fare.

— Almeno dobbiamo liberare la fanciulla — dichiaro l’ometto.

— Va bene, ma sbrighiamoci!

Afferrato il coltello, Duefiori corse all’altare. Dopo vari tentativi maldestri, riusci a tagliare le corde che legavano la ragazza, la quale si tiro su a sedere e scoppio in lacrime.

— Va tutto bene… — comincio l’ometto.

— Bene un corno! — sbotto lei, lanciandogli un’occhiataccia. Aveva gli occhi arrossati. — Perche la gente deve impicciarsi e rovinare tutto? — Si soffio il naso, risentita, con l’orlo della tunica.

Duefiori, imbarazzato, alzo gli occhi sull’amico.

— Uhm — disse — non credo che tu comprenda bene. Voglio dire, ti abbiamo appena salvata da morte certa.

— Non e facile da queste parti — disse lei. — Cioe, mantenersi… — arrossi e cincischio nervosamente l’orlo della tunica. — Cioe, essere… non lasciarsi… non perdere le proprie qualifiche…

— Qualifiche? — chiese Duefiori. guadagnandosi la Coppa Scuotivento per la persona piu lenta di comprendonio dell’intero multiverso. La ragazza strinse gli occhi.

— A quest’ora potevo trovarmi lassu con la Dea Madre a bere idromele in un boccale d’argento — disse petulante. — Otto anni passati a rimanere a casa il sabato sera buttati al vento!

Fisso Scuotivento con un cipiglio.

Il mago senti qualcosa. Forse un passo appena udito alle sue spalle, forse un movimento riflesso negli occhi di lei… ma si butto a terra.

Qualcosa sibilo nell’aria dov’era stato il suo collo e sorvolo la testa pelata di Duefiori. Scuotivento si giro di scatto e vide l’arcidruido prepararsi a sferrare un altro fendente con la sua falce. Non avendo la minima speranza di potere scappare, allungo violentemente un piede in avanti.

Il calcio prese con precisione il druido sulla rotula. L’uomo urlo e lascio andare la sua arma, per poi cadere subito dopo in avanti. Alle sue spalle, l’ometto dalla lunga barba gli sfilo la spada dal corpo, la puli con una manciata di neve e disse: — La mia lombaggine mi fa vedere le stelle. Potete portare voi il tesoro.

— Tesoro? — ripete debolmente Scuotivento.

— Tutte le collane e altra roba. Tutti i monili d’oro. Ne hanno un sciacco. Quando sci disce i preti… Chi e la ragazza?

— Non vuole che la liberiamo — disse Scuotivento.

La ragazza lancio al vecchio un’occhiata di sfida attraverso il mascara scolato.

— Cazzate — esclamo il vecchietto e con un solo movimento la prese su, barcollo un po’, grido per l’artrite e cadde a faccia avanti.

Dopo un attimo disse, sempre prono: — Non stare li impalata, cretina, aiutami ad alzarmi. — Con grande sorpresa di Scuotivento e quasi certamente della ragazza stessa, lei ubbidi.

Il mago, intanto, cercava di fare alzare Duefiori. Aveva sulla tempia un solco che non sembrava troppo profondo, ma l’ometto aveva perso conoscenza, un sorriso vagamente preoccupato stampato sulla faccia, il respiro debole e… strano.

E pareva leggero. Non semplicemente sottopeso, ma senza peso. Era come se il mago tenesse un’ombra.

Ricordo che si diceva che i druidi usassero strani e terribili veleni. Naturalmente, si diceva pure (di solito erano sempre le stesse persone) che gli imbroglioni avessero gli occhi ravvicinati, che il fulmine non colpisce mai due volte nello stesso posto e che se gli dei avessero voluto che gli uomini volassero, li avrebbero forniti di un biglietto aereo. Ma c’era un certo che nella leggerezza dell’amico che spaventava Scuotivento. Lo spaventava terribilmente.

Alzo gli occhi sulla ragazza. Questa si era messa il vecchio in spalla e rivolse al mago un sorrisetto di scusa. Da qualche parte, all’altezza dei reni della fanciulla, una voce disse: — Prescio tutto? Andiamoscene di qui prima che quelli tornino.

Scuotivento si mise l’amico sotto un braccio e trotterello appresso a loro. Sembrava l’unica cosa da farsi.

In un burrone, a qualche distanza dai cerchi delle pietre, il vecchio aveva un grande cavallo bianco legato a un albero morto. L’animale aveva il mantello liscio e lucente e l’effetto generale di un superbo destriero da battaglia era solo vagamente rovinato dalla ciambella per emorroidi legata alla sella.

— Okay, mettimi giu. Sc’e una bottiglia di linimento nella sciacca della scella, se non ti dispiace…

Scuotivento appoggio il piu delicatamente possibile l’amico contro il tronco di un albero e alla luce della luna (nonche, noto, alla debole luce rossa della nuova stella minacciosa) ebbe per la prima volta l’occasione di guardare bene il suo salvatore.

L’uomo aveva un occhio solo, l’altro era coperto da una benda nera. Il corpo sottile era pieno di cicatrici e tormentato, di solito, dalla tendinite. I suoi denti avevano evidentemente deciso di abbandonarlo da un bel pezzo.

— Chi sei? — domando.

