chiaramente. Dal cielo provengono rauche risate. L’aroma degli eleganti fiori cremosi risale dal ruscello, diventa aspro e pungente, e scompare. L’aria diventa fredda. Rabbrividisce. Comincia a cadere una pioggia leggera. Lui studia le enigmatiche costellazioni e le trova complessivamente estranee. In distanza la musica pervade la notte. I toni scendono, diminuiscono, per poi ricrescere in una melodia semplice e tremolante, e lui si accorge di poterli modificare portando quelle melodie ad adattarsi a lui: intarsia un vivace suono di corno, una melodia, un minuetto. Piccoli animali gli passano accanto. Sono scomparsi i topi? Sono estinti gli scoiattoli? Dove sono le scimmie? Dove sono i cerbiatti? Eppure sa che puo imparare ad amare questi nuovi animali. L’illimitata fertilita dell’evoluzione, rivelandoglisi in questi scoppi luminosi di abbondanza, lo rende felice, e lui trasforma la musica in un inno di lode. Di qualunque cosa si tratti, e positiva. Dalla plasticita delle tonalita informi estrae le percussioni e i fiati di un Te Deum. Contro questa melodia in un improvviso e brusco contrappunto si sentono passi pesanti, e lui non e piu solo, perche emergono tre grosse creature, che gli si avvicinano. In questo momento il sogno e pauroso. Che sono queste cose, cosi bestiali, cosi maligne, cosi malevolenti? Erette, bipedi, hanno grandi alluci piatti, grandi petti, grosse pance capaci, spalle massicce. Sono piu alte di lui, e le precede un aroma dolciastro di decomposizione: volti crudeli, non di meno quasi umani, occhi scintillanti, nasi schiacciati, bocche grandi e carnose, barbe grigie e sottili che puzzano di letame. Si avvicinano muovendosi sgraziatamente, piegando le ginocchia, i corpi piegati in avanti all’altezza della cintola, colossali capre bipedi vagamente somiglianti agli esseri umani. Ovunque vadano, semi untuosi balzano nell’aria, spandendo odore di pesce. La pelle e bianca, cartacea e raggrinzita, e pende molle sui muscoli possenti e sulla carne spessa; piccoli foruncoli bitorzoluti sono presenti un po’ ovunque. Nell’avvicinarsi sgraziatamente annuiscono, grugniscono, fiutano, e si scambiano sgradevoli commenti mormorati. Non gli prestano la minima attenzione. Li guarda passare. Chi sono queste creature incomprensibili? Teme che siano la razza superiore di quel periodo, la specie dominante, i successori dell’uomo, forse addirittura i discendenti dell’uomo, e questo pensiero lo scuote e lo sconvolge al punto di farlo cadere al suolo, contorcendosi disperato, schiacciando i luccicanti abitatori della notte che continuano a sciamargli accanto. Pianta i palmi delle mani per terra. Afferra i semi maligni che sono appena sbocciati, e li strappa dal suolo. Appoggia la fronte contro una roccia levigata. Vomita, senza emettere nulla. Si stringe terrorizzato le braccia al petto. Realmente queste creature hanno ereditato il mondo? Immagina di vederne una congregazione, inginocchiata nei loro templi. Li vede mentre escono dal Taj Mahal sotto la luna piena. Li vede arrampicarsi sulle Piramidi, sputacchiare oscenamente su un Raffaello o un Veronese, frantumare Mozart coi loro grugniti osceni. Singhiozza. Percuote il suolo. Prega che il mattino arrivi al piu presto. Nell’angoscia il pene ha un’erezione, lui l’afferra, e, ansimando, spruzza il suo seme. Giace sulla schiena e cerca la luna, ma non c’e ancora nessuna luna, e le stelle gli sono del tutto estranee. Ritorna la musica. Ha perso il potere di darle forma. Sente solo il battito e lo stridio di pezzi di metallo e l’urlo sgraziato di membrane lacerate. Disperatamente, rabbiosamente canta per coprirne i rumori, strillando nell’oscurita, ricoprendo quei suoni rauchi con una stratificazione di suoni ordinati, e in questo modo passa la notte, insonne, a disagio.

2

Strisce di luce nascente percorrono il cielo. L’oscurita e vinta dal rosa, dal grigio e dal blu. Si stiracchia e saluta il mattino, ritrovandosi affamato e assetato. Ritorna al ruscello, ci si inginocchia vicino, si spruzza un po’ d’acqua sul volto, si sciacqua i denti e gli occhi, e, imbarazzato, toglie dalle cosce lo sperma secco e appiccicoso. Poi beve avidamente fino a quando la sete scompare. Cibo? Si china ancora di piu, e, con una destrezza che lo stupisce, prende dal ruscello un pesce guizzante. Le sue scaglie levigate sono blu scuro, e in esse pulsano delicatamente filamenti rossi. Crudo? Be’, si, che altro? Ma almeno non vivo. Prima gli fracassera la testa su una roccia.

— No, per favore. Non farlo — dice una voce dolce.

