ama restare nell’ombra, dovunque si nasconda.

Donnola si avvicino al cavallo e scruto la figura lacera.

— Ma come, e Scuotivento il mago, non e vero? — esclamo con voce lieta e intanto s’imprimeva in mente le parole pronunciate dal mago nei suoi confronti e si riprometteva di vendicarsene a tempo debito. — Mi pareva di riconoscere la voce.

Bravd sputo in terra e rinfodero la spada. Raramente valeva la pena d’impelagarsi con i maghi, che di solito non possiedono tesori di valore.

— Parla con arroganza per essere un mago da strapazzo — borbotto.

— Tu non capisci niente — ribatte stancamente il mago. — Mi avete messo tanta paura che le gambe non mi reggono e in questo momento sono sopraffatto dal terrore. Voglio dire che quando l’avro superato, avro tempo di essere spaventato come si deve da voi due.

Donnola addito la citta che bruciava. — Ti ci sei trovato in mezzo? — chiese.

Il mago si passo sugli occhi una mano dalla pelle ustionata. — Ero li quando e cominciaro. Vedi quello? La dietro? — Addito alle sue spalle la strada lungo la quale il suo compagno di viaggio stava ancora avanzando. Infatti, per cavalcare aveva adottato un metodo che consisteva nel cadere dalla sella a intervalli di pochi secondi.

— Allora? — domando Donnola.

— E lui che l’ha appiccato — rispose Scuotivento.

Bravd e Donnola guardarono l’uomo che saltellava per la strada con un piede preso nella staffa.

— E un incendiario? — disse alla fine Bravd.

— No. non esattamente. Diciamo soltanto che se si scatenasse il caos, lui sarebbe tipo da starsene in cima a una collina sotto l’uragano nella sua fradicia armatura di rame a urlare: 'Tutti gli dei sono dei disgraziati'. Avete da mangiare?

— C’e del pollo — disse Donnola. — In cambio di una storia.

— Lui come si chiama? — domando Bravd che nella conversazione tendeva a restare indietro.

— Duefiori.

— Duefiori? Che nome buffo.

Scuotivento smonto da cavallo. — Non conosci nemmeno la meta della storia. Del pollo, hai detto?

— Stantio — asseri Donnola. Il mago emise un gemito.

— Questo mi ricorda — disse l’altro schioccando le dita — che c’e stata una grossa esplosione circa, oh, mezz’ora fa.

— E saltato in aria il deposito di petrolio — spiego Scuotivento con un fremito al ricordo della pioggia di fuoco.

Donnola si giro con un sogghigno di aspettativa verso il suo compagno. Questi estrasse una moneta dal borsellino e gliela tese con un grugnito. In quel momento dalla strada venne un grido strozzato: Scuotivento non alzo gli occhi dal suo pollo.

— Una cosa che non e capace di fare: cavalcare — spiego. Poi s’irrigidi come colpito da un pensiero improvviso, se ne usci in un’esclamazione di terrore e si slancio nell’oscurita. Quando torno, l’essere chiamato Duefiori gli ciondolava sulla spalla. Era piccolo e spaurito, abbigliato in modo strano con un paio di brache fino al ginocchio e una camicia dai colori talmente stridenti da offendere perfino nella penombra l’occhio sensibile di Donnola.

— Pare che non abbia ossa rotte — annuncio Scuotivento, col respiro affannoso.

Bravd strizzo l’occhio a Donnola e ando a ispezionare quello che supponevano fosse una bestia da soma.

— Fareste meglio a scordarvelo — disse il mago senza smettere di esaminare Duefiori tuttora svenuto. — Credetemi. E protetto da un potere.

— Un incantesimo? — disse Donnola accovacciandosi.

