spingeva in avanti attraverso la citta.

La luce delle torce vacillava negli umidi tunnel sepolti sotto l’Universita, percorsi in fila indiana dai capi degli otto Ordini della stregoneria.

— Almeno quaggiu e fresco — disse uno.

— Non dovremmo trovarci quaggiu.

Trymon, che guidava il gruppo, non disse nulla. Ma era tutto immerso nei suoi pensieri. Pensava alla boccetta d’olio nella sua cintura e alle otto chiavi che portavano i maghi. Otto chiavi corrispondenti agli otto chiavistelli che incatenavano l’Octavo al suo leggio. Pensava che i vecchi maghi, sentendo la magia abbandonarli, si preoccupano dei propri problemi e stanno forse meno in guardia di quanto dovrebbero. Pensava che tra pochi minuti avrebbe avuto sotto le mani l’Octavo, la massima concentrazione di magia del Disco.

Malgrado nel tunnel facesse fresco, comincio a sudare.

Arrivarono davanti a una porta rivestita di piombo che si apriva nella parete di pietra. Trymon prese una grossa chiave (una buona, onesta chiave di ferro, non come le chiavi contorte e sconcertanti che avrebbero aperto l’Octavo), introdusse nella serratura un goccio d’olio, ce la inseri, la giro. La serratura si apri con uno stridio di protesta.

— Siamo tutti unanimi nella nostra decisione? — domando Trymon. Gli rispose una serie di grugniti vagamente affermativi.

Lui spinse la porta.

Furono investiti da una ventata di aria calda e greve, un po’ oleosa. Si udiva un pigolio acuto e sgradevole. Scintille di ottarino sprizzavano da ogni naso, da ogni barba, dalle unghie.

I maghi, la testa china contro la tempesta di magia erratica proveniente dalla stanza, avanzavano a fatica. Fluttuavano intorno a loro con suoni stridenti forme confuse: erano gli spaventevoli abitanti delle Dimensioni Sotterranee in cerca (con cose che fungevano da dita solo perche come tali terminavano le loro braccia) di un possibile ingresso nel cerchio di luce che passava per l’universo della ragione e dell’ordine.

Perfino in un momento simile, poco propizio per tutte le cose magiche, perfino in una stanza concepita per smorzare ogni vibrazione magica, l’Octavo ancora crepitava del suo potere.

In realta le torce sarebbero state superflue. L’Octavo riempiva il locale di una luce opaca, triste. Strettamente parlando, non era una luce, ma il suo opposto. L’oscurita non e l’opposto della luce, e semplicemente la sua assenza. E quella che si irradiava dal libro era la luce che emana dal limite estremo dell’oscurita. La luce fantastica.

Di un colore violaceo alquanto deludente.

Come gia accennato, l’Octavo era incatenato a un leggio scolpito in una forma a meta strada tra un uccello e un rettile. Una forma orribilmente viva. Due occhi scintillanti fissavano i maghi pieni di odio.

— L’ho visto muoversi — disse uno di loro.

— Finche non tocchiamo il libro siamo al sicuro — dichiaro Trymon. Estrasse dalla cintura un rotolo di pergamena e lo svolse.

— Porta qui quella torcia e spegni la sigaretta! — ordino.

Si aspettava un’esplosione di orgoglio infuriato. Nulla. Invece, il mago colpevole si tolse di bocca il mozzicone con dita tremanti e lo schiaccio sul pavimento con il tacco della scarpa.

Trymon esulto. 'Cosi, fanno cio che gli dico io. Solo per ora, forse… ma solo per ora e sufficiente.'

Studio la calligrafia quasi illeggibile di un mago da lungo tempo defunto.

— Bene — disse — vediamo. 'Per ammansire Essa, La Cosa Che E Il Guardiano…'

La folla attraversava ora uno dei ponti che collegavano Morpork con Ankh. In basso il fiume, solo occasionalmente ricco d’acqua, era ridotto a un rivoletto fumante.

Sotto i passi il ponte tremava piu del dovuto. La poca acqua fangosa era attraversata da strane increspature. Qualche tegola si stacco dal tetto di una casa vicina.

— Che e stato? — chiese Duefiori. Bethan si volse indietro a guardare e grido.

La stella si stava levando. Mentre il sole del Disco si affrettava a mettersi al sicuro dietro l’orizzonte, la grande palla rigonfia della stella saliva lenta nel cielo fino a sovrastare di vari gradi l’Orlo del mondo.

Gli amici spinsero Duefiori al riparo di un portone. Senza badare a loro, la folla continuo a correre, terrorizzata.

— Ci sono delle macchie sulla stella — osservo Duefiori.

— No — disse Scuotivento. — Sono… delle cose. Delle cose che ruotano intorno alla stella. Come il sole ruota intorno al Disco. Ma sono vicinissime perche, perche… — s’interruppe. — Forse lo so.

— Che cosa sai?

— Devo liberarmi di questo Incantesimo!

— Da che parte si trova l’Universita? — domando Bethan.

— Da questa parte. — Il mago punto il dito lungo la strada.

— Deve essere molto popolare. E proprio la che vanno tutti. Mi chiedo perche? — disse il turista.

