gente… «Siete Thomas Havig della Columbia?» chiese.

«Thomas Havig della Columbia, si» confermo l’altro. «Quel Thomas Havig che ha scritto «Congetture sui morfemi etruschi», dottor Bernard.» Una vaghissima traccia di sorriso apparve sulle labbra di Havig. «Un articolo che probabilmente non avrete apprezzato.»

Bernard guardo gli altri due, poi di nuovo Havig. «Be’, ecco… semplicemente non sono riuscito a mandar giu nemmeno una delle vostre supposizioni. Vedete, Havig, mi sono trovato in disaccordo fin dalla premessa di base, e via via fino all’ultima riga del vostro scritto. Voi negavate senza riguardi tutto cio che si conosce sulla personalita e la cultura degli Etruschi, tentavate spietatamente di deformare addirittura l’essenza stessa della conoscenza per fare posto alla vostra preconcetta filosofia sociale… Insomma, voi non avete affrontato la questione in modo equo, scusate!»

«E di conseguenza» dichiaro tranquillamente Havig «voi vi siete sentito in dovere di tentare di distruggere la mia reputazione e la mia importanza nel mondo accademico.»

«Io mi sono limitato a esporre un’opinione dissenziente» replico Bernard, accalorandosi. «Non potevo permettere che le vostre affermazioni restassero senza risposta. E il «Journal» ha trovato la mia replica degna d’essere stampata. Era…»

«Era un articolo perverso e diffamatore» disse Havig, senza alzare la voce al livello assunto da Bernard. «Con la scusa della polemica erudita mi avete coperto di ingiustificato ridicolo, e avete irriso alle mie convinzioni personali.»

«Che pero incidevano sull’argomento che stavate presentando.»

«Cio nonostante, tutto il vostro atteggiamento, dottor Bernard, non era certo degno di un erudito. Il vostro attacco cosi poco obiettivo contro di me faceva perdere di vista l’argomento base, e rendeva impossibile agli osservatori disinteressati distinguere quale fosse in realta il motivo del nostro dissenso. Il vostro articolo era un’esibizione di ingegno e di arguzia, un’esibizione brillantissima, mi dicono, ma ben lontana dalla confutazione di un erudito.»

Stone e Dominici si erano tenuti in disparte, con aria piuttosto perplessa durante quell’acceso scambio di accuse. Ora, evidentemente, Stone aveva deciso che la disputa fosse andata troppo oltre. Fece un risolino, il risolino conciliante del diplomatico di professione, e disse in tono mellifluo: «A quanto pare, signori miei, siete vecchi amici, pur senza esservi mai incontrati. O forse sarebbe piu esatto dire vecchi nemici?»

Bernard guardo sdegnato il Neopuritano. Brutto impostore baciapile penso. «Abbiamo avuto delle divergenze culturali» ammise.

«Ma non penserete di trascinarvi appresso queste divergenze per diecimila anni-luce, spero!» osservo Dominici. «Temo che l’aria diverrebbe piuttosto irrespirabile su quell’astronave, se voi due continuaste ad azzuffarvi sui morfemi etruschi. Non pare anche a voi?»

Bernard sorrise suo malgrado. Non si sentiva particolarmente ben disposto nei riguardi di Havig, ma tanto non aveva niente da guadagnare nel continuare quella lite. Le cause, pensava Bernard, sono troppo profonde perche si possa sperare di eliminarle facilmente. Era convinto che Havig lo odiasse con tutte le sue forze, e che fosse impossibile placarlo. D’altra parte, l’armonia della spedizione contava assai piu delle beghe personali. «Immagino che possiamo anche lasciare da parte gli Etruschi, durante il viaggio» disse. «Che ne dite, Havig? In fondo, la nostra divergenza di opinioni riguarda un campo molto limitato, direi.»

Tese la mano. Dopo un attimo di esitazione, il gigantesco Neopuritano la prese, sia pure con riluttanza. La stretta fu breve, e le due mani ricaddero subito inerti. Bernard e Havig avevano battagliato senza esclusione di colpi su una questione, per la verita, piuttosto secondaria. Era una di quelle polemiche in cui spesso gli specialisti si imbarcano quando le loro diverse specialita si scontrano su un punto di comune interesse. Pero non era certo di buon auspicio che proprio lui e Havig facessero parte della stessa spedizione; la barriera che esisteva tra le loro convinzioni personali era troppo grande per permettere una possibilita di vera collaborazione, e questo impensieriva Bernard.

«Bene» osservo innervosito Roy Stone «ormai la partenza puo avvenire da un minuto all’altro.»