Gli rispose la ragazza: — Bethan. — Massaggiava la schiena del vecchio con un unguento verde puzzolente. Aveva l’aria di una che, pregata di immaginare quali avvenimenti l’attendessero dopo essere stata liberata dal verginale sacrificio da un eroe dal bianco destriero, probabilmente non avrebbe menzionato il linimento. Ma che, essendo il linimento cio che dopo tutto l’attendeva, era decisa a mostrare di saperci fare.

— Io volevo dire lui — replico Scuotivento.

Un occhio lucente come una stella lo fisso.

— Cohen e il mio nome, ragazzo. — Le mani di Bethan si fermarono.

— Cohen? — chiese. — Cohen il Barbaro?

— Lui shtesso.

— Piantala, piantala — esclamo il mago. — Cohen e un tipo grande e grosso, il collo come quello di un toro, muscoli pettorali come un sacco di palloni da football. Voglio dire, lui e il piu grande eroe del Disco, divenuto gia leggendario in vita. Ricordo che il mio nonnino mi diceva di averlo visto… il mio nonnino mi diceva… Il mio nonnino…

S’impappino sotto quello sguardo che lo trapassava. — Oh! Oh, certo. Scusami.

Cohen sospiro. — Sci. Proprio cosci, ragazzo. E da una vita che sciono una leggenda.

— Perdinci! — esclamo Scuotivento. — Quanti anni hai di preciso?

— Ottantascette.

— Ma tu eri il piu grande! — disse Bethan. — I bardi ancora cantano di te.

Cohen scrollo le spalle e il dolore lo fece gridare.

— Niente royalties per me. — Il vecchio fisso gli occhi sulla neve con aria imbronciata. — Questa e la saga della mia vita. Ottanta anni nella mia professione e che mi resta per dimostrarlo? Mal di schiena, emorroidi, cattiva digestione e scento riscette di minestre. Minestre! Odio le minestre!

Bethan aggrotto la fronte. Minestre?

— Gia, minestre — confermo Cohen con aria infelice. — Sciono i denti, vedi. Nessuno ti prende sul scerio, quando non hai piu denti, ti dicono 'Sciedi vicino al fuoco, nonnetto, e mangia un po’ di mine…'. — S’interruppe per guardare il mago. — La tua e una brutta tosce, ragazzo.

Scuotivento distolse gli occhi, incapace di guardare Bethan in faccia. Poi gli si strinse il cuore: Duefiori, appoggiato all’albero, era sempre svenuto, con un’espressione di rimprovero sul viso per quanto gli era consentita nelle circostanze.

Anche Cohen si ricordo di lui. Si alzo in piedi a fatica e gli si avvicino con passo strascicato. Gli sollevo le palpebre, esamino la ferita sulla fronte, gli senti il polso.

— E andato — sentenzio.

— Morto? — Nella mente combattuta del mago, una dozzina di emozioni si levarono in piedi e cominciarono a gridare. Il Sollievo aveva la meglio, quando s’intromise lo Shock e poi lo Sbalordimento, il Terrore e la Perdita si misero a battagliare e la smisero solo quando dalla porta accanto entro di soppiatto la Vergogna a vedere che diavolo succedeva.

— No — rispose pensieroso Cohen — non esattamente. Soltanto… andato.

— Andato dove?

— Non lo so. Ma credo di sapere chi potrebbe avere una mappa.

Lontano sulla distesa di neve dei puntini rossi brillavano nell’ombra.

— Non e molto distante — asseri il mago che guidava il gruppetto, guardando in una piccola sfera di cristallo.

Dalla schiera dei compagni dietro a lui si levo un borbottio per significare che, per quanto distante fosse Scuotivento, non poteva essere piu lontano di un bel bagno caldo, un buon pasto e un comodo letto.

Il mago che chiudeva la marcia si fermo e disse: — Ascoltate!

Ascoltarono. Si udivano i sottili rumori dell’inverno che cominciava a stringere la terra nella sua morsa, uno scricchiolio di rocce, lo scalpiccio soffocato di piccole creature nei loro cunicoli sotto il mantello di neve. In una foresta lontano un lupo ululo, si senti imbarazzato quando nessuno si uni a lui, e smise. C’era anche il suono argenteo, simile a nevischio, della luce lunare. E anche l’ansimare di una mezza dozzina di maghi che si sforzavano di respirare piano.

— Non sento un bel niente… — comincio uno.

— Ssst!

— Va bene, va bene…

Poi tutti lo sentirono: un debole scricchiolio lontano, come se qualcosa si muovesse molto rapidamente sulla crosta nevosa.

— Lupi? — disse uno dei maghi. A tutti loro vennero in mente centinaia di magri corpi affamati che avanzavano a balzi nella notte.

— N-no — affermo il capo. — E troppo regolare. Forse e un messaggero?

Adesso lo udivano piu forte, un ritmo croccante come di uno che mastica molto in fretta del sedano.

— Lancero un razzo — disse il capo. Raccolse una manciata di neve, ne fece una palla, la getto in aria e l’accese con una fiammata di ottarino scaturitagli dalla punta delle dita… Una breve fiammella azzurra.

Una pausa di silenzio. Poi un altro mago proruppe: — Idiota che non sei altro, non vedo un tubo adesso.

Fu quella l’ultima cosa che udirono prima che dall’oscurita venissero urtati con violenza da una cosa dura e rapida che svani nella notte.

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