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Nei recessi del labirinto, immobile nella luce verde e lattiginosa dell’osservatorio, Muller osservava la nave, le cupole di plastica spuntate accanto allo scafo, e le minuscole figure degli uomini affaccendati la attorno. Ora gli spiaceva di non essere riuscito a scoprire il comando della sintonia: le immagini che riceveva erano tutte sfuocate. Comunque era gia fortunato a potersi servire dell’osservatorio; parte delle attrezzature che si trovavano nella citta erano inutilizzabili da lunghissimo tempo, perche questo o quel meccanismo d importanza vitale si erano guastati. Gli strumenti che avevano superato i millenni erano un monumento all’abilita tecnica dei costruttori, ma Muller era riuscito a scoprire il funzionamento soltanto di alcuni, e anche quelli li usava in modo imperfetto.

Osservo gli uomini che lavoravano alacremente, e si chiese quale nuovo tormento stessero preparandogli.

Quando era fuggito dalla Terra, aveva cercato di non lasciare tracce. Era arrivato li su una nave presa a nolo, dichiarando, a mezzo Sigma Draconis, un piano di volo immaginario. Aveva dovuto superare sei stazioni di controllo durante il viaggio, ma a ciascuna aveva segnalato un percorso galattico falso. Attraverso il controllo periodico delle varie stazioni avrebbero scoperto che le posizioni comunicate una dopo l’altra da Muller non corrispondevano alla realta. In questo modo lui aveva sperato di garantirsi la prosecuzione del suo viaggio prima della meta finale e comunque prima che venisse effettuata un’ispezione. Aveva avuto fortuna: nessuna astronave era stata inviata per fermarlo.

Una volta arrivato in prossimita di Lemnos, aveva lasciato l’astronave in un’orbita di parcheggio, ed era sceso con una capsula d’atterraggio. Una bomba dirompente precedentemente programmata aveva disintegrato la nave al momento stabilito, sparpagliandone i frammenti nell’Universo. Ci sarebbe voluto un calcolatore davvero fantastico per trovare un nesso fra tutti quei frammenti e il punto preciso dell’esplosione! La bomba era stata progettata in modo da imprimere cinquanta false direzioni per ogni metro quadrato della superficie di esplosione, dando cosi la garanzia che nessun calcolatore avrebbe potuto compiere un lavoro efficace in un periodo di tempo finito. E Muller aveva bisogno di un tempo brevissimo: una sessantina d’anni. Sessant’anni di solitudine e una morte tranquilla. Non chiedeva altro.

Davvero l’avevano scoperto?

No, impossibile. E poi, non avevano motivo di inseguirlo: non era un fuggiasco che dovesse rendere conto alla Giustizia. Era semplicemente un uomo afflitto da un male odioso, che lo rendeva inviso agli altri esseri della sua specie, e certamente la Terra era felice di essersi sbarazzata di lui. La cosa migliore che potesse fare per gli uomini era di togliersi dai piedi, e lui l’aveva fatto nel modo piu completo possibile.

Ma chi erano, allora, quegli intrusi?

Forse archeologi. Le rovine della citta di Lemnos avevano un fascino irresistibile per loro, per tutti. Muller aveva sperato che i pericoli del labirinto continuassero a tenere lontani gli uomini. Era stato scoperto da oltre un secolo, ma, ultimamente, da parecchi anni, tutti lo evitavano, e per una buona ragione. Muller aveva visto gli scheletri di coloro che avevano tentato di penetrare nel dedalo di strade e che non ne erano usciti mai piu.

Comodamente sistemato al centro del labirinto, Muller poteva servirsi di un numero di dispositivi sufficienti a controllare, anche se in modo confuso, le mosse di qualsiasi creatura vivente che si trovasse all’esterno. Cosi era in grado di individuare gli spostamenti degli animali di cui si nutriva e delle bestie pericolose. Poteva anche controllare le insidie del labirinto, ma fino a un certo punto. In genere si trattava di trabocchetti costruiti a scopo difensivo, ma che potevano essere impiegati anche per fronteggiare eventuali nemici. Si chiese se avrebbe mai trovato il coraggio di usare quei mezzi contro esseri umani che avessero osato penetrare nella citta. Non seppe darsi una risposta. In fondo non odiava veramente la sua razza. Voleva semplicemente essere lasciato in pace.

Guardo gli schermi. Si trovava in un locale esagonale, dentro un edificio della citta interna. Su una parete era allineata una serie di monitor. Gli ci era voluto piu di un anno per scoprire quali zone del labirinto corrispondessero alle immagini dei vari schermi, ma disseminando pazientemente segni di riferimento dappertutto, era riuscito ad accoppiare le immagini ai diversi punti della citta. I sei schermi in basso mostravano le varie zone, dalla A alla F; le telecamere, o cos’altro erano, ruotavano sul loro asse per un arco di 180 gradi, permettendo ai misteriosi «occhi» nascosti di scrutare tutta l’area circostante l’entrata di ciascuna zona. Poiche soltanto una porta permetteva di accedere all’anello piu interno, e le altre conducevano alla morte, Muller aveva modo di controllare il cammino di qualsiasi intruso.

