A’Tuin. la Tartaruga del Mondo.

— Sembra alquanto inutile — osservo Scuotivento.

— No. Rifletti. Un giorno la Grande A’Tuin puo incontrare un altro membro della specie chelys galactica, da qualche parte nella vasta notte in cui ci muoviamo. Combatteranno? Si accoppieranno? Con un po’ d’immaginazione vedrai che il sesso della Grande A’Tuin potrebbe essere molto importante per noi. O almeno, cosi sostengono i Krulliani.

Scuotivento si sforzo di non pensare all’accoppiamento delle Tartarughe del Mondo. Ma non era facile.

— Quindi — continuo la dea — loro intendono lanciare questa nave spaziale, con due uomini a bordo. Sara il momento culminante di decenni di ricerche. Sara anche molto pericoloso per i viaggiatori. Cosi, nel tentativo di ridurre i rischi, l’Arciastronomo di Krull ha pattuito con il Fato di sacrificare due uomini al momento del lancio. In cambio, il Fato si e impegnato a sorridere alla nave spaziale. Un baratto in piena regola, no?

— E noi siamo i sacrifici — disse Scuotivento.

— Si.

— Credevo che il Fato non si adattasse a questa specie di transazione. Credevo che il Fato fosse implacabile.

— Normalmente, si. Ma da qualche tempo siete stati per lui una spina nel fianco. Ha decretato che dovevate essere voi le vittime del sacrificio. Vi ha permesso di sfuggire ai pirati. Vi ha permesso di essere trasportati nella Circonferenza. A volte il Fato puo essere un dio meschino.

Segui una pausa. La rana sospiro e se ne ando sotto il tavolo.

— Ma tu ci puoi aiutare? — la incalzo Duefiori.

— Voi mi divertite — rispose la Signora. — Ho una vena sentimentale. Se foste giocatori, lo sapreste. Cosi per un po’ ho viaggiato nella mente di un ranocchio e voi gentilmente mi avete salvato perche, come sappiamo tutti, a nessuno piace veder morire creature patetiche e inermi.

— Ti ringrazio — disse Scuotivento.

— La mente del Fato e tutta concentrata contro di voi — prosegui la Signora. — Ma tutto cio che posso fare e darvi una possibilita. Un’unica, piccola possibilita. Il resto spetta a voi.

Cosi detto, svani.

— Oddio — esclamo dopo un po’ Duefiori. — E la prima volta che vedo una dea.

La porta si spalanco e Garhartra entro con in mano una verga. Dietro a lui erano due guardie, armate piu convenzionalmente di spade. — Ah, vedo che siete pronti — disse in tono discorsivo.

'Pronti', disse una voce nella testa di Scuotivento.

La bottiglia che lui aveva scagliato circa otto ore prima era rimasta sospesa in aria, imprigionata per magia nel suo personale campo temporale. Ma durante tutte quelle ore il mana originale dell’incantesimo era lentamente evaporato finche l’energia magica non bastava piu a difenderlo dal possente campo di normalita dell’Universo. E quando cio accadde, ci vollero pochi microsecondi perche la Realta riprendesse il sopravvento. L’effetto visibile fu che la bottiglia completo d’improvviso l’ultimo tratto della sua parabola e ando a infrangersi contro la tempia del vecchio, inondando le guardie con una pioggia di pezzi di vetro e vino di medusa.

Scuotivento afferro Duefiori per un braccio, sferro un calcio nei genitali alla guardia piu vicina e trascino l’amico sbalordito nel corridoio. Prima che Garhartra piombasse al suolo, i suoi due ospiti erano gia lontani.

Scuotivento svolto un angolo di volata e si trovo su un balcone che correva lungo i quattro lati di un cortile, occupato quasi per intero da una vasca nella quale delle tartarughe acquatiche prendevano il sole tra le foglie di ninfea.

Di fronte a Scuotivento si pararono due maghi oltremodo sorpresi, che indossavano le vesti blu cupo e nero dei provetti idrofobi. Uno di loro, piu svelto del compagno, sollevo una mano e inizio a pronunciare le prime parole di un incantesimo.

