enormi, e la stava agitando irosamente da una parte all’altra. Il carico, continuava a urlare, dov’e il carico, stai cercando di fregarmi? E Carvajal si stringeva nelle spalle, sorrideva, scuoteva la testa e continuava a ripetere con calma: “E un errore, si tratta solo di un errore”. Carvajal aveva un’espressione raggiante. Come se tutta la sua vita fosse stata incanalata e diretta verso questo momento di grazia, questa epifania, questo concitato e comico dialogo sulla porta di casa.

Feci un passo avanti, pronto a recitare la mia parte. Cercai qualche battuta adatta. Avrei detto: “Piano, amico, smettila di agitare quella pistola. Hai sbagliato posto. Non ci sono droghe qui”. Vidi me stesso muoversi senza paura verso l’estraneo, continuando a parlare. “Perche non ti calmi? Metti via la pistola, telefona al tuo capo e fatti dire come stanno le cose. Altrimenti ti troverai in un grosso guaio, e…” Continuando a parlare, non togliendo gli occhi dal piccolo killer lentigginoso, afferrando con calma la pistola, torcendogli la mano, spingendolo contro il muro…

Copione sbagliato. Quello giusto prevedeva che non facessi niente. Lo sapevo. Non feci niente.

Il bandito mi guardo, guardo Carvajal e poi ancora me. Non si aspettava di vedermi spuntare dal soggiorno e non sapeva cosa fare. Poi qualcuno busso alla porta. Una voce d’uomo nel corridoio chiese a Carvajal se andava tutto bene.

Gli occhi del bandito erano pieni di paura e di sbigottimento. Con uno scatto si allontano da Carvajal, raccogliendosi su se stesso. Ci fu uno sparo, quasi lontano, quasi incidentale. Carvajal comincio a cadere, ma si sostenne alla parete. L’assassino mi passo vicino di corsa diretto in soggiorno. Si fermo, tremante, quasi piegato in due. Fece nuovamente fuoco. E ancora. Poi, improvvisamente, si lancio verso la finestra e di li giu per la scala antincendio, sparendo nella strada.

Mi voltai verso Carvajal. Era caduto e giaceva vicino all’entrata del soggiorno, immobile, silenzioso, gli occhi aperti, ancora vivo. La camicia era tutta sporca di sangue sul davanti; una seconda macchia si andava allargando lungo il braccio sinistro; la terza ferita, precisa e piccola, era a lato della testa proprio sopra lo zigomo. Corsi da lui, lo sorressi e vidi i suoi occhi brillare, e mi sembro che all’ultimo ridesse, una risatina leggera, ma questa puo essere stata una mia postilla personale al copione, una piccola indicazione di scena. Ecco. Tutto finito. Com’era stato calmo, rassegnato, felice di farla finita! Lo spettacolo provato tante volte era andato finalmente in scena.

44

Carvajal e morto il 22 aprile 2000. Io sto scrivendo all’inizio di dicembre a poche settimane di distanza dal vero inizio del XXI secolo e del nuovo millennio. L’arrivo del millennio mi trovera in questo edificio non meglio identificato in questa non specificata citta del New Jersey settentrionale, a dirigere l’attivita, ancora allo stadio iniziale, del Centro dei Processi Stocastici. Siamo qui da agosto, quando il testamento di Carvajal mi nomino unico erede di tutti i suoi milioni.

Qui al Centro, naturalmente, non lavoriamo con metodi stocastici. Gli abbiamo messo quel nome per convenienza; qui non siamo stocastici, ma piuttosto poststocastici, abbiamo superato la fase di manipolazione delle probabilita per arrivare alla certezza della seconda vista. Ma ho pensato che fosse meglio non dire le cose come stanno esattamente. Cio a cui ci dedichiamo e una specie di stregoneria e una delle grandi lezioni impartite dal XX secolo quasi finito e che, se si vuole praticare la magia, e meglio farlo passare sotto un altro nome. “Stocastico” ha un piacevole tono pseudoscientifico che fornisce la materia adatta a una finzione, evocando un’immagine di schiere di giovani ricercatori che immettono dati in enormi computer.