E disposto a credere che il pesce stia pregando di avere salva la vita. Ma su di lui cade un’ombra purpurea; non e solo. Voltandosi, vede dietro di se una figura magra ed esile. La fonte della voce. — Io sono Hanmer — dice il nuovo venuto. — Il pesce… per favore… ributtalo in acqua. Non e necessario. — Un sorriso gentile. Si tratta di un sorriso? E una bocca? Sente che e meglio ubbidire a Hanmer. Ributta il pesce nell’acqua. Con un colpo di coda di scherno, quello si allontana guizzando. Lui si volta di nuovo verso Hanmer e dice: — Non vorrei farlo. Ma ho molta fame, e mi sono perso.

— Dammi la tua fame — dice Hanmer.

Hanmer non e umano, ma la somiglianza e evidente. Ha le dimensioni di un bambino alto, e il suo corpo, anche se magro, non sembra fragile. La sua testa e grossa ma il collo e massiccio e le spalle sono larghe. Non c’e su di lui la minima traccia di peluria, La sua pelle e verde-oro e ha le qualita durevoli, resistenti di un’ottima plastica. I suoi occhi sono globi scarlatti dietro rapide palpebre trasparenti. Il suo naso non e che un promontorio; le sue narici sono fessure abbozzate; la bocca e una fenditura orizzontale e sottile che non si apre mai a sufficienza per rivelarne l’interno. Ha molte dita all’estremita degli arti superiori; non cosi ai piedi. Le braccia e le gambe hanno una giuntura al gomito e al ginocchio, ma le giunture sembrano praticamente universali, conferendogli un’immensa liberta di movimento. Il sesso di Hanmer e un vero enigma. Qualcosa nel suo aspetto sembra indiscutibilmente maschile, e non ha seni ne altre caratteristiche femminili visibili. Ma dove dovrebbe esserci un membro maschile, ha solo una curiosa tasca verticale che si apre verso l’interno, vagamente simile alla fessura vaginale, senza pero esserle realmente paragonabile. Sotto, invece di due testicoli ballonzolanti, c’e una sola piccola sacca rigida, probabilmente equivalente allo scroto: come se, restando il fine evoluzionistico quello di tenere le gonadi all’esterno del corpo, la natura avesse trovato un contenitore piu efficiente. Non possono esserci dubbi sul fatto che gli antenati di Hanmer, in qualche epoca remota, fossero umani. Ma puo essere definito anche lui un uomo? Figlio dell’uomo, forse. — Vieni qui — dice Hanmer. Allunga le braccia in avanti. Tra le dita ci sono membrane delicate. — Come ti chiami, straniero?

E necessario pensarci un momento. — Ero Clay — lui risponde a Hanmer. Il suono del suo nome cade al suolo e rimbalza. Clay. Clay. Io ero Clay. Io ero Clay quando ero Clay. Hanmer sembra soddisfatto. — Vieni, allora, Clay — dice gentilmente. — Prendero la tua fame. — Esitante Clay da la mano a Hanmer. Viene tirato piu vicino. I loro corpi si toccano. Clay si sente degli spilli negli occhi e un fluido nero che gli scorre impetuoso nelle vene. Diventa nettamente consapevole del viluppo di vasi sanguigni presenti nella sua pancia. Riesce a sentire i deboli rumori prodotti dalle sue ghiandole. Dopo un momento Hanmer lo libera e lui si ritrova completamente affrancato dalla fame; gli riesce incomprensibile aver considerato la possibilita di divorare un pesce solo pochi momenti prima. Hanmer ride: — Va meglio adesso?

— Meglio. Molto.

Con l’alluce Hanmer traccia velocemente una linea sul terreno. Il suolo si apre senza difficolta, e Hanmer ne estrae un tubero grigio, massiccio e pesante. Lo porta alle labbra e lo succhia per qualche momento. Poi lo porge a Clay, che lo fissa indeciso. Si tratta di una prova?

— Mangia — dice Hanmer. — E permesso. — Anche se la fame e scomparsa, Clay succhia il tubero. Alcune gocce di un sugo appiccicaticcio gli entrano in bocca. Fiamme improvvise gli scuotono il cranio, facendolo sobbalzare fin nelle sue fibre piu intime. Hanmer gli si avvicina, afferrandolo appena prima che cada per terra, e lo abbraccia nuovamente; Clay sente gli effetti del succo decrescere istantaneamente. — Perdonami — dice Hanmer. — Non avevo capito. Devi essere terribilmente antico.

— Cosa?

— Uno dei piu antichi, suppongo. Preso nel flusso del tempo come tutti gli altri. Noi vi amiamo. Vi consideriamo i benvenuti. Ti sembriamo paurosi, o strani? Ti senti solo? Hai nostalgia? Ci insegnerai qualcosa? Ti offrirai a noi? Ci delizierai?

— Che mondo e questo?

— Il mondo. Il nostro mondo.

— Il mio mondo?

— Lo era. Puo esserlo.

— Che periodo e questo?

— Un buon periodo.

— Sono morto?

Hanmer ridacchia. — La morte e morta.

— Come sono arrivato qui?

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