— No — dice Hanmer. — Chi difenderebbe un’idea del genere? Chi rifiuterebbe il mandato del destino umano?

— Noi vivevamo — dice Clay — nella tensione tra l’impulso a muoverci e la paura di arrampicarci troppo in alto. Ma continuavamo a salire, anche se scossi dalla paura. E siamo diventati dei. Siamo diventati voi, Hanmer! Eppure, riesci a vedere la nostra punizione? Per la nostra hybris siamo stati dimenticati.

E compiaciuto della complessita delle sue affermazioni. Aspetta la risposta di Hanmer, ma non giunge nessuna risposta. Lentamente, si rende conto che Hanmer e scomparso. Stufo delle mie chiacchiere? Ritornera? Tutto ritorna. Clay aspettera la fine della notte senza muoversi da quel posto. Cerca di dormire, ma si ritrova perfettamente sveglio. Non ha dormito fin dal suo primo risveglio qui. Non riesce a vedere quasi nulla nell’oscurita fittissima. Ma ci sono i suoni. Il rumore di una corda pizzicata pervade l’aria. Poi arriva un suono che ricorda quello di qualche grossa massa che sta vibrando lentamente e poderosamente. Poi sente l’innalzarsi di sei colonne massicce di pietra che si infrangono al suolo. Un rumore acuto e straziante. Un boato intenso e cupo. Un frinire di globi perlacei. Un gorgoglio viscido. Uno sbattere d’ali. Uno spruzzo. Un cigolio. Un sibilo. Dov’e l’orchestra? Non si vede nessuno, nei pressi. E sicuro di essere rinchiuso in un cono scuro di solitudine. La musica si dissolve, lasciando solo alcuni aromi fragranti. Sente salire una foschia che lo avvolge completamente. Si chiede fino a che punto siano contagiosi i miracoli di Hanmer, e gli esperimenti di trasformazione sessuale; giacendo supino su una lastra gelida e scivolosa, cerca di farsi crescere il seno. Irrigidito dalla concentrazione, cercando di far sorgere due montagnole carnee sul petto, fallisce; si chiede se sarebbe piu efficace cominciare stimolando le strutture ghiandolari interne delle mammelle, e poi tenta di immaginare quale aspetto dovrebbe assumere la struttura, e fallisce; si chiede se non gli sarebbe impossibile sviluppare ghiandole femminili senza prima sbarazzarsi degli organi maschili, e si concentra brevemente sulla possibilita di estrometterli dall’esistenza, ma esita, e fallisce. Considera quindi questo tentativo di cambiamento di sesso come un insuccesso. Poi, pensando di visitare le coste ghiacciate di Saturno, cerca di dissolversi e salire. Per quanto ansimi, sudi e si sforzi, rimane irrimediabilmente materiale; ma poi si sorprende quando, in un momento di rilassamento tra due sforzi, riesce realmente a emanare la pallida nube grigia della dissoluzione. La cosa lo incoraggia. Si aggrappa a questo risultato. E convinto di essere quasi riuscito a farcela, e ispeziona attentamente la sua periferia, cercando di salire. Qualcosa sta indubbiamente accadendo, ma non sembra essere esattamente la stessa cosa avvenuta in precedenza. Un bagliore opaco e verdastro lo avvolge, e sente tutt’intorno suoni aspri e sgradevoli. Dopo di che ricade al suolo. Lascia quindi via libera alle sue paure e percorre spontaneamente una buona meta dello spettro prima di riuscire a riconquistare una qualche forma di controllo sulla situazione. L’uomo e stato creato per fare cose di questo tipo? Non si sta avventurando forse in un territorio proibito? No! No! No! Si attenua. Si dissolve. Ondeggia come una foglia al vento, quasi contro la sua volonta, un po’ incapace di compiere quell’atto finale di separazione dai legami terreni. E molto vicino, pero. Luci vorticano nel cielo: arancioni, gialle, rosse. E decisamente ansioso di riuscire, e per un momento pensa di essere realmente riuscito, poiche prova la sensazione di poter recidere ogni legame e di lanciarsi nel firmamento, e i gong risuonano e le luci lampeggiano, e c’e una sensazione terribile di strappo e qualcosa di straordinario accade…

Ma si rende conto di non essere andato da nessuna parte. Sembra invece aver attratto qualcosa a lui.