Si udi un piccolo rumore secco. Duefiori aveva sputato. L’idrofobo strillo e lascio ricadere la mano come se lo avessero punto.

L’altro non ebbe il tempo di muoversi: Scuotivento gli fu sopra menando una scarica di pugni. Uno, reso pesante dal terrore, arrivo particolarmente a segno e scaravento l’uomo dal balcone nella vasca. L’effetto fu strano: l’acqua si divise come se vi fosse stato gettato un grosso pallone e l’idrofobo urlante rimase sospeso nel suo stesso campo di rifiuto verso quell’elemento.

Duefiori era rimasto a guardare allibito finche l’amico lo tocco sulla spalla per indicargli un altro corridoio. Lo imboccarono di corsa e lasciarono il secondo idrofobo a contorcersi sul pavimento e strofinarsi con forza la mano bagnata. Per un po’ sentirono gridare alle loro spalle, ma infilarono un corridoio trasversale e poi un altro cortile e presto si lasciarono dietro i rumori dell’inseguimento. Scuotivento apri una porta, si sporse a guardare, trovo la stanza vuota, trascino dentro Duefiori e richiuse la porta. Poi ci si appoggio, lamentandosi.

— Ci siamo persi in un palazzo su un’isola senza speranza di lasciarla — disse ansante. — E per di piu, noi… ehi! — fini, quando si rese conto del contenuto della stanza.

Duefiori stava gia osservando le pareti.

Perche lo strano era che la stanza conteneva l’intero Universo.

La Morte sedeva nel suo giardino e affilava su una pietra apposita la lama della sua falce. Era gia cosi tagliente che se una brezza ci soffiava sopra, era immediatamente trinciata in due zeffiri, anche se nel giardino silenzioso della Morte la brezza era davvero cosa rara. Il giardino era situato su un altopiano recluso dal quale si vedevano le complesse dimensioni del mondo-disco; dietro s’innalzavano le fredde, immote montagne dell’Eternita, immensamente alte e cogitabonde. La pietra sibilava. E la Morte cantarellava un inno funebre e batteva il piede ossuto sulle pietre ghiacciate.

Qualcuno si avvicinava dal frutteto oscuro dove crescevano le mele notturne, e ne venne l’odore dolciastro dei gigli calpestati. Incollerita, la Morte alzo la testa e si trovo a fissare gli occhi, neri come la natura segreta di un gatto e pieni di stelle remote che non avevano l’equivalente nelle costellazioni familiari dell’universo del Tempo Reale.

La Morte e il Fato si guardarono. La Morte sogghigno; del resto, essendo fatta inesorabilmente di sole ossa, altro non poteva fare. La pietra cantava ritmicamente lungo la lama mentre Essa continuava la sua bisogna.

— Ho un compito per te — disse il Fato. Le parole scivolarono sulla falce e si spaccarono nette in due nastri di consonanti e vocali.

— Attualmente ho compiti a sufficienza — rispose la Morte con voce pesante come il neutronio. — La tubercolosi imperversa a Pseudopolis e io devo recarmi la a strappare molti cittadini dalla sua stretta. Una epidemia simile non si e vista da cento anni e io sono tenuta a perlustrare le strade, come e mio dovere.

— Mi riferisco al piccolo viandante e al mago ribaldo — disse il Fato in tono sommesso. Si sedette accanto alla forma della Morte, avvolta nella nera veste, e fisso in distanza l’universo del Disco, simile a un gioiello sfaccettato visto da quell’osservatorio extra-dimensionale.

La falce interruppe la sua canzone.

— I due moriranno tra poche ore — annuncio il Fato. — E stabilito.

La Morte si mosse e la pietra ricomincio ad andare su e giu.

— Credevo ti avrebbe fatto piacere — aggiunse il Fato.

La Morte alzo le spalle, gesto particolarmente espressivo per una la cui forma visibile era quella di uno scheletro. — In effetti li ho davvero perseguitati — disse. — Ma alla fine ho pensato che presto o tardi tutti gli uomini devono morire. Tutto muore alla fine. Posso venire derubata, ma rifiutata mai. Mi sono detta, perche preoccuparmi?

