che era necessario.

Anche Duefiori sembrava riflettere. Fissando la sua coppa di vino disse: — Suppongo che da queste parti le risse da taverna siano piuttosto comuni?

— Oh, gia.

— Senza dubbio gli impianti e il mobilio vengono danneggiati?

— Cosa?… Oh, capisco. Volete dire le panche e roba varia. Si, suppongo di si.

— Gli albergatori devono esserne sconvolti.

— In realta non ci ho mai pensato. Ritengo che deve essere uno dei rischi del mestiere.

Duefiori lo fisso pensoso. — In questo caso potrei rendermi utile. Io mi occupo di rischi. Dico, questo cibo e un po’ unto, non vi pare?

— Avevate chiesto di gustare dei piatti tipici di Morpork — ribatte Scuotivento. — Che dicevate dei rischi?

— Oh, so tutto sui rischi. Sono il mio mestiere.

— E quanto avevate detto. Non ci ho creduto nemmeno la prima volta.

— Oh, io non corro rischi. Rovesciare dell’inchiostro e la cosa piu eccellente che mi sia accaduta. Io valuto i rischi. Giorno dopo giorno. Sapete quante sono le probabilita che una casa prenda fuoco nel quartiere del Triangolo Rosso a Bes Palargic? Cinquecentotrentotto a uno. L’ho calcolato — affermo con una nota di orgoglio.

— A quale… — Scuotivento cerco di trattenere un rutto. — A quale scopo?

— Per… — Duefiori tacque. — Non sono capace di dirlo in trob. Non credo che i trob abbiano un vocabolo per esprimerlo. Nella mia lingua lo chiamano… — pronuncio una sfilza di sillabe bizzarre.

— Assi-cura-zione - Scuotivento ripete. E una parola strana. Che significa?

— Be’, supponete di avere una nave carica, diciamo, di lingotti d’oro. Potrebbe trovarsi in mezzo a un uragano o potrebbe essere catturata dai pirati. Voi non volete che accada, cosi stipulate una assi-cura-zione.

'Io calcolo le probabilita che il carico vada perso, basandomi sui bollettini meteorologici e gli atti di pirateria degli ultimi venti anni, poi ci aggiungo un tot, poi voi mi pagate una certa somma di denaro in base a quelle probabilita…'

— …e il tot — disse Scuotivento agitando un dito con aria solenne.

— …e poi, se il carico va perso, io vi rimborso.

— Rimborso?

— Vi pago il valore del carico — spiego pazientemente Duefiori.

— Ci sono. E come una scommessa, vero?

— Un azzardo? In un certo senso, si.

— E voi ci guadagnate su questo… come-si-chiama?

— Certo, si ricava un profitto sull’investimento.

Avviluppato dal calore del vino, Scuotivento si provo a tradurre il tutto in termini del Mare Circolare.

— Non credo di capirci — dichiaro alla fine, guardando pigramente il mondo girare. — La magia, invece. La magia la capisco.

Duefiori ridacchio. — La magia e una cosa e il suono-riflesso-dispiriti-sotterranei e un’altra.

— Il che?

— Che cosa?

— Quella buffa parola che avete usato — disse impaziente Scuotivento.

— Suono-riflesso-di-spiriti-sotterranei.

— Mai sentito.

Duefiori cerco di spiegarglielo.

Scuotivento cerco di capire.

Nel lungo pomeriggio visitarono la citta. Duefiori andava avanti, portando al collo con una cinghia la strana scatola a immagini. Scuotivento si trascinava appresso: ogni tanto si lamentava e controllava se aveva ancora la testa sul collo.

Qualche cittadino li seguiva. In una citta dove il ciclo quotidiano era punteggiato da esecuzioni pubbliche, duelli, combattimenti, rivalita tra maghi, gli abitanti avevano portato all’apice deila perfezione la professione di spettatore interessato. Tutti, senza eccezione, erano provetti guardoni. In ogni caso. Duefiori non si stancava di ritrarre la gente impegnata in attivita tipiche (come le chiamava lui). E dato che un quarto di rhinu cambiava mano 'per il loro disturbo', ben presto lo segui una coda di attoniti e felici nouveaux riches, nel caso quel matto facesse venire giu una pioggia d’oro.

Al Tempio di Sek Settemani, i sacerdoti e gli artefici del trapianto rituale del cuore, riunitisi in fretta, convennero che la statua di Sek alta cento spanne era troppo sacra per farne un’immagine magica. Ma il pagamento di due rhinu li trovo sorprendentemente d’accordo sul fatto che forse Egli non era poi tanto sacro.

Una prolungata sessione alle Fosse delle Baldracche si concluse con una quantita di immagini pittoresche e istruttive. Scuotivento se ne nascose addosso un certo numero per potersele contemplare a suo agio in privato. Via via che il suo cervello si liberava dai fumi dell’alcol, il mago si mise seriamente a riflettere sul funzionamento dell’iconografo.

Anche un mago fallito sapeva che alcune sostanze sono sensibili alla luce. Forse le lastre di vetro erano trattate con un arcano procedimento che congelava la luce che le attraversava? Doveva essere qualcosa del genere. Spesso Scuotivento sospettava ci fosse qualcosa, da qualche parte, meglio della magia. E di solito rimaneva deluso.

