osassero metterglisi contro.

Lui sedeva, taciturno, ascoltando la discussione e prendendovi parte solo di tanto in tanto, quand’era indispensabile. I suoi lineamenti non lasciavano trasparire niente dell’amarezza che si era accumulata in lui dal momento in cui la VUL-XV era atterrata. Tutta l’esultanza per il recupero della preziosa astronave si era dissolta non appena saputa la novita.

Razze estranee che costruiscono colonie, pensava avvilito. L’Universo, il suo giocattolo scintillante, aveva perso ogni fulgore nella sua fantasia; s’era arrugginito e annerito. Aveva sognato una miriade di pianeti in attesa dell’Uomo. Aveva sognato un’intera umanita che sciamava nello spazio in cerca di nuovi mondi da conquistare. Bisognava dire addio a questi sogni. Dopo centinaia di anni, ecco che ci si era imbattuti in un’altra specie. Quali che fossero le capacita degli «altri», la loro presenza costituiva di fatto una limitazione per il genere umano: una parte dell’Universo era preclusa all’uomo. Di fronte a questa eventualita, McKenzie si sentiva diminuito, depresso.

Non c’era altro da fare che negoziare, salvare almeno una porzione di infinito per l’impero della Terra.

McKenzie sospiro. L’uomo piu qualificato per andare a trattare con gli estranei era proprio lui. Ma la Legge Terrestre proibiva a un Arconte di lasciare il pianeta. Solo rinunciando all’Arconato McKenzie avrebbe potuto accompagnare la commissione per i negoziati, e una rinuncia simile McKenzie non poteva nemmeno prenderla in considerazione.

Aspetto, impaziente, che il dibattito si avviasse verso una conclusione gia scontata. Avrebbero finito col cedere, naturalmente, ma bisognava lasciarli parlare. Ancora un poco. Almeno, fino a quando Dawson avesse finito di domandarsi se quell’espansione del genere umano oltre i confini della sfera presente fosse finanziariamente una buona speculazione; fino a quando Wissiner avesse finito di valutare il pro e il contro di quei negoziati; fino a quando Croy avesse esaurito l’obiezione che forse l’altra razza si stava estendendo nella direzione opposta; fino a quando Klaus avesse finito di suggerire, sia pure in modo velato, che la soluzione piu rapida poteva venire da una guerra immediata, e non dai negoziati.

E le parole rimbalzarono di bocca in bocca lungo i due lati della tavola, finche ciascun Arconte non si fu liberato dei propri dubbi personali. E intanto ai cinque piloti spaziali, stanchi ed esausti per il viaggio, veniva offerto lo spettacolo insolito della suprema oligarchia terrestre che si accapigliava. Alla fine, il Geoarca dichiaro con la voce tremula e incerta: «La proposta e ai voti.»

Ogni Arconte manovrava un commutatore nascosto sotto la sua sezione di tavola. Verso destra per approvare, verso sinistra per fare opposizione. Al di sopra della tavola, un globo trasparente registrava il responso segreto. Bianco, responso positivo Nero, negativo. McKenzie fu il primo a manovrare l’interruttore. Una lattiginosita abbagliante scaturi dalle profondita grigiastre del globo. Un istante dopo una lancia color ebano attraverso la luminosta lattiginosa: il voto di Wissiner?, si chiese McKenzie. La votazione prosegui. Il colore del globo si alternava tra il bianco e il nero. Dominava il grigio: bianco e nero si mescolavano senza una nitida prevalenza. La sfumatura si faceva ora piu cupa, ora piu biancastra. Gocce di sudore imperlavano la fronte del Tecnarca. Poi, via via che i voti arrivavano, il colore si fece sempre piu pallido.

Alla fine, il globo lascio trasparire il candore puro della vittoria. Il Geoarca decreto: «La proposta e approvata. Il Tecnarca McKenzie preparera i piani della missione per i negoziati, e ce li presentera per l’approvazione. La riunione e aggiornata fino a nuovo avviso del Tecnarca.»

Alzatosi, McKenzie scese dalla pedana e si avvio verso i cinque uomini d’equipaggio che parlottavano incerti tra loro al centro della stanza. Al suo avvicinarsi, uno di loro, Peterszoon, un gigante biondo, lo squadro con una inconfondibile espressione d’antipatia.

«Possiamo andare adesso, Eccellenza?» chiese Laurance, che evidentemente cercava di controllarsi.

«Un istante ancora. Vorrei dirvi una parola.»

«Come volete, Eccellenza.»

McKenzie si sforzo di atteggiare i lineamenti severi al sorriso, cosa insolita per lui. «Non sono qui per scusarmi, voglio solo dirvi che mi rendo conto benissimo che meritereste una vacanza, e che mi dispiace che non possiate concedervela. La Terra ha ancona bisogno di voi, subito. Siete gli uomini migliori che abbiamo, per questo vi abbiamo scelto.»

