Questi costituivano lo stimolo, un tempo; ma ora non piu. Neppure la prospettiva di un accrescimento di potere lo allettava un gran che. A dispetto delle teorie comuni, Chalk aveva conseguito un grado di potere sufficiente e, se fosse stato certo di poter conservare quel che aveva, sarebbe anche stato disposto a cessare di espanderlo. Ma un’altra cosa, piu intima, guidava ora le sue decisioni. Quando l’amore del denaro e l’amore del potere si sono saziati, rimane sempre l’amore dell’amore. Chalk non trovava l’amore la dove gli altri possono trovarlo; ma aveva anche lui i suoi bisogni. Forse Minner Burris e Lona Kelvin avrebbero potuto appagarli. Catalisi. Sinergia. Poi, si vedra.
Chiuse gli occhi.
Vide se stesso, galleggiante nudo in un mare verde azzurro. Alte onde gli schiaffeggiavano i fianchi bianchi e lisci. La sua gran massa si muoveva agevolmente, perche li era senza peso, sostenuta in seno all’oceano, con le ossa che una volta tanto non si flettevano sotto la forza di gravita. Li Chalk era rapido.
Volteggiava avanti e indietro, sfoggiando la sua agilita nell’acqua. Scherzavano intorno a lui le lampughe, i cefalopodi, i marlin. Al suo fianco si muoveva la massa verticale, stupida e solenne di un ortagorisco, il pesce luna che, quanto a mole, non e cosa da poco, neanche lui, eppure sembrava un’inezia accanto alla sua candida immensita.
Chalk vide delle imbarcazioni sull’orizzonte. Uomini che si avvicinavano, ergendosi, truci. Era lui, adesso, la preda. Rise con riso tonante. All’avvicinarsi delle imbarcazioni, si volto e nuoto verso di loro, provocandoli, invitandoli a fare il peggio. Stava affiorando, con bianchi bagliori nella luce del mezzodi. Falde d’acqua grondavano a cascata dal suo dorso.
Ora le imbarcazioni erano vicine. Chalk giro su se stesso. Le pale di una coda potente frustarono l’acqua. Un’imbarcazione rimbalzo in aria, frantumata, rovesciando nella spuma il suo carico gesticolante di uomini. Un impeto muscolare lo allontano dai suoi inseguitori. Soffio fuori un grande zampillo, per celebrare il suo trionfo. Poi si immerse, sprofondando gioiosamente verso l’abisso e in pochi istanti la sua bianchezza svani nel regno in cui la luce non penetra mai.
6
Madre, pieta, lasciami morire
— Dovresti uscire dalla tua stanza — suggeri dolcemente l’apparizione. — Mostrarti al mondo. Affrontarlo a testa alta. Non c’e nulla da temere.
Burris gemette: — Ancora tu! Ma mi vuoi lasciare in pace?
— Come potrei mai lasciarti? — chiese il suo doppio.
Burris cerco di fissare lo sguardo negli strati di tenebre che si andavano addensando. Quel giorno aveva mangiato tre volte, quindi poteva darsi che fosse notte; non lo sapeva e, comunque, non gliene importava niente. Una fessura lucente gli forniva qualsiasi cibo chiedesse. Quelli che gli avevano riorganizzato il corpo avevano migliorato il suo sistema digestivo senza introdurvi mutamenti radicali. Non era un favore grandissimo; ma egli poteva ancora nutrirsi con alimenti terrestri. Gli enzimi, lo sapeva il cielo da dove venissero; ma erano gli stessi. Pepsina, ptialina, tutta la diligente tribu. Ma, dell’intestino tenue, che ne era stato? Dov’erano finiti il duodeno, l’intestino tenue secondo e l’ileo? Che cosa aveva sostituito il mesenterio e il peritoneo? Tutti andati, spariti; ma in qualche modo gli enzimi facevano il loro lavoro. Cosi avevano detto i medici terrestri che lo avevano esaminato. Burris sentiva che morivano dalla voglia di dissezionarlo per conoscere in modo piu particolareggiato i suoi segreti.
Pazienza, un po’ di pazienza, che diamine. Quel momento sarebbe arrivato. Ma a suo tempo!
E il fantasma della felicita passata non voleva eclissarsi.
— Guarda un po’ che faccia hai — disse Burris. — Come si muovono stupidamente le tue palpebre. In su, in giu, apri, strizza, apri. Che occhi volgari! Hai il naso che ti manda in gola quel che non dovrebbe. Riconosco che, rispetto a te, rappresento un notevole miglioramento.