Comunque, presto approfitto di ogni occasione per azionare la scatola. Duefiori glielo lasciava fare con grande piacere, perche cosi l’ometto compariva nelle immagini. Fu a questo punto che Scuotivento noto qualcosa di strano. Il possesso della scatola conferiva una sorta di potere a chi la maneggiava. Tutti, infatti, davanti a quell’ipnotico occhio di vetro, ubbidivano remissivi agli ordini anche i piu perentori a proposito della posa e dell’espressione.

Il disastro si produsse mentre lui era cosi impegnato in Piazza delle Lune Rotte.

Duefiori si era messo in posa accanto a uno sbalordito venditore d’amuleti, sotto lo sguardo attento della folla dei suoi nuovi ammiratori in attesa di spassarsela per qualche sua lunatica manifestazione.

Scuotivento poggio un ginocchio a terra per meglio inquadrare l’immagine e premette la levetta incantata.

La scatola disse: — Non serve. Ho finito il rosa.

Davanti ai suoi occhi si apri uno sportello mai notato fino ad allora. Un piccolo umanoide, verde e orrendamente bitorzoluto, si sporse fuori, addito una tavolozza di colori che reggeva in una mano artigliata e gli grido: — Niente rosa. Vedi? Non serve che continui a spingere la levetta quando non c’e piu il rosa. Se volevi il rosa, non dovevi scattare tutte quelle immagini di fanciulle, no? D’ora in poi sara solo monocromo. Va bene?

— Va bene. Si. Certo — disse Scuotivento. Credette di vedere in un angolino scuro della scatola un cavalletto e un minuscolo letto sfatto. Avrebbe preferito non vederli.

— Mi auguro che ci siamo capiti — disse il diavoletto e chiuse la porta. A Scuotivento parve di udire un borbottio confuso e il rumore di uno sgabello trascinato sul pavimento.

— Duefiori… — comincio e alzo gli occhi.

Duefiori era scomparso. Scuotivento fisso la folla mentre brividi di orrore gli correvano su per la spina dorsale. A un tratto si senti pungere le reni.

— Girati senza fretta — disse una voce vellutata. — O di’ addio ai tuoi reni.

La folla l’osservava interessata. Si annunciava una giornata davvero memorabile.

Scuotivento si giro lentamente; sentiva la punta della spada grattargli le costole. All’estremita della lama riconobbe Stren Giunco: ladro, spadaccino crudele, concorrente insoddisfatto al titolo di uomo piu cattivo del mondo.

— Salve — disse debolmente. Qualche passo piu in la, due tizi dall’aspetto poco rassicurante avevano alzato il coperchio del Bagaglio e si indicavano eccitati le borse d’oro. Giunco sorrise. Sulla sua faccia solcata dalle cicatrici il sorriso ebbe un effetto sinistro.

— Ti conosco — disse. — Un mago da strapazzo. Che cos’e quella cosa?

Scuotivento si accorse che il coperchio del Bagaglio tremava leggermente, benche non ci fosse vento. E lui teneva ancora in mano la scatola a immagini.

— Questa? Serve a riprendere delle immagini — rispose in tono vivace. — Ehi, continua a sorridere, vuoi? — Indietreggio rapido e punto la scatola.

Giunco ebbe un attimo di esitazione. — Cosa?

— Bene cosi, non muoverti… — disse Scuotivento.

Il ladro rimase fermo, poi con un ringhio alzo la spada.

Ci fu uno snap e un duetto di grida tremende. Scuotivento non si guardo intorno per paura delle cose terribili che poteva vedere e quando Giunco lo cerco, lui era gia dall’altro lato della piazza che se la dava a gambe.

L’albatro scendeva lentamente in larghi giri concentrici che terminarono in un arruffio di penne e un tonfo poco dignitosi quando atterro pesantemente sulla sua piattaforma nel giardino degli uccelli del Patrizio.

Il custode degli uccelli sonnecchiava al sole; non si aspettava cosi presto un altro messaggio a lunga distanza dopo l’arrivo di quello del mattino. Salto in piedi e sollevo lo sguardo.

Poco dopo si affrettava per i corridoi del palazzo; teneva in mano la capsula col messaggio e si succhiava la brutta ferita infertagli sul dorso dal becco dell’animale, ferita dovuta alla sua sbadataggine causata dalla sorpresa.

Scuotivento galoppava per il viale senza badare agli urli di rabbia provenienti dalla scatola; scavalco un alto muro con la tunica sfilacciata che gli ondeggiava intorno come le piume arruffate di una cornacchia.

Atterro nel cortile davanti a un negozio di tappeti, sparpagliando mercanzia e clientela, usci a precipizio sul retro borbottando delle scuse, sfreccio lungo un altro viale e si arresto, barcollando pericolosamente, proprio mentre inavvertitamente stava per finire dentro l’Ankh.

Si dice ci siano dei fiumi mistici di cui una sola goccia si porta via la vita di un uomo. Dopo il suo torbido passaggio attraverso la citta gemella, l’Ankh avrebbe

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