prodottisi nelle costruzioni in muratura, e tenevano sotto controllo le trappole mortali sparse nelle zone periferiche del labirinto.

Difficile immaginare come potesse essere la razza che aveva costruito una citta del genere, una citta progettata per durare milioni di anni. Ancora piu difficile era immaginare come potesse essere scomparsa. Accettando l’ipotesi che i fossili trovati nel campo di sepoltura all’esterno delle mura appartenessero ai costruttori, la citta doveva essere stata creata da umanoidi alti un metro e mezzo, con torace e spalle straordinariamente grossi, dita lunghe e sottili (otto per mano) e gambe corte, con due articolazioni. Erano scomparsi dai mondi conosciuti dell’Universo e nessuna creatura simile era stata trovata in altri sistemi: forse si erano rifugiati in qualche galassia lontana, non ancora esplorata dall’uomo, o forse si trattava di una specie che non aveva mai viaggiato nello spazio e che si era spenta li, su Lemnos, lasciando la citta come proprio monumento funebre.

Sul pianeta non c’erano altre tracce di vita fuori dalla citta.

Forse i costruttori del labirinto erano stati sterminati nelle strade della loro citta, e i guardiani meccanici ne avevano fatto scomparire le ossa? Impossibile saperlo. Erano semplicemente scomparsi. Entrando nella citta, Muller l’aveva trovata silenziosa e desolata come se non avesse mai ospitato la vita, una citta automatica, sterile e senza macchie. Soltanto le bestie l’abitavano: avevano avuto un milione di anni per impossessarsi del labirinto. Muller aveva contato circa ventiquattro specie di mammiferi di tutte le dimensioni, da quelli piccoli come topi a quelli grossi come elefanti. C’erano erbivori che brucavano l’erba nei giardini e carnivori che divoravano gli erbivori. L’equilibrio ecologico sembrava perfetto.

Adesso la citta era sua.

Altri erano arrivati fin la, e non sempre si era trattato di uomini.

Quando, per la prima volta, era penetrato nel labirinto, Muller si era rallegrato alla vista di quelli che non erano riusciti a trovare la strada giusta. Nelle zone H, G, F, aveva scorto una ventina di scheletri umani. Tre uomini si erano spinti fino alla zona E, e uno fino a quella D. Trovare resti umani non era stata una sorpresa. L’aveva invece sbalordito la quantita di scheletri appartenuti a creature sconosciute: nelle zone H e G, aveva trovato resti di esseri enormi simili a draghi, ancora avvolti in brandelli di tute spaziali. Forse un giorno la curiosita avrebbe avuto il sopravvento sulla paura, e lui sarebbe tornato indietro per dare ancora un’occhiata. Presso il nucleo centrale giaceva un assortimento di altri scheletri, per la maggior parte umanoidi, diversi pero dalla struttura standard. Impossibile indovinare quanto tempo prima fossero arrivati li. Forse, in un clima tanto secco, le ossa potevano durare piu di qualche secolo. Quei resti galattici ricordavano a Muller qualcosa che lui sapeva gia. Nonostante le esperienze negative fatte dall’uomo durante i primi secoli di viaggi extrasolari, durante i quali i Terrestri non avevano incontrato nessuna specie intelligente e vivente, l’Universo era pieno di altre forme di vita che, prima o poi, sarebbero state scoperte. Il cimitero di Lemnos ospitava resti di almeno dodici razze diverse, e forse piu.

Per molti anni non aveva pero notato l’incongruenza di un particolare. Sapeva che il meccanismo della citta puliva senza sosta, facendo scomparire ogni cosa, dal granello di polvere alle ossa degli animali di cui lui si cibava, tuttavia gli scheletri di quelli che probabilmente avevano cercato di invadere il labirinto erano rimasti al loro posto. Perche far sparire la carogna di un animale grosso come un elefante che era incappato in una trappola e risparmiare invece il cadavare di una specie di drago, ucciso dalla medesima trappola? Forse perche quest’ultimo indossava degli indumenti protettivi e quindi doveva essere una creatura intelligente? Muller si era accorto che gli scheletri di animali intelligenti non venivano rimossi.

Forse servivano di monito.

Probabilmente facevano parte della guerra psicologica programmata dal «cervello» di quella diabolica citta immortale: gli scheletri, forse, avevano la funzione di avvertire gli intrusi che i pericoli, pericoli mortali, erano in agguato dovunque. Come il guardiano meccanico potesse distinguere tra i cadaveri che dovevano restare sul posto e quelli che bisognava far scomparire, Muller proprio non lo sapeva, ma sicuramente una selezione veniva fatta.

