire per provarla. Del resto era tanto ricca che la spesa delle medicine non le importava nulla.
— Non e una malattia, signora Contessa. E' una tristezza. Il ragazzo ha bisogno di compagnia. Perche non lo mandate a giocare qualche volta con gli altri ragazzi?
Non l'avesse mai detto: si levo un coro di proteste. Il povero dottore fu coperto di insulti.
— Se ne vada, — ordino Pomodoro, — se ne vada prima che lo faccia cacciare fuori dai miei servi.
— E si vergogni — aggiunse Donna Seconda, — si vergogni di aver abusato della nostra fiducia. Lei si e introdotto nella nostra casa con l'inganno. Se io volessi potrei farla denunciare per violazione di domicilio: non e vero, avvocato?
E si volse per chiedere il parere del sor Pisello, che quando c'era bisogno di un suo parere era sempre presente.
— Certamente, signora Contessa.
E tratto il suo taccuino segno subito, nel conto delle Contesse del Ciliegio: «Parere circa la denuncia del dottor Marrone per violazione di domicilio, lire cinquantamila».
Avendo cosi guadagnato la sua giornata, si affretto a togliere l'incomodo.
Capitolo IX
Topo-in-capo perde il decoro, mentre esulta Pomodoro
Sarete certamente curiosi di avere notizie dei prigionieri, ossia del sor Zucchina, del professor Pero Pera, di Mastro Uvetta, della sora Zucca e degli altri abitanti del villaggio che Pomodoro aveva fatti arrestare e gettare nei sotterranei del Castello.
Per fortuna Pero Pera aveva portato quel pezzetto di candela, perche i sotterranei erano scuri scuri e pieni di topi. Per tenerli lontani il professore comincio a suonare il violino. Ma egli era di temperamento malinconico e suonava solamente canzoni tristi, che facevano venir voglia di piangere. Mastro Uvetta prego il professore di smetterla con quella lagna.
I topi, potete figurarvi, appena tornato il silenzio marciarono all'attacco su tre colonne. Il Topo-in-capo ordino la manovra:
— La prima colonna convergera da sinistra sulla candela e se ne impadronira. Ma guai a voi se la rovinate: i denti per il primo ce li devo mettere io che sono il generale. La seconda colonna marcera sul violino: e fatto con una mezza pera, e dev'essere squisito. La terza colonna avanzera frontalmente e avra il compito di distrarre il nemico.
I capitani delle tre colonne spiegarono il loro compito ai singoli topi di fanteria. Il Topo-in-capo prese posto sul carro armato, ossia su una vecchia tegola sbrecciata, adagiata sulla pancia di un topone che altri dieci topi tiravano per la coda. I trombettieri suonarono la carica e in pochi minuti la battaglia era decisa: Pero Pera riusci a salvare il violino, sollevandolo al di sopra della mischia, ma la candela fu espugnata e i nostri amici rimasero al buio.
II sor Zucchina non si dava pace:
— Tutto per colpa mia!
— E perche mai sarebbe colpa vostra? — borbotto Mastro Uvetta.
— Se io non mi fossi ostinato a voler quella casa, non ci troveremmo nei guai.
— Ma state un po' zitto, — esclamo la sora Zucca. — Non siete mica voi che ci avete messo in prigione.
— Io sono vecchio, che cosa me ne faccio di una casa— piagnucolava Zucchina. — Posso andare ad abitare sotto una panchina ai giardini pubblici, la non daro fastidio a nessuno. Amici, per favore, chiamate le guardie e dite loro che regalero la casina a Pomodoro e gli diro anche dove puo andarla a prendere.
— Tu non gli dirai un bel niente, — sbotto Mastro Uvetta. Il professor Pero Pera pizzico tristemente una corda del suo violino:
— Si metterebbe nei pasticci anche il sor Mirtillo.
— Sst! — fece la sora Zucca, — niente nomi. Qui anche i muri hanno orecchie.
Si guardavano in giro, spaventati, ma senza la candela era cosi buio che non poterono vedere se la prigione avesse davvero le orecchie.
E invece le aveva. Ne aveva uno solo, per la verita: un orecchio rotondo, dal quale partiva un tubo, una specie di telefono segreto, che portava tutte le parole che si dicevano in cella dritto dritto nella camera del Cavalier Pomodoro. Per fortuna in quel momento Pomodoro non era in ascolto, perche aveva troppo da fare al capezzale di Ciliegino.
Nel silenzio che segui, si sentirono degli squilli di tromba. I topi tornavano all'attacco, piu che mai decisi a conquistare il violino di Pero Pera.
Per spaventarli, il professore si accinse a suonare: appoggio lo strumento alla spalla, brandi l'archetto con aria ispirata e tutti trattennero il fiato. Lo tennero per un bel pezzo, ma poi lo lasciarono e si decisero a respirare, perche dallo strumento non usciva alcun suono.
— Qualcosa che non va? — domando Mastro Uvetta.
— I topi mi hanno mangiato l'archetto, — esclamo Pero Pera con le lacrime in gola.
L'avevano rosicchiato quasi tutto, lasciandone soltanto pochi centimetri. Senza archetto non si poteva far musica e l'esercito dei topi avanzava, lanciando terribili strida di guerra.
— Tutto per colpa mia, — sospirava il sor Zucchina.
— Smettetela di sospirare e dateci una mano, — ordino Mastro Uvetta, — o piuttosto, dal momento che sospirate cosi bene, provatevi anche a miagolare.
— Ho proprio voglia di miagolare, — si lamento Zucchina. — Mi meraviglio di voi che siete una persona seria e vi mettete a scherzare in questa situazione.
Mastro Uvetta non gli rispose nemmeno e accenno un miagolio cosi bene imitato che l'esercito dei topi si arresto.
— Miao, miao, — miagolava ii ciabattino.
— Miao, miao, — gli faceva eco il professore, senza cessare di piangere per la fine ingloriosa del suo archetto.
— Per la venerata memoria di mio nonno Topazzo Terzo, re di tutte le cantine e di tutte le fogne: qui c'e un gatto, — esclamo il Topo-in-capo, frenando bruscamente il carro armato.
— Generale, siamo stati traditi, — grido uno dei tre capitani giungendo di corsa. — Le mie truppe hanno avvistato una colonna di gatti soriani, armati di baffi e di artigli.
Le sue truppe non avevano visto un bel niente. Avevano solamente avuto paura, ma la paura fa vedere