volere aggiungere ulteriori spiegazioni.

Il gong suono dando il segnale di conversione. Poco dopo, Nakamura si affaccio nella cabina per avvertire i passeggeri che la nave seguiva regolarmente la sua rotta, e che tra poco sarebbe stato servito il pranzo.

Mangiarono tranquillamente. Non c’era ragione di mostrarsi euforici dopo una simile avventura tra le stelle. Tutti sapevano molto bene che stavano facendo ritorno alla Terra dopo una missione che era terminata con un’inaspettata diminuzione di spazio per l’Uomo nell’Universo. Le notizie di cui erano latori non sarebbero certo suonate gradite ai mondi terrestri, ne a quell’uomo inflessibile, duro, altero, che li aveva costretti a quel viaggio. Le verita amare difficilmente sono bene accolte.

Havig rimase nel saloncino per dare una mano a Nakamura che doveva rimettere in ordine dopo il pasto. Bernard ritorno in cabina con Stone e Dominici. Erano tornati tutti di umore cattivo. Ogni minuto che passava, ormai, li portava piu vicini alla Terra, e all’incontro col Tecnarca.

Stone sedeva quieto sulla sua cuccetta, e si teneva il volto tra le mani. Bernard alzo gli occhi all’improvviso e si accorse che il paffuto diplomatico stava piangendo.

Ando da lui.

«Stone, non fate cosi!»

«Lasciatemi in pace» fu la risposta soffocata.

«Ma via, scuotetevi…»

«Andatevene.»

«Maledizione» disse Bernard, «ma perche piangete? Si puo sapere? Possibile che il fatto che i Terrestri non siano piu quei padreterni che si credevano vi abbia sconvolto a questo modo? O piuttosto siete fuori di voi pensando che forse perderete il posto che avevate all’Arconato?»

Stone rialzo la testa, pallido, con gli occhi rossi, e l’espressione sorpresa di un uomo che vede svelati i suoi segreti piu riposti. «Come osate dire…»

«E la verita, no?»

«Cosa vorreste…»

«Confessatelo» proruppe Bernard in tono volutamente aspro. «Affrontate la verita. E un’abitudine che almeno noialtri dovremmo cominciare a prendere.»

Il diplomatico assunse un’espressione come se l’avessero frustato. Si rannicchio su se stesso, e dopo un attimo di silenzio disse con voce bassa e distante: «Va bene, e la verita. E inutile che cerchi di nasconderlo, ormai. Per venticinque anni hanno continuato ad addestrarmi per l’Arconato, e adesso tutto crolla. La mia carriera e finita. Volete che sia allegro dopo la piega che hanno preso gli avvenimenti? Credete che sceglierebbero mai come Arconte l’ambasciatore che e tornato con la notizia che l’Uomo… che l’Uomo…»

Non pote continuare.

I singhiozzi ricominciarono. Bernard si sentiva a disagio nell’osservare quelle spalle massicce scosse da un tremito incontrollabile.

Tanto vale lasciarlo piangere penso. Forse la sua carriera e finita, o forse no, ma questo sfogo gli fara bene ugualmente. Dio sa quanto ne avremmo bisogno, tutti quanti.

Ritorno alla sua cuccetta. Dopo un po’ vide Stone che si alzava, si lavava la faccia, si asciugava gli occhi e si faceva una puntura di sedativo nel braccio. Il diplomatico si sdraio di nuovo, e poco dopo si addormento. Bernard rimase sveglio, a fissare il grigiore dello schermo televisivo, a osservare il movimento implacabile delle lancette dell’orologio. Anche lui era d’umore depresso, eppure non cosi cupo come ci sarebbe stato da aspettarsi. Quel viaggio, Bernard lo sapeva, era stata un’esperienza preziosa per lui, come lo sarebbe stato per chiunque. La Terra aveva appreso alcune cose sul proprio conto che aveva sempre avuto un bisogno disperato di apprendere, e lo stesso si poteva dire di Martin Bernard. Riandando con la memoria all’immediato passato, si sorprese di alcune sue azioni. L’improvviso senso di simpatia e di comprensione per Havig, per esempio.

