Un rombo di tuono, un’implosione di luce e un attimo di totale incertezza fisica durante il quale perfino le pareti sembrarono ripiegarsi su se stesse. Trymon udi un suono strozzato e poi un grosso tonfo.

A un tratto nella stanza si fece il silenzio.

Dopo qualche minuto Trymon striscio fuori da sotto una poltrona e si spazzolo la polvere di dosso. Fischiettando poche note di un motivetto, si volto verso la porta con una cautela esagerata, fissando il soffitto come se non lo avesse mai visto. Da come si muoveva, si sarebbe detto stesse cercando di battere il record mondiale di velocita dell’andatura disinvolta.

Il Bagaglio si acquatto nel centro del circolo e apri il coperchio.

Trymon si fermo. Si giro con grande, grande precauzione, temendo cosa avrebbe visto.

Il Bagaglio conteneva della biancheria di bucato, lievemente odorosa di lavanda. Era in qualche modo la cosa piu terrificante che il mago avesse mai visto.

— Be’, ehm, non avresti visto per caso un altro mago da queste parti? — domando.

Il Bagaglio riusci ad assumere un aspetto ancora piu minaccioso.

— Oh! — esclamo Trymon. — Be’, ottimo. Non importa.

Si tiro con gesto vago l’orlo della tunica e si mise a guardare con interesse la cucitura. Quando, poco dopo, alzo gli occhi, l’orribile cassa era ancora li.

— Addio — disse il mago e corse via. Gli riusci di passare la porta giusto in tempo.

— Scuotivento?

Scuotivento apri gli occhi. Senza grandi vantaggi. Perche, invece di non vedere altro che nero assoluto, adesso non vedeva altro che bianco assoluto. Il che, sorprendentemente, era peggio.

— Ti senti bene?

— No.

— Ah.

Scuotivento si mise a sedere. Si trovava su un masso chiazzato di neve, ma non sembrava proprio come avrebbe dovuto essere un masso. Per esempio, non avrebbe dovuto muoversi.

Intorno a lui turbinava la neve. A qualche centimetro da lui, sedeva Duefiori con un’espressione sinceramente preoccupata.

Scuotivento ebbe un gemito. Le sue ossa erano molto arrabbiate per il trattamento appena ricevuto e facevano la coda per lamentarsene.

— Che c’e? — chiese all’amico.

— Sai che quando stavamo volando e mi preoccupavo che andassimo a sbattere contro qualcosa nella tormenta e tu hai detto che a questa altezza l’unica cosa contro cui potessimo urtare era una nuvola imbottita di rocce?

— Be’?

— Come facevi a saperlo?

Scuotivento si guardo intorno. Ma, quanto a varieta e interesse della scena che lo circondava, avrebbero potuto benissimo trovarsi nell’interno di una pallina da pingpong.

Sotto a lui la roccia stava… be’, stava dondolando. Ci passo sopra le mani e senti le tacche prodotte da uno scalpello. Accosto l’orecchio alla pietra fredda e umida e gli sembro di udire un battito sordo e lento. Striscio in avanti fino al bordo e si sporse con cautela a guardare.

In quel momento il masso doveva passare sopra un varco nelle nuvole, perche il mago ebbe una rapida visione, orribilmente distante, di picchi montagnosi frastagliati. Erano scesi di un bel po’.

Emise un suono strozzato e si ritiro adagio.

Si rivolse a Duefiori: — E ridicolo. Le rocce non possono volare. E una cosa risaputa.

— Forse lo farebbero se potessero — osservo l’ometto. — Forse questa qui ha scoperto come si fa.

— Speriamo soltanto che non se lo scordi — fu il commento di Scuotivento. Si rannicchio nella sua tunica fradicia e contemplo con aria cupa le nuvole intorno a lui. Immaginava che da qualche parte ci fosse gente che teneva la sua vita sotto controllo. Persone che si alzavano al mattino e andavano a letto la sera con la ragionevole certezza di non precipitare dall’Orlo del mondo o di essere attaccate da lunatici o di risvegliarsi sopra un masso con idee di grandezza. Ricordava vagamente che una volta anche lui conduceva quel genere di vita.

Annuso l’aria. Dalla roccia veniva un odore di frittura. L’odore, che pareva provenire da una certa distanza piu avanti, costituiva un forte richiamo per il suo stomaco.

— Tu senti un odore? — domando.

— Credo che sia bacon — rispose Duefiori.

— Spero che sia bacon, perche me lo mangero. — Scuotivento si mise in piedi sul masso ondeggiante e avanzo trotterellando dentro la cortina di nuvole, cercando di vedere qualcosa in quella massa umida.

Vicino al bordo, sulla parte anteriore del masso, un piccolo druido sedeva a gambe incrociate davanti a un focherello. La testa coperta da un quadrato di tela impermeabilizzata, annodato sotto il mento, sfrugolava un tocco di bacon in una padella con un falcetto ornamentale.

— Ehm — fece Scuotivento. Il druido alzo gli occhi e lascio cadere la padella nel fuoco. Balzo in piedi e brandi il falcetto con aria aggressiva, o almeno aggressiva quanto puo apparirlo uno acconciato in una lunga camicia da notte bianca e bagnata e un copricapo gocciolante.

— Vi avverto, non saro tenero con dei dirottatori — li minaccio e starnuti violentemente.

