con un ultimo sospiro e ando a riposarsi di tante emozioni a casa della sora Zucca, che era sua nipote.
Cipollino, Fagiolino e il professore si diressero verso il bosco, spingendo il carretto senza nemmeno fare troppa fatica: la casetta non pesava piu di una gabbia per i passeri.
Il sor Mirtillo abitava in un riccio di castagna dell'anno prima: un bel riccio grosso e spinoso, dove il sor Mirtillo ci stava comodissimo, lui e le sue ricchezze, che consistevano in una mezza forbice, una lametta per la barba, un ago con una gugliata di cotone e una crosta di formaggio.
Appena ebbe sentito la proposta si spavento moltissimo: l'idea di abitare in una casa cosi grande gli dava i brividi.
— Non accettero mai, non e possibile. Che cosa me ne laccio di un palazzo come quello? Io sto bene nel mio riccio. Sapete come dice il proverbio? Sto nel mio riccio e non me ne impiccio.
Pero quando ebbe sentito che si trattava di fare un piacere al sor Zucchina, accetto di buon cuore:
— Ho sempre avuto simpatia per quell'ometto. Una volta l'ho avvisato che un bruco gli camminava sulla schiena: capirete, gli ho quasi salvato la vita.
La casina fu sistemata accanto al tronco di una quercia: Cipollino, Fagiolino e Pero Pera aiutarono il sor Mirtillo a trasportarvi tutte le sue ricchezze, poi se ne andarono, promettendogli di tornare presto con buone notizie.
Appena rimasto solo, il sor Mirtillo comincio ad aver paura dei ladri.
— Adesso che ho una grande casa, — si diceva, — verranno certamente a derubarmi. Chissa, forse mi ammazzeranno nel sonno, sospettando che io nasconda chissa quali tesori.
Pensa e pensa, decise di mettere un campanello sulla porta e sotto il campanello un cartellino sul quale scrisse, in stampatello, queste parole:
I SIGNORI LADRI SONO PREGATI DI SUONARE QUESTO CAMPANELLO.
SARANNO FATTI ACCOMODARE E VEDRANNO CON I LORO OCCHI CHE QUI NON C'E NIENTE DA RUBARE.
Una volta scritto il cartello, si senti piu tranquillo e, essendo gia il a montato il sole, ando a dormire.
Verso la mezzanotte fu svegliato da una scampanellata.
— Chi va la? — domando, affacciandosi al finestrino.
— Siamo i ladri, — rispose un vocione.
— Vengo subito, abbiano pazienza che mi infilo la vestaglia, — fece il sor Mirtillo, premuroso.
Si infilo la vestaglia, ando ad aprire la porta e li invito a guardare in tutta la casa. I ladri erano due giganti grandi e grossi, con certe barbacce scure che facevano paura. Cacciarono la testa in casa — uno per volta, per non darsi le zuccate— e si convinsero presto che non c'era niente da portar via.
— Avete visto, signori? Avete visto? — gongolava il sor Mirtillo, fregandosi le mani.
— Gia… gia… — grugnirono i due ladri, piuttosto scontenti.
— Dispiace anche a me, mi credano, — continuo Mirtillo. Intanto, se posso favorirli in qualche cosa… Vogliono farsi la barba? Ho una lametta, qui. Un po' vecchia, si capisce: e un'eredita del mio bisnonno. Ma credo che tagli ancora.
I due ladri accettarono. Si tagliarono alla meglio la barba con la lametta arrugginita e se ne andarono, con molti ringraziamenti. In fondo erano due brave persone: chissa perche facevano il ladro di mestiere!
II sor Mirtillo torno a letto e si riaddormento.
Verso le due di notte fu svegliato una seconda volta da una scampanellata. C'erano altri due ladri, e lui li fece entrare: a turno, si capisce, per non sfondare la casa. Questi non avevano la barba, pero uno di loro aveva perso tutti i bottoni della giacca: il sor Mirtillo gli regalo l'ago e il filo e gli raccomando di guardare sempre per terra quando andava in giro.
