riassorbimento…»

Si accorse che non aveva voglia di star li. A casa, al sicuro, al caldo, sola. Non sapeva se fosse piu spaventosa la gente in grandi mandrie o una singola persona.

Voglio andarmene, concluse Lona.

L’uscita. Dov’era l’uscita? Le uscite non erano indicate, qui. Gli organizzatori volevano che la gente si trattenesse. E se fosse scoppiato un incendio? Dei robot, sgusciando dai pannelli dove erano nascosti, avrebbero spento il fuoco.

Ma voglio andarmene.

«…si dispone cosi di un utile metodo…»

«…la sopravvivenza delle uova pronucleari dopo i vari trattamenti e esposta a Tabella 1…»

«…i feti ottenuti da uova microiniettate erano piu piccoli, piu spesso che i loro compagni di figliata, pur se non si e osservata nessun’altra anormalita esterna…»

Grazie, dr. Teh Ping Lin di San Francisco. Puo bastare.

Lona fuggiva.

Correva freneticamente, girando attorno al ventre del Portico formicolante di luci. Tom Piper la ritrovo, le grido qualcosa, tese le mani. Era cordiale, senza cattive intenzioni, solo. Forse era davvero un astronauta.

Lona fuggiva.

Scopri un imbuto di uscita. Si precipito fuori, in strada. I rumori del Portico si spensero. Li, al buio, si senti piu calma, e il sudore del panico, asciugandosi sulla pelle, si agghiaccio. Lona rabbrividi. Voltando spesso il capo per guardarsi alle spalle, si affretto verso l’edificio in cui abitava. Portava, agganciate alle cosce, delle armi contro le molestie, che avrebbero scoraggiato chiunque volesse usarle violenza: una sirena, una cortina fumogena, un laser che emanava lampi di luce abbaglianti. Tuttavia, non si poteva mai essere sicure. Quel Tom Piper. Poteva essere appostato dappertutto. Capace di qualsiasi cosa.

Raggiunse la sua casa. I miei bambini, pensava. Voglio i miei bambini.

La porta si chiuse. La luce si accese. Sessanta o settanta dolci immagini alle pareti. Lona le tocco. C’era bisogno di cambiar loro i pannolini. I pannolini erano una verita eterna. Avevano rigurgitato latte sulle gote rosee? Doveva spazzolare i loro ricciolini? Crani teneri, non ancora saldati. Ossa flessibili. Nasini a patatina. I miei bambini. Le mani di Lona carezzavano le pareti. Si spoglio. Venne anche il momento in cui cadde nel sonno.

5

Entra Chalk, poi Aoudad

Da tre giorni Duncan Chalk esaminava le registrazioni, dedicando la propria attenzione quasi esclusivamente a quell’iniziativa. Ora gli pareva di conoscere Minner Burris e Lona Kelvin meglio di chiunque. Gli pareva anche che l’idea di appaiarli fosse buona.

L’aveva saputo, intuitivamente, fin dall’inizio. Ma, per quanta fiducia avesse nei giudizi del proprio intuito, raramente passava all’azione solo su tale base, senza aspettare di avere effettuato una ricognizione piu metodica. Ora l’aveva fatta. Aoudad e Nikolaides, ai quali aveva delegato le fasi preliminari dell’impresa, avevano presentato la loro selezione di registrazioni al monitor. Chalk non si era basato esclusivamente sul loro giudizio.

Aveva fatto visionare le registrazioni anche da altri, incaricati di preparare a loro volta un’antologia degli episodi piu rivelatori. Era soddisfatto perche le scelte coincidevano. Cio giustificava la fiducia accordata ad Aoudad e a Nikolaides. Dei buoni dipendenti.

Dondolando un poco avanti e indietro nella poltrona pneumatica, Chalk, in mezzo alla vita affaccendata e ronzante dell’organizzazione da lui creata, indugio a considerare la situazione.

Un’iniziativa. Un’impresa. La riunione di due esseri umani che soffrivano. Ma erano umani? Lo erano stati. Una volta. Un impulso genetico. Un neonato che piange. E sin qui va bene. Un bambino, una bambina, lastre da conio vergini, per l’impronta della vita. Su questi due l’impronta si era abbattuta duramente.

Minner Burris. Astronauta. Intelligente, vigoroso, istruito. Catturato su un altro mondo e trasformato suo malgrado in un essere mostruoso. Per quel che gli era successo, Burris era angustiato. Naturale! Un uomo da meno sarebbe andato a pezzi. Burris si era solo piegato. Chalk sapeva che agli occhi del pubblico cio sarebbe apparso interessante e ammirevole. Inoltre, Burris soffriva. E questo era interessante agli occhi di Chalk.