— Anch’io non posso essere imbrogliato — disse seccamente il Fato.

'Cosi ho sentito.' La Morte sogghignava sempre.

— Basta! — grido il Fato e balzo in piedi. — Moriranno! — Svani in un alone di fuoco azzurro.

la Morte annui e continuo il suo lavoro. Dopo qualche minuto sembro soddisfatta del filo della lama. Si alzo, punto la falce alla grossa candela che bruciava sul bordo della panca e. con due rapidi movimenti, taglio la fiamma in tre frammenti brillanti. La Morte sogghigno.

Poco dopo sello lo stallone bianco che teneva nella stalla dietro il suo cottage. L’animale le diede un’annusatina amichevole. Benche avesse gli occhi rosso fuoco e i fianchi come seta lucente, era un cavallo in carne e ossa e, molto probabilmente, era trattato meglio di molti animali da soma che vivevano sul Disco. La Morte non era una cattiva padrona. Pesava pochissimo e, sebbene spesso tornasse con le sacche da sella rigonfie, queste non pesavano nulla.

— Tutti quei mondi! — esclamo Duefiori. — E fantastico!

Scuotivento grugni e continuo a curiosare stancamente nella sala piena di stelle. L’amico si avvicino a un complicato astrolabio, che aveva al centro, inciso nell’ottone e ornato da minuscoli gioielli, l’intero sistema Grande A’Tuin-Elefante-Disco. Stelle e pianeti gli ruotavano intorno su delicati fili d’argento.

— Fantastico! — ripete. Tutt’intorno sulle pareti, delle costellazioni fatte di piccole perle fosforescenti risaltavano su grandi tappezzerie di velluto rerissimo e davano agli occupanti della sala l’impressione di galleggiare nel golfo interstellare. Su diversi cavalietti erano disposti schizzi della Grande A’Tuin. vista da varie parti della Circonferenza, ogni sua poderosa scaglia e cratere meticolosamente raffigurati. Duefiori si guardava intorno con sguardo sognante.

Scuotivento era profondamente turbato. Cio che lo turbava di piu erano due vestiti appesi nel centro della sala. Ci girava intorno a disagio.

Sembravano confezionati in pregiata pelle bianca, ornati di cinghie e tubicini di ottone e altri congegni sconosciuti e assai sospetti. Le gambe finivano in stivali alti e dalla suola spessa e le braccia erano infilate in grossi guanti morbidi. La cosa piu strana erano i grandi caschi di rame da fissarsi evidentemente sui pesanti collari intorno allo scollo degli indumenti. Quasi certamente i caschi non servivano a proteggere; infatti una spada leggera non avrebbe avuto difficolta a spaccarli, anche se non avesse colpito la ridicola finestrella sul davanti. Ogni elmo aveva in cima un pennacchio di piume bianche, che non ne migliorava certo l’aspetto generale.

Scuotivento cominciava ad avere un vago sospetto a proposito dei due vestiti.

Davanti ad essi stava un tavolo sul quale erano sparpagliate carte del cielo e pergamene coperte di numeri. Chi avesse indossato quegli indumenti, decise il mago, si proponeva con sprezzante audacia di andare dove nessun uomo (eccetto eventualmente uno sfortunato marinaio, che in realta non contava) era andato prima. E lui adesso cominciava a nutrire non un semplice sospetto, ma un’orribile premonizione.

Si volto e si vide osservato da Duefiori con aria meditabonda.

— No… — comincio. L’altro lo ignoro.

— La dea ha detto che due uomini sarebbero stati inviati al di la del Bordo — disse, con gli occhi che gli brillavano. — E, ricordi, Tethis il troll ha detto che avrebbero avuto bisogno di protezione? I krulliani ci sono riusciti. Queste sono divise spaziali.

— Non mi sembrano molto comode — si affretto a dire Scuotivento, che afferro il turista per un braccio. — Quindi, se vogliamo andare, non c’e scopo a restare qui…

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