— Sapete, a guardare in terra si trovano tanti bottoni, — spiego.
E anche quei ladri se ne andarono per i fatti loro.
Cosi ogni notte il sor Mirtillo era svegliato dai ladri, che suonavano il campanello, gli facevano una visita e se ne andavano senza bottino, ma contenti di aver conosciuto una persona tanto gentile.
Capitolo VI
II barone Melarancia, con Fagiolone porta-pancia
E' tempo ormai che diamo un'occhiata al Castello delle Contesse del Ciliegio, le quali, come avrete gia capito, erano le padrone di tutto il villaggio, delle case, della terra, della chiesa e del campanile.
Il giorno che Cipollino fece trasportare nel bosco la casa del sor Zucchina, al castello c'era una gran confusione, perche erano arrivati i parenti.
Ne erano arrivati esattamente due: il barone Melarancia e il duchino Mandarino. Il barone Melarancia era cugino del povero marito di Donna Prima. Il duchino Mandarino, invece, era cugino del povero marito di Donna Seconda. Il barone Melarancia aveva una pancia fuori del comune: cosa logica, del resto, perche non faceva altro che mangiare dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, frenando le mascelle solo qualche oretta per fare un pisolino.
Quando era giovane, il barone Melarancia dormiva tutta la notte, per digerire quello che aveva mangiato di giorno, ma poi si era detto:
— Dormire e tutto tempo perso: mentre dormo, infatti, non posso mangiare.
E cosi aveva deciso di mangiare anche di notte e di ridurre a un'ora il tempo destinato alla digestione. Da tutti i suoi possedimenti, che erano molti e sparsi in tutta la provincia, partivano continuamente carovane cariche di cibarie di ogni genere per saziare la sua fame. I poveri contadini non sapevano piu cosa mandargli: uova, polli e tacchini, ovini, bovini e suini, frutta, latte e latticini, il barone mangiava tutto quanto in un momento. Aveva due servitori incaricati di ficcargli in bocca quel che arrivava, e altri due che davano il cambio ai primi quando erano stanchi.
Alla fine i contadini gli mandarono a dire che non c'era piu niente da mangiare.
— Mandatemi gli alberi! — ordino il barone.
I contadini gli mandarono gli alberi, e lui mangio anche quelli, con le foglie e le radici, intingendoli crudi nell'olio e nel sale.
Quando ebbe finito gli alberi, comincio a vendere le sue terre e con il ricavato comprava altra roba mangereccia. Quando ebbe venduto le terre e fu diventato povero in canna, scrisse una lettera alla Contessa Donna Prima e si fece invitare al Castello.
Donna Seconda, a dire la verita non era tanto contenta:
— Il barone dara fondo alle nostre ricchezze: si mangera il nostro castello fino ai comignoli.
Donna Prima comincio a piangere:
— Tu non vuoi ricevere i miei parenti. Povero baroncino, tu non gli vuoi bene.
— D'accordo, — disse allora Donna Seconda — invita pure il barone. Io invitero il duchino Mandarino, cugino del mio povero marito.
— Invitalo pure, — rispose sprezzante Donna Prima, — quello non mangia nemmeno quanto un pulcino. Il tuo povero marito, pace al suo nocciolo, aveva parenti piccoli e magri, che quasi non si vedono a occhio nudo. Il mio povero marito invece, pace al suo nocciolone, aveva parenti grandi e grossi, visibili a grande distanza.
Il barone Melarancia era davvero visibile a grande distanza: a distanza di un chilometro si poteva scambiarlo per una collina.
Si dovette subito provvedere per un aiutante che lo aiutasse a portare la pancia, perche da solo non ce la faceva piu. Pomodoro mando a chiamare il cenciaiolo del paese, ossia Fagiolone, perche portasse il suo carretto. Fagiolone non trovo il carretto, perche lo aveva preso suo figlio Fagiolino, come sapete, e cosi si porto dietro una