— Nooo. Ma una magia, credo. Non del solito tipo. Voglio dire, una magia capace di trasformare in rame l’oro che pero resta sempre oro; che arricchisce gli uomini distruggendo i loro beni: permette ai deboli di camminare senza paura in mezzo ai ladri: attraversa le porte piu robuste per farne trapelare i tesori piu protetti. Anche ora mi tiene prigioniero… cosi che devo seguire questo pazzo per amore o per forza e lo devo proteggere da ogni male. E una magia piu forte di te, Bravd. E, credo, piu astuta perfino di te. Donnola.

— Come si chiama dunque tale potente magia?

Scuotivento alzo le spalle. — Nella nostra lingua e chiamata suono-riflesso-di-spiriti-sotterranei. C’e del vino?

— Devi sapere che in fatto di magia io non ne sono sprovvisto — dichiaro Donnola. — Soltanto l’anno scorso, assistito dal mio amico qui, ho privato il famoso e potente Arcimago di Ymituri della sua bacchetta, della sua cintura di pietre lunari e della sua vita, pressappoco in quest’ordine. Non temo questo suono- riflesso-di-spiriti-sotterranei, di cui parli. Tuttavia — continuo — tu hai risvegliato il mio interesse. Forse non ti spiacerebbe dirmene di piu.

Bravd guardo la sagoma per strada. Era piu vicina ora e piu chiara nella luce che precede l’alba. Sembrava esattamente una…

— Una cassa con le gambe? — chiese.

— Te ne parlero — promise Scuotivento. — Ossia, se c’e del vino.

Giu nella vallata ci fu un rombo seguito da un sibilo. Qualcuno piu previdente degli altri aveva ordinato di serrare le grandi chiuse del fiume nel punto in cui l’Ankh si lasciava dietro la citta gemella. Impedito il suo sbocco naturale, il fiume aveva superato gli argini e si rovesciava per le strade devastate dall’incendio. Ben presto il continente di fiamme si tramuto in una serie di isole, che si fecero sempre piu piccole via via che l’ondata cupa si gonfiava. Dalla citta fumosa s’innalzo una nuvola ribollente di vapore a coprire le stelle. Donnola la paragono in cuor suo a un fungo scuro.

La citta gemella dell’orgogliosa Ankh e della pestilenziale Morpork, della quale tutte le altre citta del tempo e dello spazio non sono che semplice riflesso, ha subito molti assalti nella sua lunga e intensa storia e sempre e risorta a nuova prosperita. Cosi l’incendio e l’inondazione che ne segui e distrusse tutto cio che era rimasto di non infiammabile aggravando i problemi dei sopravvissuti, non segnarono la sua fine. Si tratto piuttosto di un terribile segno d’interpunzione, una virgola di carbone o un punto e virgola d’amianto, in una storia ininterrotta.

Diversi giorni prima di questi avvenimenti, una nave risaliva l’Ankh con la marea mattutina e gettava l’ancora, tra molte altre, nel dedalo di moli e banchine sulla riva di Morpork. Trasportava un carico di perle rosa, noci di cocco, pomice, missive ufficiali per il Patrizio di Ankh, e poi c’era anche un uomo.

Fu proprio costui che attiro l’attenzione di Hugh il Cieco, uno dei mendicanti stazionati al molo delle Perle, che dette una gomitata nelle costole di Wa lo Zoppo e glielo indico senza parlare.

Ritto sulla banchina, lo straniero osservava i marinai trasportare giu per la passerella un grosso baule cerchiato. Gli stava a fianco un altro uomo, evidentemente il capitano, con l’aria di uno che si aspetta di arricchirsi ben presto. Fu questo il messaggio trasmesso al cervello di Hugh il Cieco da ogni nervo del suo corpo, incline a vibrare in presenza anche di una piccola quantita di oro impuro a cinquanta passi.