— Certo. Percio ti dico: esci e fatti ammirare dall’umanita.
— Quando mai l’umanita ha ammirato un esemplare perfezionato di se stessa? Forse che il pitecantropo si e prosternato al primo uomo di Neanderthal? E questi ha acclamato il cro-magnon?
— Paragone inadatto: non hai superato gli altri con l’evoluzione, Minner. Ti ha cambiato un intervento estraneo. Gli altri non hanno motivo di odiarti per cio che sei.
— Non occorre che mi odino. Basta che stiano a fissarmi con tanto d’occhi. Inoltre, sto male. E piu facile restarmene qui.
— Il tuo male e davvero cosi difficile da sopportare?
— Mi sto abituando — disse Burris. — Pero ogni movimento e una trafittura. Quegli Esseri erano solo allo stadio sperimentale. Hanno fatto i loro piccoli sbagli. Prendi, per esempio, quella camera supplementare del cuore: a ogni sua contrazione, me la sento in gola. E queste mie budella lucenti e permeabili: passano il cibo e io ho dei dolori. Dovrei uccidermi. E la migliore liberazione.
— Cerca conforto nella letteratura — consiglio l’apparizione. — Leggi. Un tempo leggevi. Eri assai istruito, Minner. Tremila anni di letteratura a disposizione. Parecchie lingue diverse. Omero. Chaucer. Shakespeare.
Burris guardo il viso sereno dell’uomo che era stato. Recito: —
— «Madre, pieta, lasciami morire.» Finisci la strofa.
— Il resto non e pertinente.
— Finiscilo lo stesso.
Burris disse: —
— Muori, allora — disse blandamente il fantasma. — «Per riscattare dall’inferno Adamo e gli uomini perduti.» Altrimenti, vivi. Di’ un po’, Minner, ti prendi forse per Gesu?
— Egli pati per mano di stranieri.
— Per redimerli. Andrai a Manipol e morirai sulla soglia di quegli Esseri, per redimerli?
Burris alzo le spalle. — Non sono un redentore. Sono io che ho bisogno di essere redento. Sono ridotto male.
— Ricominci a piagnucolare? «Figlio, vedo il tuo corpo appeso, il tuo petto, le tue mani, i tuoi piedi trafitti…»
Burris fece un viso arcigno. Il suo nuovo viso andava benissimo per l’aria arcigna: le labbra si arricciavano in fuori, come un diaframma a iride quando si apre, scoprendo lo steccato regolarmente intervallato dei denti indistruttibili. — Che vuoi da me? — chiese.
— Tu, piuttosto, che vuoi?
— Spogliarmi di questa carne. Riavere il mio corpo di un tempo.
— Cioe, un miracolo. E vuoi che il miracolo ti accada fra queste quattro mura?
— Un posto come un altro. Che ne vale un altro.
— No. Va’ fuori. Chiedi aiuto.
— Fuori, ci sono stato. Mi hanno palpato e punzecchiato. Non aiutato. Che dovrei fare? Vendermi a un museo? Vattene, fantasma della malora! Via! Via!
— Il tuo redentore vive — disse l’apparizione.
— Dammi l’indirizzo.
Non ebbe risposta. Fissava una ragnatela di tenebre. Nella camera, il silenzio faceva le fusa. Burris, senti pulsare l’irrequietezza. Il suo corpo di adesso era concepito in modo da conservare la buona forma fisica nonostante la totale mancanza di esercizio: un corpo perfetto per un viaggiatore dello spazio. Adatto a vagare di stella in stella e sopportare il silenzio all’infinito.
Era capitato cosi, a Manipol. Se l’era trovato sulla sua strada. Fra le stelle l’uomo era un nuovo venuto, che si era lasciato da poco alle spalle i suoi pianeti. La fuori non si poteva mai sapere che cosa si sarebbe trovato o che cosa ti sarebbe capitato. Burris aveva avuto fortuna: era sopravvissuto. Gli altri giacevano in tombe felici sotto un sole screziato. Malcondotto e Prolisse, i due italiani, non erano usciti vivi dal tavolo chirurgico. Erano stati la prova generale per lui, capolavoro di Manipol. Burris aveva veduto Malcondotto morto, dopo che avevano smesso di manipolarlo: riposava in pace. Sembrava cosi tranquillo, ammesso che un mostro possa sembrar tranquillo, sia pure