L'ascensore era automatico. L'atrio del quarto piano era tappezzato in grigio chiaro, ed aveva un tappeto foltissimo. Accanto alla porta dell'appartamento numero dodici c'era un minuscolo pulsante. Il campanello tintinno gentilmente all'interno. L'uscio si spalanco immediatamente. I begli occhi neri e profondi si posarono su di me, e la bocca scarlatta mi sorrise.

Pantaloni neri e camicetta color fiamma. Come la sera prima.

– Amigo – sussurro, e tese le braccia.

Le afferrai i polsi e le feci unire le palme. Giocai a scaldamano con lei per qualche istante. Nei suoi occhi c'era un'espressione languida ma bruciante.

Lasciai andare i polsi, chiusi la porta con un gomito e scivolai nella stanza, insinuandomi tra lei e il muro. Fu come la prima volta.

– Dovreste assicurare questa roba – dissi sfiorandole un seno.

Non era di gomma. Il capezzolo era duro come un rubino.

Dolores scoppio in una delle sue risate gioiose. Avanzai nel locale e mi guardai intorno. Era grigio perla e azzurro polvere. Non adatto a lei ma molto grazioso. C'era un caminetto finto, coi ceppi che nascondevano un radiatore a gas, e un certo numero di poltrone, tavolini e lampade, ma non troppa roba. In un angolo c'era un piccolo scaffale di liquori.

– Vi piace il mio piccolo nido, amigo?

– Non lo chiamate 'piccolo nido'. Anche questa e un'espressione da sgualdrina.

Non la guardavo.Non avevo voglia di guardarla. Mi sedetti sul divano e mi passai una mano sulla fronte.

– Quattro ore di sonno, e un paio di cicchetti e sarei di nuovo in grado di parlare a vanvera con voi – dissi. – Ora ho appena appena la forza di parlarvi sul serio. Ci sono costretto.

Venne a sedermisi vicino. Scossi il capo.

– Mettetevi la. Devo proprio parlarvi sul serio.

Si sedette di fronte a me e mi guardo, con quei suoi occhi bruni e gravi.

– Ma si, amigo, tutto quel che volete. Sono la vostra ragazza… o per lo meno sarei ben contenta di diventarlo.

– Dove abitavate, a Cleveland?

– A Cleveland? – parlava con voce morbida, tubava quasi. – Vi ho detto di aver vissuto a Cleveland?

– Avete detto che lui l'avevate conosciuto la.

Ci ripenso un istante, poi accenno di si.

– Ero sposata a quel tempo, amigo. Che cosa succede?

– Allora avete abitato a Cleveland?

– Si – mormoro.

– Come avete conosciuto Steelgrave?

– Erano i tempi in cui era di moda conoscere un gangster. Una forma di snobismo alla rovescia, immagino. Si andava nei locali in cui si diceva che bazzicassero i fuori legge e se si era fortunate forse, una sera…

– Gli avete permesso di abbordarvi. Annui vivacemente.

– Diciamo che io ho abbordato lui. Era un omino infinitamente simpatico. Ve l'assicuro.

– E il marito? Vostro marito, intendo. O non ve ne ricordate?

La ragazza sorrise.

– Le strade del mondo sono lastricate di mariti scartati.

– Verita sacrosanta. Se ne trovano dovunque. Persino a Bay City.

Non ottenni nulla. Lei si strinse educatamente nelle spalle.

– Non ne dubito.

– Forse c'e persino qualche laureato alla Sorbonne. Forse si spreca a esercitare in una cittadina miserabile… e aspetta e spera. Questa e una coincidenza che sarei disposto ad accettare. Ha un tocco di poesia.

Il sorriso cortese rimase fermo sul bel viso di Dolores.

– Siamo diversi, ormai – disse. – Siamo mille miglia lontano. Ed eravamo cosi uniti, un tempo.