«Il Tecnarca ha detto che avremmo avuto tempo come minimo fino a stasera» disse Bernard.

«Gia. Ma ormai siamo tutti riuniti. Anche l’astronave e l’equipaggio sono pronti. Percio, non c’e ragione di rimandare oltre la partenza.»

«Il Tecnarca non ama perdere tempo» brontolo cupamente Havig.

«E infatti non c’e tempo da perdere» replico Stone. «Quanto prima riusciremo a trattare con quegli esseri sconosciuti, tanto prima saremo riusciti a evitare una guerra tra le nostre civilta.»

«La guerra e inevitabile, Stone» obietto Dominici con ostinazione. «Non occorre essere un sociologo per capirlo. Due culture sono entrate in collisione. Non facciamo che sprecare tempo e fiato, andando a sbattere fin la per impedire l’inevitabile.»

«Se la pensate cosi» disse Bernard «perche mai, allora, avete accettato di partecipare alla spedizione?»

«Perche il Tecnarca mi ha chiesto di partecipare» rispose semplicemente Dominici. «Non c’e altro motivo, ma questo basta e avanza. Comunque, non ho fiducia nel successo di questa missione.»

La porta si dissolse all’improvviso. Il Tecnarca McKenzie entro, imponente e massiccio nei suoi abiti da parata. I Tecnarchi, oltre che per le loro qualita mentali, erano scelti anche in base alla figura e al portamento.

«Avete gia pensato a presentarvi?» chiese McKenzie.

«Si, Eccellenza» disse Stone.

McKenzie sorrise. «Tra quattro ore partirete dall’Australia Centrale. Ora prenderemo il transmat, nella stanza accanto. Il Comandante Laurance e i suoi uomini sono gia sul campo, per un ultimo controllo dell’astronave.» Gli occhi del Tecnarca andarono con espressione significativa da Bernard ad Havig, poi ancora a Bernard. «Ho scelto voi quattro per le vostre capacita, naturalmente. So che alcuni di voi hanno divergenze di vedute, in campo professionale. Dimenticatele. Siamo intesi?»

Bernard assenti. Havig fece un cenno scontroso.

«Bene» taglio corto il Tecnarca. «Ho nominato il dottor Bernard capo della spedizione. Questo significa che le decisioni finali, se le trattative dovessero arrivare a un punto morto, spetteranno a lui. Se qualcuno di voi non e d’accordo, lo dica subito.»

Il Tecnarca fisso Havig dritto negli occhi. Nessuno obietto.

McKenzie continuo: «Non occorre che vi raccomandi di collaborare col Comandante Laurance e col suo equipaggio. Sono persone ottime, ma sono appena rientrati da un viaggio snervante, e stanno per intraprenderne un altro. Non mettete alla prova i loro nervi. Se qualcuno di loro dovesse sbagliare a premere un tasto, potrebbe essere la fine per tutti.»

Il Tecnarca tacque, come se si aspettasse qualche domanda conclusiva. Non ce ne furono. Allora, voltandosi, fece strada verso la cella transmat. Stone, Havig e Dominici lo seguirono, con Bernard alla retroguardia.

Formiamo un gruppo stranamente assortito per essere una spedizione in viaggio verso le stelle penso Bernard. Ma il tecnarca sa di certo quello che fa. Almeno, spero che lo sappia.

4

Una cosa, il genere umano aveva disimparato a fare, nei pacifici anni di espansione sotto l’Arconato: non sapeva piu aspettare. Il transmat consentiva trasporti e comunicazioni istantanei: da qualsiasi punto della sfera di dominio terrestre, ed entro un raggio di quattrocento anni-luce, ogni spostamento richiedeva soltanto una frazione di secondo. Comodita del genere non contribuiscono certo a formare una societa di uomini pazienti. Di tutti i figli della Terra, solo pochissimi erano ancora capaci di aspettare; tra questi, sicuramente i piloti spaziali che guidavano le solitarie astronavi nel buio dei vuoti interstellari, per andare a installare i generatori dei campi transmat che, successivamente, avrebbero permesso a tutti gli esseri umani di raggiungere istantaneamente la medesima destinazione.

Qualcuno doveva pur compiere per la prima volta quei tragitti impiegando il tempo richiesto dalla velocita comunque limitata delle astronavi. Ed ecco perche i piloti spaziali sapevano come colmare le lunghe ore di attesa: lasciavano che il tempo scorresse ritmato dagli infiniti giri delle lancette dell’orologio. Non cosi gli altri, che durante quelle ore erano addirittura rosi dall’impazienza.

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