Un minuto dopo, mentre esco dal villaggio, diretto verso l’estremita del lago e la base navale che si trova proprio li, sorpasso il sottomarino. Nella splendente luce del sole, si rivela di una bellezza singolare e minacciosa, una macchia nera e scintillante nel panorama di terra e acqua. Scuoto la testa. Dodici miliardi di sterline per far fuori alcuni silos probabilmente gia vuoti e incenerire qualche decina di milioni di russi, uomini, donne e bambini… se non che ormai non sono piu nostri nemici e cosi quell’affare che gia prima era osceno — nonche totalmente, deliberatamente inutile — diventa adesso senza scopo. Uno spreco ancora maggiore.

Mi fermo su un tratto di strada sopraelevato, poco dopo Garelochhead, e rimango a osservare il sottomarino che si sta avvicinando al bacino. Ci sono altre macchine parcheggiate e gruppi di persone che lo stanno osservando; probabilmente cercano di trovare una giustificazione ai soldi che hanno tirato fuori come contribuenti.

Accendo una sigaretta, e abbasso il finestrino per poter soffiare fuori tutto quel fumo dannoso alla salute. Mi fanno male gli occhi per la stanchezza. Sono rimasto alzato quasi tutta la notte a lavorare a un articolo e a giocare a Despot al computer. Mi guardo intorno per accertarmi che nessuno stia osservando, infilo una mano sotto la giacca North Cape e tiro fuori un sacchettino di anfe. M’inumidisco un dito, lo intingo nella polvere bianca, poi lo succhio. Sento la punta della lingua che diventa insensibile e sorrido, sospirando. Metto via il sacchettino e continuo a fumare.

…A meno che, ovviamente, non si prenda in considerazione l’utilizzo del sistema Trident in termini di economia geopolitica, come parte della vasta corsa agli armamenti del mondo occidentale, la stessa corsa che aveva fatto fallire le casse comuniste, distruggendo il sistema sovietico non piu in grado di sostenere la competizione (e che aveva fatto fallire anche gli Stati Uniti, trasformandoli dai maggiori creditori del mondo nella nazione piu indebitata semplicemente nel corso di due mandati presidenziali; nel frattempo, pero, erano gia stati pagati un sacco d’interessi e di quel debito avrebbero dovuto preoccuparsi le generazioni future: quindi non contava).

E cosi, mentre il comunismo crollava e la minaccia di un olocausto totale si dissolveva, lasciandoci alle prese con tutti gli altri problemi, mentre si aprivano tutti quegli interessanti e succulenti mercati dell’Est, con i vecchi odi razziali che venivano soffocati, e i compagni che ribollivano e si agitavano fino a scoppiare… forse questo enorme lumacone, questo cazzo gigantesco che poteva fottere citta, nazioni, l’intero pianeta, questo cazzo che ora s’infilava tra le cosce del lago poteva ancora servire a qualcosa.

Diamine, ma certo!

Metto in moto la macchina, caricato, sveglio, nuovamente motivato, sento che vado al massimo, spumeggiante di entusiasmo e di voglia di fare, ribollente del dolce nettare della determinazione, pronto a scendere in quella base missilistica nucleare laggiu e a fare il servizio, come direbbe il benedetto sant’Hunter.

Oltrepasso il bivacco dei dimostranti che agitano cartelli, oltrepasso i recinti di fitta rete metallica sormontati da rotoli di filo spinato, oltrepasso i cancelli anticarro (dopo aver mostrato le mie credenziali) e vengo indirizzato verso l’edificio dove si terra la conferenza stampa. Mentre aspetto che arrivino tutti gli altri, batto parte dell’articolo sul mio laptop. Gli ufficiali che rispondono alle domande hanno un aspetto atletico e riposato, sembrano tipi come si deve, gentili e quasi dispiaciuti per il disturbo, ma anche incrollabilmente convinti di stare facendo qualcosa che e ancora importante e necessario.

Piu tardi, mentre sto lasciando la base, i dimostranti che bivaccano all’esterno — la maggior parte vestiti con strati e strati di golf sudici e informi e vecchi giubbotti mimetici, quasi tutti con pettinature alla rastafari oppure con la testa rasata — mi fanno esattamente la stessa impressione.

Me ne torno a Edimburgo ascoltando Gold Mother, mentre l’effetto degli eccitanti si esaurisce in fretta, come un motore che perde potenza sui saliscendi della M8.