Li fisso uno per uno. Laurance, Peterszoon, Nakamura, Clive, Hernandez. L’ira repressa che brillava negli occhi di ciascuno si addolci.

Erano ancora indignati, ma gia riuscivano a vedere oltre la loro rabbia momentanea.

Rispose Laurance, nel suo tono lento, deciso: «Ma avremo almeno un paio di giorni, vero?»

«Come mimmo» garanti il Tecnarca. «Pero, non appena i negoziatori saranno riuniti, dovrete partire.»

«Quanti uomini sceglierete? L’astronave puo portare al massimo nove o dieci persone.»

«Gli indispensabili. Un linguista, un diplomatico, un paio di biofisici, un sociologo. Avrete spazio a sufficienza.» Il Tecnarca sorrise di nuovo. «Mi rendo conto del brutto scherzo che vi sto facendo, ma so anche che mi capite. E, se la cosa puo interessarvi, avrete la gratitudine di un Tecnarca per aver obbedito.» Era il massimo a cui McKenzie potesse abbassarsi per assomigliare a un comune mortale. Il sorriso si spense lentamente sul suo volto. Con un rigido saluto McKenzie si allontano. Laurance e i suoi uomini sarebbero partiti. Ora non doveva far altro che scegliere i membri della commissione. Gli ambasciatori della Terra.

3

Quella sera Martin Bernard se ne stava comodo e tranquillo nel suo appartamento di South Kensington, a due passi da Cromwell Road. Fuori, la cupa nebbia londinese gravava sulla citta, ma Martin Bernard non se ne ac corgeva. Dentro casa, tutto era intimo, tiepido e confortevole, proprio come piaceva a lui. Una musica antichissima arrivava dolcemente dallo schermo sonoro posto proprio sopra la sua testa: una sonata di Bach per clavicembalo. Bernard aveva regolato il volume sul minimo, in modo che il suono gli giungesse come un mormorio di fondo. In quel modo, Bach non impegnava la sua attenzione, ma lui ne avvertiva la presenza, dolce e rasserenante.

Bernard se ne stava disteso sulla sua vibrosedia, con un volume di Yeats in grembo, mentre la lampada da spalla oscillava e si torceva a piu non posso nel tentativo di dirigere il suo raggio sulla pagina qualunque fosse la posizione che Bernard assumesse. Una bottiglia di cognac finissimo, stravecchio, importato da uno dei mondi di Procione, era a portata di mano. Bernard aveva il suo liquore, la sua musica, la sua poesia, il tepore della sua casa. Quale modo migliore, si chiedeva, per distendere i nervi, dopo aver passato due ore a cercare di ficcare gli elementi essenziali della sociometrica nelle teste di legno di un ottuso corso di studenti del second’anno?

Ma, nonostante tutto, provava un senso di rimorso per i lussi che si concedeva. Gli accademici, in genere, non erano considerati dei sibariti, ma Bernard ripeteva a se stesso che in fondo si meritava quelle concessioni. Era un’autorita, nel suo campo. Inoltre, aveva scritto un romanzo che aveva avuto molto successo. Le sue poesie, molto apprezzate, figuravano in tutte le antologie. Aveva lottato non poco per raggiungere quel livello, e adesso, a quarantatre anni, risolto il problema finanziario per sempre, e risolto anche il problema del suo secondo matrimonio, non c’era ragione al mondo che lo inducesse a privarsi della gioia di quelle serate comode e solitarie.

Sorrise. Katha aveva chiesto il divorzio; l’aveva accusato di crudelta mentale. E si che Bernard si considerava una delle persone meno crudeli che fossero mai esistite. In verita, l’insegnamento, la sua attivita di scrittore, e gli studi ai quali si dedicava, non gli avevano lasciato tempo sufficiente per occuparsi di sua moglie. Lei aveva voluto divorziare, e cosi… amen! Ora si rendeva conto, dopo due matrimoni falliti, che in fondo non aveva la stoffa del marito.

Si abbandono contro lo schienale, sfogliando le pagine di Yeats. Un poeta meraviglioso, pensava Bernard, forse il migliore dell’Ultimo Medioevo.

Il telefono trillo, disturbando la sua lettura. Bernard si acciglio, sollevandosi su un gomito. Posato a terra il libro, si diresse alla cabina telefonica e premette il pulsante del contatto. Non aveva mai pensato di farsi installare una derivazione che gli permettesse di rispondere senza alzarsi dalla poltrona. Non era sibarita al punto tale da tenere le sue conversazioni telefoniche standosene comodamente sdraiato.

Lo schermo s’illumino, ma invece di una faccia, apparve l’immagine dello stemma del Tecnarca. Bernard fisso stupito quell’emblema giallo e azzurro.

Una voce impersonale chiese: «Il dottor Martin Bernard?»

«Sono io.»

«Il Tecnarca McKenzie vuole parlarvi. Siete solo?»

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