— Non credo perche intendano iscriversi alle classi serali — commento Scuotivento.

In effetti, l’Universita Invisibile era assediata, o almeno lo erano le sue parti manifeste nelle solite dimensioni di ogni giorno. Fuori dei cancelli la folla reclamava due cose: a) Che i maghi la smettessero di trastullarsi e si sbarazzassero della stella. Oppure (e questa era la richiesta appoggiata dagli adepti della stella): b) Che si suicidassero in buon ordine, liberando cosi il Disco dalla maledizione della magia e annullando la tremenda minaccia nel cielo.

Dall’altra parte dei muri, i maghi non avevano nessuna idea di come fare a) e nessuna intenzione di commettere b). Molti in realta avevano optato per c) consistente, in sostanza, nello squagliarsela da porte laterali segrete e darsela a gambe il piu rapidamente possibile, se non ancora piu presto.

La restante magia su cui si potesse fare affidamento nell’Universita veniva concentrata sulla sicurezza dei grandi cancelli. I maghi stavano imparando a loro spese che, per quanto fosse bello e di grande effetto disporre di cancelli sbarrati in virtu della magia, i costruttori avrebbero dovuto predisporre un qualche dispositivo di emergenza quale, per esempio, un paio di comuni chiavistelli di ferro, belli grossi e resistenti.

Nel piazzale antistante i cancelli erano stati accesi diversi grandi falo, piu che altro per effetto, dato il calore rovente che emanava dalla stella.

— Pero sono ancora visibili le stelle — osservo Duefiori — le altre stelle, intendo. Quelle piccole. In un cielo nero.

Scuotivento, che guardava i cancelli, lo ignoro. Un gruppo di adepti della stella e di cittadini stavano cercando di abbatterli.

— E inutile — esclamo Bethan. — Non entreremo mai. Dove vai?

— A fare una passeggiata — le rispose Scuotivento, che si avviava a passo deciso per una strada laterale.

Li, due o tre rivoltosi solitari si davano da fare a saccheggiare i negozi. Senza curarsi di loro, Scuotivento prosegui lungo il muro finche questo correva parallelo a un vicolo buio, che puzzava come puzzano tutti gli altri vicoli, ovunque.

Poi si mise a osservare molto da vicino il muro, in quel punto alto piu di sei metri e sormontato da punte di ferro acuminate.

— Mi serve un coltello — disse.

— Intendi tagliarti la strada con un coltello? — gli chiese Bethan.

— Tu pensa a trovarmi un coltello. — Il mago si mise a battere le pietre del muro.

Duefiori e la ragazza si guardarono e scrollarono le spalle. Pochi minuti dopo tornarono con un’ampia scelta di coltelli; l’ometto era perfino riuscito a trovare una spada.

— Ci siamo serviti da soli — spiego Bethan.

— Ma abbiamo lasciato del denaro — protesto Duefiori. — Cioe, avremmo voluto lasciarlo, se ne avessimo avuto…

— Cosi lui ha insistito per lasciare un biglietto — aggiunse stancamente lei.

L’ometto si raddrizzo in tutta la sua altezza, il che non ne valeva la pena.

— Non vedo il motivo… — comincio in tono severo.

— Si, si. — Bethan si sedette per terra con aria sconsolata. — Lo so che non lo vedi. Scuotivento, tutti i negozi sono stati sfondati; per strada c’era un bel po’ di gente che si portava via degli strumenti musicali. Ci crederesti?

— Gia. — Il mago scelse un coltello e ne provo la lama, soprappensiero. — Suonatori di liuto, immagino.

Conficco la lama nel muro, la rigiro e si tiro indietro quando venne giu una grossa pietra. Poi alzo gli occhi, conto sottovoce e fece leva fin quando un’altra pietra non venne via dalla sua cavita.

— Come ci sei riuscito? — domando Duefiori.

— Aiutami soltanto a tirarmi su — si limito a rispondergli il mago. Un momento dopo, posando i piedi nei buchi che aveva fatti, si stava arrampicando sul muro.

— E stato cosi per secoli. — La sua voce arrivava fino a loro dall’alto. — Alcune pietre non sono fissate con la calcina. Un’entrata segreta, capite. Fate attenzione li giu.

Un’altra pietra cadde sull’acciottolato.

— Lo hanno fatto gli studenti tanto tempo fa — spiego il mago. — Un comodo sistema per entrare e uscire, quando le luci vengono spente.

— Ah, capisco - esclamo Duefiori. — Si scavalca il muro e via per recarsi nelle taverne illuminate a bere e cantare e recitare poesie. Si?

— Giusto, salvo che per i canti e le poesie, si. Un paio di queste punte di ferro dovrebbero essere allentate… — Segui un suono metallico.

La sua voce si fece sentire dopo pochi secondi: — Il salto da questa parte non e molto aito. Forza, allora, se volete venire.

E fu cosi che Scuotivento, Duefiori e Bethan entrarono nell’Universita Invisibile.

Altrove sul campus…

Gli otto maghi inserirono le loro chiavi e le fecero girare, non senza lanciarsi molte occhiate preoccupate. I chiavistelli si aprirono con un debole scatto.

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