— Ti aiuteremo — disse Scuotivento con un’occhiata piena di desiderio al bacon che si bruciava. A quelle parole il druido sembro sconcertato. Con sorpresa del mago, era molto giovane. Scuotivento supponeva che, in teoria, dovessero esistere cose quali giovani druidi. Solo che lui non se li era mai immaginati.

— Non state tentando di rubare il masso? — domando il druido e abbasso di un millimetro il suo falcetto.

— Non sapevo nemmeno che i massi si potessero rubare — disse stancamente Scuotivento.

— Scusami — intervenne in tono cortese Duefiori. — Mi pare che la tua colazione vada a fuoco.

Il druido abbasso gli occhi e prese senza molto successo a battere con la mano le fiamme. Il mago si precipito ad aiutarlo, ci furono molto fumo, cenere e confusione. Ma alla fine riuscirono a salvare qualche pezzetto di bacon sbruciacchiato. Un trionfo per i due, che riusci piu utile di un intero trattato di diplomazia.

— Come siete arrivati qui? — chiese il druido. — Siamo a piu di quindicimila metri di altezza, a meno che non mi sia sbagliato di nuovo con i calcoli.

Il mago cerco di non pensare all’altezza. — Possiamo dire di essere capitati qui mentre passavamo — spiego.

— Durante il tragitto verso terra — aggiunse Duefiori.

— Solo che questa tua roccia ha interrotto la nostra caduta — disse ancora Scuotivento (con la schiena che protestava). — Grazie — aggiunse.

— Credevo che ci fossimo imbattuti in una turbolenza, poco fa — disse il druido che, come risulto, si chiamava Belafon. — Dovevate essere voi. — Rabbrividi. — Ormai deve essere mattina. Al diavolo le regole. Adesso ci solleviamo. Reggetevi.

— A che cosa? — chiese Scuotivento.

— Be’, mostrate soltanto la vostra riluttanza a cadere — rispose Belafon. Estrasse dalla sua tunica un grosso pendolo di ferro e lo fece oscillare sopra il fuoco in una serie di movimenti sconcertanti.

Intorno a loro le nubi schioccavano, ci fu un orribile senso di pesantezza e d’improvviso il masso emerse alla luce del sole.

Prosegui in linea orizzontale qualche centimetro al di sopra delle nuvole, in un cielo freddo ma di un limpido azzurro. Le nuvole che la notte scorsa erano sembrate glacialmente distanti e orribilmente viscide quella mattina, erano adesso un lanoso tappeto bianco, che si stendeva in tutte le direzioni, dal quale spuntavano come isole i picchi delle montagne. Il vento suscitato dal passaggio del masso scolpiva le nubi in mulinelli passeggeri. Il masso…

Era lungo circa dieci metri e largo tre, e azzurrognolo.

— Che panorama straordinario — esclamo Duefiori con gli occhi che gli brillavano.

— Uhm, cos’e che ci sostiene in aria? — chiese il mago.

— La persuasione — rispose Belafon e intanto si strizzava l’orlo della tunica.

— Ah — fu il saggio commento di Scuotivento.

— Mantenerli in aria e facile — affermo il druido. Alzo il pollice e socchiudendo gli occhi guardo, a braccio teso, una montagna lontana. — La parte difficile e l’atterraggio.

— Non lo penserai davvero, no? — disse Duefiori.

— La persuasione e cio che tiene insieme l’intero universo — asseri Belafon. — Non e bene affermare che e tutto opera della magia.

Scuotivento diede per caso un’occhiata attraverso lo strato di nubi e vide in basso a grande distanza un paesaggio coperto di neve. Sapeva di essere in presenza di un pazzo, ma a questo era abituato. Se ascoltare quello stesso pazzo voleva dire restare in equilibrio lassu, lui era tutto orecchie.

Belafon si sedette con i piedi dondolanti fuori dall’orlo della roccia.

— Ascolta, non ti preoccupare — gli consiglio. — Se continui a pensare che questo masso non dovrebbe volare, lui potrebbe sentirti e persuadersene. E tu ti ritroveresti ad avere ragione, okay? E evidente che tu non sei aggiornato sul pensiero moderno.

— Cosi sembra — convenne debolmente il mago. Si sforzava di non pensare alle rocce sul terreno. Ma alle rocce che volteggiavano come le rondini, sorvolavano a balzi i paesaggi nella pura gioia della levita, sfrecciavano su nel cielo in…

Ma si rendeva conto con orrore che la sua immaginazione non era un granche.

I druidi del Disco erano fieri del loro approccio progressista alla scoperta dei misteri dell’Universo. Naturalmente, come tutti i druidi, essi credevano nell’essenziale unita di ogni forma di vita, nel potere curativo delle piante, nel ritmo naturale delle stagioni. E nel bruciare vivo chiunque non si avvicinasse a tutto questo nella giusta disposizione d’animo. Ma essi avevano anche riflettuto a lungo sull’origine stessa della creazione e avevano formulato la teoria seguente:

L’universo, sostenevano, dipendeva per il suo funzionamento dall’equilibrio di quattro forze da loro identificate come incanto, persuasione, incertezza e audacia priva di scrupoli.

Era cosi che il sole e la luna descrivevano un’orbita intorno al Disco perche erano persuasi di non precipitare giu, ma non volavano via a causa dell’incertezza. L’incanto faceva si che gli alberi crescessero e l’audacia li teneva in piedi. E cosi via.

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