Abbassai gli occhi e mi guardai le dita. La testa mi doleva. Non ero nemmeno il quaranta per cento di quel che avrei dovuto essere. La mia ospite mi porse una scatola di cristallo piena di sigarette ed io mi servii. Lei ne infilo una, per se, nelle mollette d'oro. L'aveva presa da un'altra scatola.

– Vorrei provarne una delle vostre – dissi.

– Ma il tabacco messicano brucia la gola, alla maggior parte della gente.

– Fin che e tabacco… – mormorai, osservandola attentamente. Poi mi decisi. – No, avete ragione, non mi piacerebbe.

– Che cosa significano, queste battute d'aspetto? – mi domando con aria cauta.

– L'impiegato ricevitore fuma marijuana.

Annui, lentamente.

– L'ho avvertito di stare attento. Parecchie volte.

– Amigo – dissi.

– Che?

– Voi non vi servite molto dello spagnolo, vero? Forse non ne sapete molto, di spagnolo. 'Amigo' e cosi frusto che cade in pezzi.

– Non vogliamo ricominciare come ieri nel pomeriggio, spero – disse lentamente.

– No, Di messicano avete ben poco: una dozzina di parole e un modo preciso calcolato di parlare, come chi si serve d'una lingua che ha dovuto studiare. Evitate rigorosamente le abbreviazioni ad esempio. Cose di questo genere.

Non rispose. Fumava elegantemente la sigaretta e sorrideva.

– Sono in un brutto guaio, con la polizia – continuai. – A quanto pare la signorina Weld ha avuto il buon senso di dire tutto al suo principale…

Jules Oppenheimer… e lui non l'ha lasciata colare a picco. Le ha procurato Lee Farrell. Non credo che alla polizia pensino che Mavis Weld abbia ucciso Steelgrave. Pero pensano che io sappia chi e stato e non mi vogliono piu bene.

– E lo sapete davvero, amigo?

– Ve l'ho detto al telefono, che lo sapevo.

Mi guardo dritto in faccia, per un lungo istante.

– Ero presente. – La sua voce aveva un tono composto e grave, per una volta tanto.

– E stato molto curioso, davvero. La piccola aveva voglia di visitare una casa da gioco. Non aveva mai visto niente di simile e i giornali ne avevano parlato…

– Abitava qui, con voi?

– Non nel mio appartamento, amigo. In una stanza che avevo preso per lei.

– Non c'e da meravigliarsi che non abbia voluto dirmi dove stava – osservai. – Comunque immagino che non abbiate avuto tempo per insegnarle il mestiere…

Corrugo lievemente la fronte e abbozzo un gesto vago con la sigaretta bruna. Guardai il fumo scrivere una parola misteriosa, nell'aria immobile.

– Vi prego. Come vi dicevo, la piccola desiderava andare in quella casa. Cosi io ho telefonato, e lui ha detto che andassimo pure. Quando siamo arrivate lui era ubriaco. Non l'avevo mai visto prima in quello stato. Si e messo a ridere, ha passato un braccio intorno alla vita della piccola Orfamay e le ha detto che aveva guadagnato bene i suoi quattrini. Poi ha aggiunto che aveva qualcosa da darle e ha tirato fuori di tasca un portafogli avvolto in un pezzo di stoffa. Quando la piccola l'ha svolto, ha visto che c'era un buco, nel centro del portafogli. E il buco era sporco di sangue.

– Questo non e stato carino – dichiarai. – Non lo definirei nemmeno caratteristico.

– Voi non lo conoscevate.

– Giusto. Continuate.

– La piccola Orfamay ha preso il portafogli e l'ha fissato un po', poi si e messa a fissare Steelgrave con un faccino bianco e immobile. Ha ringraziato, ha aperto la borsa per riporre il portafogli, o almeno io credevo… e stato molto curioso.

– Una cannonata – dichiarai. – Mi avrebbe fatto restare col fiato sospeso. -…ma invece, ha tirato fuori una rivoltella, dalla borsa. Era una rivoltella che lui aveva regalato a Mavis, mi pare. Era uguale e…

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