Gli schermi numero sette, otto, nove e dieci, che costituivano la fila superiore, registravano immagini provenienti dalle zone G e H, quelle piu esterne, piu vaste e piu pericolose del labirinto. Muller non aveva voluto tornare la per scoprire altri particolari; gli bastava sapere chi i video erano in collegamento con le varie zone. Non valeva certo la pena di correre rischi per localizzare esattamente gli «occhi». L’undicesimo e il tredicesimo schermo inquadravano la pianura esterna al labirinto, dove ora si trovava l’astronave appena arrivata dalla Terra.

Non tutte le opere degli antichi costruttori erano altrettanto utili e comprensibili. Nella piazza centrale della citta, sistemata su una pedana e riparata da una cupola di cristallo, c’era una pietra color rubino. Presentava dodici sfaccettature, e nel suo interno ticchettava e pulsava un meccanismo sconosciuto.

Muller riteneva che si trattasse di una specie di orologio collegato a un’oscillazione nucleare, che scandiva le unita di tempo impiegate dal costruttore. Periodicamente la pietra subiva alcuni mutamenti temporanei: la sua superficie si appannava, il colore diventava piu scuro, volgendo al blu e perfino al nero, ed essa cominciava a ruotare sul proprio asse. Muller annotava tutto accuratamente, ma non era ancora riuscito a capire il significato di quei mutamenti. Non poteva neanche analizzarne la periodicita. I cambiamenti non si verificavano a caso, ma la chiave per interpretare il fenomeno gli sfuggiva.

Agli otto angoli della piazza c’erano otto pali metallici a base quadrata, alti ognuno sette metri circa, con l’estremita superiore appuntita. Lungo tutto il ciclo di un anno, quei pali ruotavano sul proprio asse. Probabilmente erano calendari che poggiavano su un basamento nascosto. Muller sapeva che compivano un giro completo per ogni orbita di Lemnos intorno al suo sole color arancione, ma sospettava che avessero uno scopo piu importante. Percio trascorreva buona parte del suo tempo nel tentativo di scoprirlo.

Disposte a intervalli regolari nelle strade del settore A, c’erano diverse gabbie scavate in una roccia che pareva di alabastro. Muller non capiva in che modo si aprissero, tuttavia, per due volte durante la sua permanenza su Lemnos, aveva constatato, al suo risveglio, che le sbarre si erano ritirate nel pavimento di pietra, lasciando le gabbie spalancate. La prima volta erano rimaste cosi per tre giorni, poi, mentre lui dormiva, le sbarre erano tornate nella posizione primitiva. Quando le gabbie si erano aperte di nuovo, alcuni anni dopo, Muller le aveva sorvegliate senza interruzione per scoprire il segreto del loro meccanismo. Ma la quarta notte si era appisolato per un istante. Era bastato per fargli perdere lo spettacolo.

L’acquedotto non era meno misterioso. Lungo tutto il settore B correva una specie di canale chiuso, forse di onice, con rubinetti disposti ad angolo retto e sistemati alla distanza di cinquanta metri uno dall’altro. Quando un recipiente qualsiasi, anche solo le mani unite a coppa, veniva posto sotto uno dei rubinetti, dal corto tubo sgorgava acqua. Eppure, quando Muller aveva cercato di infilare un dito nel tubo, non aveva trovato nessuna apertura. Era come se l’acqua sgorgasse da una pietra permeabile. Muller non riusciva a capire come funzionasse, ciononostante si serviva quotidianamente di quel canale.

Lo sorprendeva che gran parte della citta fosse ancora in piedi. Dopo avere studiato a lungo i manufatti e gli scheletri trovati su Lemnos fuori del labirinto, gli archeologi avevano concluso che da almeno un milione di anni su quel mondo non esisteva alcuna forma di vita intelligente. Tuttavia la maggior parte della citta, che si riteneva fosse stata costruita prima dell’evoluzione del genere umano sulla Terra, sembrava non essere stata toccata dai secoli. Forse era il clima secco: da quando Muller era arrivato, non un temporale, non una goccia di pioggia. Eppure, con l’andare del tempo, il vento e le tempeste di sabbia avrebbero dovuto corrodere mura e pavimentazioni. Invece non c’era alcun segno di erosione. E nemmeno si era accumulata sabbia nelle strade. Ma Muller sapeva il perche di questo fenomeno: pompe nascoste aspiravano tutti i detriti, mantenendo un’estrema pulizia dappertutto. Un giorno aveva raccolto manciate di terra dai giardini e le aveva sparse qua e la; dopo pochi minuti i granelli neri aveva cominciato a slittare sul pavimento lucido ed erano scomparsi in fessure che si erano aperte per alcuni istanti lungo la linea di congiunzione fra il suolo e i muri degli edifici, richiudendosi subito dopo.

Evidentemente sotto la citta c’era una rete di meccanismi straordinari che, come guardiani immortali, la difendevano dalle insidie del tempo. Pero Muller non era stato capace di scoprirla. Aveva cominciato a scavare con arnesi improvvisati nelle aree riservate ai giardini per raggiungere la zona sotterranea, ma benche avesse scavato due pozzi profondi diversi metri, non aveva trovato altro che terra. Tuttavia i guardiani invisibili dovevano trovarsi li: erano gli strumenti che azionavano le camere televisive, che ripulivano le strade, riparavano gli eventuali danni

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