E seduto accanto a lui sulla piattaforma levigata. E uno sferoide rosa levigato e ovale, gelatinoso, ma solido, rinchiuso in una gabbia rettangolare fatta di un qualche pesante metallo argenteo. La gabbia e lo sferoide sono interconnessi: le sbarre incrociano il corpo in diversi punti. Una singola ruota lucente e sferica sostiene il pavimento della gabbia. Lo sferoide gli parla con un gorgoglio confuso. Clay non riesce a capire nulla. — Pensavo che ci fosse una sola lingua — dice. — Che cosa mi stai dicendo? — Lo sferoide parla ancora, evidentemente ripetendo le sue affermazioni, enunciandole con maggior precisione, ma Clay non riesce ancora a comprendere. — Mi chiamo Clay — dice, costringendosi a sorridere. — Non so come ho fatto ad arrivare qui. Non so neanche come abbia fatto tu a finire qui, ma forse ti ho chiamato involontariamente, — Dopo una pausa lo sferoide risponde in maniera inintelligibile. — Mi dispiace — dice Clay. — Sono un primitivo. Sono ignorante. — Improvvisamente lo sferoide diventa verde scuro. La sua superficie si agita e tremola. Una striscia di occhi luminosi compare e svanisce. Clay sente dita gelide che gli palpano delicatamente la fronte, accarezzando i lobi del cervello primitivo. In un flusso veloce e immediato riceve l’anima dello sferoide, e comprende che sta dicendo: Sono un essere umano civilizzato, nativo del pianeta Terra, che e stato strappato dal suo ambiente naturale da forze inesplicabili e trascinato in questo luogo. Sono solo e infelice. Vorrei tornare al mio gruppo-matrice. Ti prego, dammi aiuto, nel nome dell’umanita!

Lo sferoide si appoggia alle sbarre della sua gabbia, evidentemente esausto. La sua forma diventa asimmetrica e il suo colore diventa giallo pallido.

— Penso di aver seguito il tuo discorso — dice Clay. — Ma come posso fare ad aiutarti? Anch’io sono una vittima del flusso temporale. Sono un uomo dell’alba della storia. Condivido la tua solitudine e infelicita; sono perso esattamente quanto te.

Lo sferoide si agita debolmente diventando arancione pallido.

— Riesci a capire quello che ho detto? — chiede Clay. Non c’e risposta. Clay conclude che questa creatura, che dichiara di essere umana anche se ha una forma completamente aliena, deve provenire da un momento situato ancora piu avanti lungo la curva del tempo, oltre le possibilita evolutive della razza di Hanmer. E la logica dell’evoluzione a dirglielo. Hanmer, se non altro, ha braccia e gambe, testa, occhi e genitali. E le stesse caratteristiche sono presenti anche nelle bestie umano-caprigne, appartenenti evidentemente a un periodo intermedio tra quello di Clay e quello di Hanmer. Ma questa creatura, ormai completamente priva di arti, tutta l’umanita rinchiusa in qualche sacca invisibile, interna, e certamente l’ultima versione dello schema. Clay si sente un po’ in colpa, convinto di aver attratto lo sferoide dal suo gruppo-matrice nel corso dei suoi maldestri tentativi di liberarsi, ma sente anche una nota sottile di orgoglio per il fatto di essere riuscito a fare una cosa del genere, se pur non volontariamente. Ed e un piacere incontrare qualcuno ancora piu confuso ed emotivo di se stessi. — Possiamo in qualche modo comunicare? — chiede.