Infatti, quando la cassa fu depositata sull’acciottolato, lo straniero infilo la mano in una borsa e si vide lo scintillio di una moneta. Parecchie monete. Oro. Hugh il Cieco, il corpo vibrante come una verga di nocciolo in prossimita dell’acqua, emise un sibilo tra se e se. Poi diede un’altra gomitata a Wa e lo spedi di fretta a zoppicare lungo il vicino viale fino al centro della citta. Quando il capitano risali sulla nave e lascio sulla banchina il forestiero a guardarsi intorno, Hugh prese la sua ciotola da mendicante e gli si avvicino con una smorfia accattivante. Alla sua vista, lo straniero si mise a frugare nella borsa.

— Una buona giornata per vedervi, signore — esordi Hugh che si trovo a fissare un volto con quattro occhi. Si giro per scappare.

— ! — disse lo straniero e lo afferro per un braccio. Hugh era conscio delle sghignazzate dei marinai affacciati alla murata della nave. Ma allo stesso tempo i suoi nervi allenati percepivano l’odore irresistibile dei quattrini. S’immobilizzo. Lo straniero lo lascio, prese a sfogliare rapido un libriccino nero sfilato dalla cintura e disse: — Salve.

— Cosa?

L’uomo lo guardo senza capire. — Salve — ripete piu forte del necessario, staccando le sillabe.

— Salve a voi — rispose Hugh.

Lo straniero fece un largo sorriso, frugo di nuovo nella borsa e questa volta tiro fuori una grossa moneta d’oro. Era leggermente piu grande di una corona ankhiana da ottomila talleri, dal disegno sconosciuto ma che parlo alla mente di Hugh in una lingua che lui comprese perfettamente: 'Il mio attuale padrone' diceva 'ha bisogno di soccorso e di assistenza. Perche non darglieli cosi che tu e io possiamo andare da qualche parte a divertirci?'

Un sottile cambiamento nell’atteggiamento del mendicante mise maggiormente a suo agio lo straniero. Consulto di nuovo il libriccino.

— Desidero che m’indicate un albergo, taverna, camera d’affitto, pensione, ospizio, caravanserraglio — disse.

— Cosa? Tutti? — chiese Hugh stupito.

— ? — disse lo straniero.

Hugh si accorse che una piccola folla di pescivendole, raccoglitori di molluschi e perdigiorno li guardava con interesse.

— Sentite — disse. — Conosco una piccola taverna. Vi sta bene? — Rabbrividiva al pensiero che la moneta d’oro gli potesse sfuggire. Se la sarebbe tenuta anche se Ymor avesse confiscato tutto il resto. Secondo lui, anche la grossa cassa con gli averi del nuovo venuto doveva essere piena d’oro.

L’uomo dai quattro occhi consulto il libriccino. — Vorrei che m’indicaste un albergo, luogo di ristoro, taverna, una…

— Si, va bene, venite — taglio corto. Raccolse uno dei fagotti e si allontano rapido, seguito, dopo un momento di esitazione, dallo straniero.

Un pensiero si affaccio alla mente di Hugh: portare tanto facilmente lo straniero al Tamburo Rotto era un colpo di fortuna che probabilmente gli sarebbe valso una ricompensa da parte di Ymor. Tuttavia, malgrado la sua nuova conoscenza si mostrasse assai mite, c’era in lui qualcosa che lo metteva a disagio, ma non sapeva dire cosa. Non si trattava dei due occhi supplementari, per quanto strani. C’era dell’altro. Si guardo indietro. L’ometto camminava in mezzo alla strada e girava lo sguardo intorno con espressione attenta.

Hugh vide un’altra cosa che quasi gli mozzo il fiato: la massiccia cassa di legno che aveva visto depositata sul molo, stava seguendo il suo proprietario a un’andatura appena oscillante. Lentamente, nel caso un movimento improvviso da parte sua potesse spezzare il suo fragile controllo sulle sue stesse gambe, Hugh si chino a guardare sotto la cassa.

Vide una quantita di gambette.

Si volto e prese a camminare con cautela verso il Tamburo Rotto.

— Strano — osservo Ymor.

— Lui aveva questa grossa cassa di legno — aggiunse Wa lo Zoppo.

— Doveva essere un mercante o una spia — disse Ymor.

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