Guardo di nuovo gli schermi: le figure umane si muovevano intorno all’astronave, sulla pianura.

Vengano pure penso Muller. Sono anni che la citta non ha le sue vittime. Se ne occupera lei stessa. Io, qui, sono al sicuro.

Del resto sapeva bene che, se anche quelli fossero riusciti a raggiungerlo, non sarebbero certamente rimasti a lungo. La sua particolare malattia li avrebbe fatti scappare. Anche se fossero stati abbastanza intelligenti da sconfiggere il labirinto, non avrebbero pero resistito al male che rendeva un uomo insopportabile agli esseri della propria specie.

«Andatevene!» disse ad alta voce.

Senti il rombo dei rotori, e usci dal rifugio per osservare un’ombra nera che attraversava lentamente la piazza. Stavano esplorando il labirinto dall’alto.

Rientro in fretta, poi rise dell’impulso che l’aveva spinto a nascondersi. Potevano individuarlo dovunque fosse. I loro schermi avrebbero rivelato comunque la presenza di un essere umano nel labirinto, e allora quelli avrebbero certamente tentato di mettersi in contatto con lui, anche se non sapevano chi fosse. Dopo di che…

Si irrigidi, preso di colpo da un violento desiderio: fare in modo che lo raggiungessero. Parlare ancora con gli uomini. Spezzare il suo tremendo isolamento… «Voleva» che lo raggiungessero!

Ma fu questione di un istante. Un attimo di debolezza.

Subito la sua mente torno lucida, consapevole di quello che significava affrontare di nuovo gli uomini. No! penso. State alla larga! O crepate nel labirinto. Alla larga, alla larga, alla larga!

4

«Ecco, la! Proprio la» disse Boardman. «Ecco dove dev’essere, Ned. Guarda, lo schermo si e illuminato. Abbiamo captato la massa giusta, la densita giusta, tutto giusto! C’e un uomo vivo, e non puo essere che Muller.»

«Nel cuore del labirinto» disse Rawlins. «Allora ce l’ha fatta davvero!»

«Gia.» Boardman guardo di nuovo. Da un’altezza di due chilometri, la struttura della citta interna era chiaramente visibile. Riusciva a scorgere otto zone distinte, ciascuna col suo stile architettonico caratteristico, le sue piazze e le sue passeggiate, i muri, il groviglio di strade che serpeggiavano seguendo un tracciato tanto complesso da dare le vertigini. Le zone concentriche si allargavano a ventaglio da una grande piazza che stava proprio al centro. Il rivelatore di massa dell’aereo aveva localizzato Muller in una fila di edifici bassi, nella parte est della piazza. Quello che Boardman non riusciva a vedere erano i passaggi che collegavano tra loro le varie zone. C’erano un’infinita di vicoli ciechi, e neanche dall’alto era possibile individuare la strada giusta. Come si poteva trovarla a terra?

Era estremamente difficile, Boardman lo sapeva bene. I dati conservati nell’astronave tenevano conto di lutti gli esploratori che avevano tentato l’impresa e che avevano fallito. Fra tutte le informazioni riguardanti l’esplorazione del labirinto ce n’era solo una positiva: Muller ce l’aveva fatta.

«Forse vi sembrera una domanda ingenua» disse Rawlins «ma perche non scendiamo con l’aereo proprio in mezzo alla piazza principale?»

«Te lo dimostro subito.»

Boardman diede un ordine, e un robot ricognitore si stacco dal ventre dell’apparecchio dirigendosi verso la citta. I due uomini lo seguirono con lo sguardo, finche arrivo a poche decine di metri dagli edifici. Attraverso l’occhio sfaccettato del robot, videro la complessita dell’agglomerato di pietra. All’improvviso il ricognitore scomparve. Un’esplosione incandescente, uno sbuffo di fumo verdastro, poi piu niente.

«Visto? C’e ancora un campo protettivo sopra la citta» disse Boardman. «Tutto cio che tenta di attraversarlo viene disintegrato.»

«Allora anche un uccello che si avvicinasse troppo…»

«Non esistono uccelli su Lemnos.»

«Le gocce di pioggia, allora, o qualsiasi altra cosa che cada sulla citta.»

«Qui non piove mai» dichiaro Boardman, cupo. «Perlomeno, non su questo continente. L’unica cosa che quel

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