Quel viaggio gli aveva allargato le idee, aveva ampliato la sua conoscenza di se stesso e degli altri. Ora poteva guardarsi indietro e osservare il Martin Bernard di un tempo in una nuova, fredda e distaccata prospettiva.

E cio che vedeva non lo lasciava molto soddisfatto.

Vedeva un individuo egocentrico, quasi odiosamente egoista, con una punta di crudelta ben camuffata da modi amabili. Il suo articolo polemico contro Havig, per esempio, non era stato un’espressione di dissenso culturale, quanto un attacco contro una filosofia che chiamava in causa le sue concezioni edonistiche. E anche la relazione con sua moglie gli appariva con mortificante chiarezza. Non era affatto vero che lui non fosse nato per essere un buon marito. Semplicemente, non aveva fatto niente per diventarlo. Lei non era invadente, era solo una donna che desiderava dividere la vita del marito, mentre ne era stata completamente tagliata fuori.

Bernard guardava fisso dinanzi a se. Quella segregazione obbligatoria, ben diversa dall’influenza cullante del suo nido cosi intimo di Londra, l’aveva costretto a un esame di coscienza, indotto a dare un’occhiata oggettiva al suo vero io racchiuso finora in un guscio di auto-compiacimento.

Un identico risveglio altrettanto brusco, avrebbe avuto la Terra, tra poco. Bernard si chiese se la gente in generale avrebbe imparato qualcosa dall’urto di quelle verita buttate in faccia, o se invece non avrebbe immediatamente innalzato meccanismi di difesa per impedire all’amara realta di farsi strada nelle menti e nei cuori. Bernard si acciglio. Non se la sentiva di rispondere a quella domanda.

Intanto, il tempo scorreva veloce. Solo dodici ore, poi ci sarebbe stata di nuovo la conversione. Le lancette si muovevano, lente ma inesorabili.

Dieci ore.

Otto.

Sei.

Quattro.

Due.

Gli ultimi minuti parvero a tutti infiniti. La faccia di Bernard era una rigida maschera, gli occhi gli dolevano a forza di fissare l’orologio. Da ore, nessuno aveva detto una parola.

I colpi di gong echeggiarono, finalmente, e la loro risonanza riempi la cabina, solenne come l’annuncio del Giudizio Universale. L’attimo della conversione si compi. Lo schermo visivo s’illumino mentre la VUL-XV usciva dal vuoto misterioso e rompeva la barriera per ritornare nell’Universo conosciuto.

Da prua, in tono lento, misurato, arrivo il messaggio di Laurance: «In questo momento stiamo attraversando l’orbita di Nettuno, diretti verso l’interno del sistema solare. Ho comunicato via radio con la Terra e loro hanno ricevuto il mio messaggio. Sanno che stiamo per rientrare.»

16

Lo studio personale del Tecnarca McKenzie, con le pareti di pietra scura e il lucido pavimento di marmo, aveva una semplicita aspra, quasi monastica. La stanza senza finestre era stata disegnata con lo scopo di impressionare sia l’occupante, che i visitatori, sottolineando l’austera importanza della reponsabilita di un Tecnarca. L’effetto penso Martin Bernard, e stato raggiunto in pieno. Nel seguire McKenzie in quel locale, il sociologo aveva provato infatti un senso di riverenza, quasi di sacro timore.

Solo poche parole erano state scambiate dopo l’atterraggio della VUL-XV, avvenuto un’ora prima nel cuore dell’Australia Centrale. I viaggiatori si erano fatti avanti, e forse il Tecnarca aveva capito dai loro volti tesi e cupi che le notizie di cui erano portatori andavano date con una certa prudenza. In ogni modo, non aveva fatto domande, e si era limitato a rivolgere loro un breve cenno di saluto mentre essi mettevano piede a terra. Poi Bernard gli si era avvicinato.

«Agli ordini, Eccellenza.»

«Salve, Bernard. Quali notizie?»

«Potrei fare il mio rapporto in privato?»

Il colloquio era stato accordato. Uno alla volta, entrando nel campo transmat, i parlamentari avevano attraversato la distanza dal campo spaziale alla Sede dell’Arconato. Ora Dominici, Stone e Havig aspettavano nell’anticamera del Tecnarca, mentre Bernard, da solo, si accingeva ad affrontare McKenzie.

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