La redazione del Caledonian e caotica come al solito, affollata di scrivanie, pareti mobili, scaffali, computer, piante, pile di giornali, tabulati, fotografie e schedari. Mi faccio strada attraverso il labirinto, salutando gli scribacchini miei complici.

«Cameron», mi saluta Frank Soare, alzando lo sguardo dal suo terminale. Frank ha cinquant’anni, una nuvola di capelli bianchi e una carnagione che riesce a essere moderatamente rubizza e al contempo morbida come quella di un bambino. Ha una parlata cantilenante che, di solito dopo pranzo, diventa un po’ blesa. Ogni volta che mi vede, gli piace ricordarmi come mi chiamo. Aiuta, in certe mattine.

«Frank», rispondo, sedendomi alla scrivania e scorrendo i fogliettini gialli che ornano il lato del monitor.

Frank fa capolino dall’altra parte del computer, dandomi la prova inequivocabile del fatto che crede ancora nell’eleganza delle camicie colorate con il colletto bianco. «Allora, raccontami un po’ dell’ultimo gioiello del vitale e assolutamente indipendente potere di dissuasione britannico.»

«Pare che funzioni. Galleggia», rispondo, accendendo il computer.

La biro di Frank batte delicatamente sul primo dei foglietti gialli. «Ha telefonato di nuovo la tua talpa», m’informa. «Un’altra corsa inutile?»

Do un’occhiata all’appunto. Il signor Archer richiamera tra un’ora, dice. Guardo l’orologio: ci siamo quasi.

«Probabilmente», convengo. Controllo che il mio Pearlcorder abbia una cassetta vergine. Il registratore abita di fianco al telefono, pronto a registrare tutte le telefonate potenzialmente interessanti.

«Non hai un secondo lavoro, vero, Cameron?» dice Frank, aggrottando le bianche sopracciglia cespugliose.

«Come?» ribatto, sistemando la giacca sulla spalliera della sedia.

«Non e che hai un secondo lavoro e questa talpa e soltanto una scusa per allontanarti dall’ufficio, eh? E cosi?» chiede Frank, cercando di mantenere un’espressione innocente. La sua biro continua a battere a lato del monitor.

Afferro la penna e la allontano con delicatezza, spingendo Frank verso la sua sedia. «Frank…» dico. «Con la fantasia che ti ritrovi dovresti lavorare per il Sun.»

Tira su con il naso, offeso, e si risiede. Passo in rassegna la E-mail e scorro i dispacci di agenzia, poi m’interrompo, mi alzo e guardo Frank, nascosto dal terminale, che se ne sta con le dita affusolate posate sulla tastiera, ridacchiando per qualcosa che ha visto sullo schermo.

«Che cos’hai detto a Iain Garnet a proposito di questa cosiddetta talpa?»

«Lo sapevi», replica Frank con aria maliziosa, «che il controllo ortografico per ‘Yetts o’Muckart’ propone ‘Yeti Offuscato’?» Ridendo, mi lancia un’occhiata, poi si fa serio. «Come hai detto?»

«Hai sentito benissimo.»

«Hai detto Iain?» Una pausa. «Lo hai visto laggiu, oggi? Come sta?»

«Allora, che gli hai detto di ’sta talpa?» Stacco l’appunto e glielo sventolo davanti al naso.

Lui assume un’espressione innocente. «Perche, c’era qualcosa che non dovevo rivelargli? Be’, non lo so, cosa gli ho detto», si difende. «L’altro giorno gli ho parlato per telefono. Deve essere venuto fuori per caso nella conversazione. Mi dispiace molto.»

Sto per rispondergli, quando suona il telefono della linea esterna.

Frank sorride e mi punta contro la biro. «Potrebbe essere il tuo signor Archer.»

Mi siedo e sollevo il ricevitore. La comunicazione e pessima.

«Signor Colley?» La voce ha un che di metallico, come se fosse stata filtrata con un sintetizzatore. Non ho il minimo dubbio che si tratti del signor Archer, ma potrebbe anche essere Stephen Hawking. Accendo il registratore, m’infilo l’auricolare nell’orecchio e collego il microfono al ricevitore del telefono.

«Si, sono io», dico. «Signor Archer?»

«Si. Ascolti: ci sono novita.»

«Be’, lo spero proprio, signor Archer. Sto…»

«Non posso parlare a lungo, non con il suo telefono», prosegue la voce metallica. «Vada nel posto che le indico.»

Prendo un blocco e una matita. «Signor Archer, spero tanto che non sia un’altra…»

«Langholm, Bruntshiel Road. La cabina telefonica. Solita ora.»

Вы читаете Complicita
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×