Lona Kelvin. Ragazza. Rimasta orfana in tenera eta; affidata alle cure dello Stato. Non bella; ma era ancora in eta acerba e forse sarebbe maturata. Insicura, orientata male nei confronti degli uomini, e non molto intelligente. (Oppure, si chiese Chalk, era piu intelligente di quanto non osasse mostrare?) Aveva con Burris una cosa in comune. Anche lei era stata preda degli scienziati. Che non erano, pero, degli esseri sinistri di un altro mondo, bensi delle astrazioni d’alto livello, spassionate, benevole, gentili, in camici da laboratorio. Senza danneggiare Lona in alcun modo, avevano solo prelevato alcuni oggetti superflui immagazzinati nel suo corpo, per servirsene a scopo sperimentale. Ecco tutto. E adesso i cento bambini di Lona germogliavano nei lucenti grembi di plastica. Avevano germogliato? Si. Erano gia nati. Lasciando un certo vuoto dentro Lona. Che soffriva.

Duncan Chalk giunse alla conclusione che, favorendo l’unione di quei due esseri sofferenti, si sarebbe compiuto un atto caritatevole.

— Fammi venire Bart — disse alla sua poltrona.

Bart entro subito, come se camminasse su rotelle, come se fosse stato ad aspettare ansiosamente, in anticamera, proprio questa chiamata. Era gradevole che fosse ansioso. Un tempo Aoudad possedeva autonomia e agilita emotiva; ma Chalk sapeva che, alla lunga, aveva ceduto allo sforzo. Ne era un indizio la frenesia di andare a femmine. Tuttavia, a guardarlo, si vedeva una simulazione di forza. Occhi freddi, labbra decise. Sotto la superficie, Chalk percepiva le emanazioni della paura e del nervosismo. Aoudad aspettava.

Chalk disse: — Bart, puoi portare subito Burris da me?

— Sono settimane che non esce dalla sua camera.

— Lo so. Ma che io vada da lui e futile. Bisogna indurlo a riapparire in pubblico. Ho deciso di mandare avanti l’iniziativa.

Aoudad irradio una specie di terrore. — Andro a trovarlo, signore. Gia da un po’ ho predisposto delle tecniche per prendere contatto. Offriro degli incentivi. Verra.

— Non parlargli ancora della ragazza.

— No, certamente no.

— Manovrerai bene questa faccenda, Bart. Posso fidarmi di te. Lo sai. La posta in gioco e grossa; ma, come al solito, farai un buon lavoro.

Chalk sorrise. Aoudad sorrise. Il sorriso dell’uno era un’arma. Quello dell’altro, una difesa. Chalk percepi le emanazioni. Nel suo profondo, delle ghiandole endocrine ne furono eccitate, ed egli reagi all’inquietudine di Aoudad con un sussulto di godimento. Dietro gli occhi freddi e grigi di Aoudad roteavano le incertezze. Eppure Chalk aveva detto la verita: aveva fiducia nell’abilita di Aoudad, per quella faccenda. Era invece Aoudad a non averne, e percio le assicurazioni di Chalk giravano un pochino il coltello nella piaga. Da gran tempo Chalk aveva imparato tali tattiche.

Disse: — Dov’e Nick?

— Fuori. Credo che tenga d’occhio quella ragazza.

— Per poco non ha fatto un grosso sbaglio, iersera. La ragazza e andata al Portico e non era debitamente protetta. Uno sciocco le ha messo le mani addosso. Per fortuna di Nick, la ragazza ha resistito. La sto tenendo in serbo.

— Si. certo.

— Naturalmente, nessuno l’ha riconosciuta. E dimenticata. Il suo grande anno e stato l’anno scorso. Oggi, e nessuno. Tuttavia — disse Chalk — c’e da ricavare da lei, sapendo fare, una buona storia. Se si lascia insozzare da qualche sporcaccione ignorante, cio rovinerebbe la storia, Nick deve stare piu attento. Glielo diro. Tu, provvedi a Burris.

Aoudad usci svelto dalla stanza. Chalk se ne rimase seduto, canticchiando fra se oziosamente, e godendosela. Quell’affare avrebbe funzionato. Sarebbe di sicuro piaciuto moltissimo al pubblico, quando fosse sbocciata la storia d’amore. Ci sarebbe stato da rastrellare denaro a palate. Beninteso, Chalk non aveva bisogno di fare altri soldi.

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