— Possiamo raggiungerci attraverso questa barriera? Ascolta! Mi avvicinero a te. Sto aprendo la mia mente al massimo possibile. Devi perdonare le mie deficienze. Provengo dall’Era dei Vertebrati. Sono molto piu vicino al Pitecantropo che a te. scommetto. Parlami. Donde esta el telefono? — Lo sferoide ritorna a una tonalita molto simile al rosa originario. Amichevolmente offre a Clay una visione: una citta di grandi piazze e torri splendenti, nelle cui gradevoli strade si muovono molti gruppi di sferoidi rosa, ciascuno rinchiuso nella sua gabbia splendente. Fontane inviano cascate di acqua verso il cielo. Luci di molti colori vorticano e ammiccano. Gli sferoidi si incontrano, si salutano reciprocamente, di tanto in tanto allungano tentacoli protoplasmici attraverso le sbarre delle gabbie in una specie di stretta di mano. Arriva la notte. C’e la luna! L’hanno ricostruita, crateri e tutto quanto? Osserva l’amata superficie butterata. Scorrendo come una telecamera, si sposta in un giardino. Ci sono delle rose. Dei tulipani gialli. Qui ci sono dei narcisi e delle gardenie e giacinti color blu notte. C’e un albero con foglie familiari, la un altro, la un altro ancora. Quercia. Faggio. Salice. Sono antiquari, certo: queste masse gigantesche e tremolanti di carne rosata hanno ricostruito la vecchia Terra per il loro piacere. La visione ondeggia e si dissolve mentre scende un sipario impenetrabile di rammarico. Clay si rende conto di aver tratto conclusioni sbagliate. Forse gli sferoidi non sono esseri provenienti da un futuro incalcolabilmente remoto. Sono, allora, i discendenti a breve termine dell’uomo? La visione ritorna. Lo sferoide sembra piu vivace, come volesse comunicargli che e sulla strada giusta. Si. Chi sono, loro? L’umanita di cinque, dieci, ventimila anni dopo i giorni di Clay, un periodo in cui le querce, i tulipani, i giacinti e la luna esistevano ancora? Si. E dov’e la logica evolutiva del processo? Non esiste. L’uomo vi e rimodellato come piu gli aggrada. Questa e la fase dello sferoide ovale. In seguito scegliera di essere un orrido capro. Piu avanti ancora diventera un Hanmer. Tutti noi, trascinati dal flusso del tempo. — Figlio mio — dice Clay. (Figlio? Nipote? Pronipote?). Cerca impulsivamente di infilare una mano tra le sbarre per abbracciare il solenne sferoide. Una scarica di energia lo manda a ruzzolare a molti metri di distanza, e lui rimane immobile, attonito, mentre una pianta parassita gli avvolge i tentacoli sulle cosce. Lentamente riacquista le forze. — Mi dispiace — sussurra, avvicinandosi alla gabbia. — Non volevo invadere il tuo spazio personale. Stavo offrendo amicizia. — Lo sferoide e adesso ambrato e scuro. Il colore della furia? Della paura? No: scuse. Un’altra visione pervade la mente di Clay. Sferoidi, gabbia contro gabbia, sferoidi che danzano, sferoidi che si congiungono con tentacoli simili a corde estesi dal corpo. Un inno d’amore. Prova di nuovo, prova di nuovo, prova di nuovo. Clay allunga una mano. Attraversa le sbarre. Non e ributtato indietro. La superficie dello sferoide tremola e vibra e una sottile protuberanza tentacolare si estende ad afferrare il polso di Clay. Contatto. Fiducia. Vittime congiunte del flusso del tempo. — Mi chiamo Clay — dice Clay, pensandolo con molto forza. Ma tutto quello che riesce a ottenere dallo sferoide non e che una serie di vivide immagini del suo mondo. La lingua universale deve essere ancora

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