Per ora siamo in quattro. Tra breve aumenteremo. Stiamo costruendo poco alla volta. Trovo nuovi seguaci ogni volta che ne ho bisogno. Conosco gia il nome del prossimo, e so come lo convincero a unirsi a noi, e al momento giusto verra proprio come i primi tre. Sei mesi fa erano dei perfetti estranei per me; oggi sono come fratelli.

Cio che stiamo costituendo e una societa, un sodalizio, una comunita, un clero, se volete, una banda di “veggenti”. Stiamo ampliando e perfezionando i poteri della nostra vista, eliminando le ambiguita, raffinando la percezione. Carvajal aveva ragione: tutti hanno il dono. Ma dev’essere tirato fuori, risvegliato. In voi. E cosi ciascuno di noi tendera la mano a un altro. Diffondendo pacificamente il vangelo poststocastico, moltiplicando pacificamente il numero di quelli che “vedono”. Sara un processo lungo e lento. Saremo perseguitati. Tempi duri stanno per venire, e non solo per noi. Dobbiamo ancora passare attraverso l’era di Quinn, un periodo che mi e ormai familiare come tutti gli altri periodi storici, anche se non e ancora iniziato: l’elezione che lo consacrera e lontana quattro anni. Ma io “vedo” al di la, “vedo” i cambiamenti, i tumulti, i dolori che seguiranno quell’elezione. Non importa. Supereremo il regime di Quinn, come abbiamo resistito ad Assurbanipal, Attila, Genghiz Khan, Napoleone. Le nubi della visione gia si aprono e “vediamo” oltre le tenebre future, contempliamo il tempo della guarigione.

Cio che edifichiamo qui e una comunita che ha come fine l’abolizione dell’incertezza, l’assoluta eliminazione del dubbio. Alla fine guideremo l’umanita in un universo in cui niente e casuale, niente e ignoto, tutto e prevedibile e predicibile a ogni livello, dal microcosmico al macrocosmico, dalla contrazione di un elettrone ai viaggi delle nebulose galattiche.

Insegneremo all’umanita ad assaporare il dolce conforto del preordinato. E in un certo senso diventeremo degli dei.

Dei? Si.

Ascoltate, Gesu ebbe paura quando i centurioni di Pilato andarono a prenderlo? Si lamento perche andava a morire, penso con rimpianto alla fine del suo ministero? No, no, ando calmo, senza mostrare ne paura ne amarezza ne sorpresa, seguendo il copione, recitando la sua parte prestabilita, serenamente consapevole del fatto che cio che gli stava accadendo faceva parte di un Piano predeterminato, necessario e inevitabile. E che dire di Iside, la giovane Iside che amava il fratello Osiride, che conosceva fin da bambina cio che le riservava il futuro, che Osiride doveva essere fatto a pezzi, che lei avrebbe dovuto cercarne il corpo dilaniato nel fango del Nilo, che per tramite suo Osiride si sarebbe reintegrato, che da loro sarebbe nato il potente Oro? Iside visse nel dolore, e vero, e con la certezza anticipata della perdita terribile, e sapeva queste cose fin dall’inizio, perche era una divinita. Ma agi come doveva agire. Agli dei non e dato il potere di scelta; e il prezzo e il prodigio della loro divinita. E gli dei non conoscono paura o autocompatimento o dubbio, perche sono dei e non possono scegliere altra strada che quella giusta. Bene. Noi saremo come dei, tutti noi.

Ho superato il momento del dubbio; ho sopportato e superato gli assalti della confusione e del terrore; sono passato in un regno che giace oltre queste cose, ma non in una paralisi come quella che affliggeva Carvajal. Io sono in un altro posto e vi ci posso portare. Noi “vedremo”; capiremo l’inevitabilita dell’inevitabile; accetteremo ogni frase del copione serenamente e senza rimpianto.

Circa quarant’anni fa uno scienziato e filosofo francese, Jacques Monod, scrisse: “L’uomo sa infine che e solo nell’indifferente immensita dell’universo da cui e emerso per caso”.

Ci credevo, una volta. Puo darsi che voi ci crediate anche adesso.

Ma esaminate l’affermazione di Monod alla luce di un’osservazione fatta una volta da Albert Einstein: “Dio non tira i dadi”.

Una di queste due affermazioni e sbagliata. Credo di sapere quale.

FINE
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