— Be’, se vuoi proprio saperlo, pensavo che lui non intendesse la magia. Non come tale.

— Che altro c’e, allora?

Scuotivento comincio a sentirsi veramente infelice. — Non lo so — confesso. — Un modo migliore di fare le cose, suppongo. Qualcosa con un po’ di logica. Come imbrigliare… imbrigliare il lampo o altro.

L’occhiata dell’esserino era cortese, ma compassionevole. — I lampi sono le lance scagliate dai giganti del tuono quando combattono — disse gentilmente. — Un fatto meteorologicamente stabilito. E impossibile imbrigliarli.

— Lo so — convenne Scuotivento. — E qui dove l’argomento fa acqua.

Il diavoletto annui e scomparve nelle profondita dell’iconografo. Poco dopo si senti il profumo del bacon che soffriggeva. Scuotivento attese finche il suo stomaco non ne pote piu, e busso sulla scatola. L’omuncolo riapparve.

Prima che Scuotivento potesse aprire bocca, l’altro dichiaro: — Ho pensato a quanto hai detto. E anche se potessi bardarlo, come riusciresti a fargli tirare un carro?

— Di che diavolo stai parlando?

— Del lampo. Che va soltanto su e giu, mentre servirebbe che andasse in avanti, non su e giu. E in ogni modo, probabilmente brucerebbe la bardatura.

— Non m’importa del lampo. Come posso pensare a stomaco vuoto?

— Allora mangia qualcosa. E logico.

— Come? Ogni volta che mi muovo quella dannata cassa mi azzanna con il suo coperchio!

Come se avesse ricevuto l’imbeccata, il Bagaglio spalanco il coperchio.

— Vedi?

— Non sta cercando di morderti — disse il diavoletto. — Dentro c’e del cibo. Se muori di fame, non gli sei di nessuna utilita.

Scuotivento scruto negli scuri recessi del Bagaglio. Tra il caos di scatole e borse piene d’oro, c’erano in effetti diverse bottiglie e dei pacchetti avvolti in carta oleata. Con una risata cinica, il mago vago per la banchina abbandonata finche trovo un pezzo di legno della lunghezza giusta, lo incastro il piu delicatamente possibile nell’apertura tra il coperchio e il bordo della cassa, e tiro fuori uno dei pacchetti piatti.

Dentro c’erano dei biscotti che si rivelarono duri come legno diamantifero.

— Accidentaccio — borbotto, toccandosi i denti.

— I Digestivi per viaggiatori del Capitano Eightpanther, si chiamano — annuncio il diavoletto dalla soglia della sua scatola. — Hanno salvato parecchie vite in mare, quelli.

— Oh, sicuro. Li usate come zattera oppure li buttate ai pescecani e li guardate affondare? Cosa c’e nelle bottiglie? Veleno?

— Acqua.

— Ma c’e acqua dappertutto! Perche Duefiori avrebbe dovuto portarsi dietro l’acqua?

— Fidati.

— Fidarmi?

— Si. Lui non si e fidato dell’acqua di qui. Capisci?

Scuotivento apri una bottiglia. Il liquido dentro poteva anche essere dell’acqua. Non la minima fragranza, ne traccia di vita. — Ne sapore ne odore — brontolo il mago.

La sua attenzione fu attratta da un leggero scricchiolio proveniente dal Bagaglio, il quale con una mossa pigra piena di calcolata minaccia richiuse lentamente il coperchio e trituro come una foglia secca la zeppa di fortuna di Scuotivento.

— Va bene, va bene — disse lui. — Sto riflettendo.

Il quartier generale di Ymor si trovava nella Torre Pendente, all’incrocio di Rime Street e Frost Alley. A mezzanotte l’unica guardia che si teneva nell’ombra alzo gli occhi a guardare la congiunzione dei pianeti e si chiese oziosamente quali cambiamenti preannunziavano nelle sue fortune.

Si udi un suono appena percettibile, come lo sbadiglio di una zanzara.

La guardia lancio un’occhiata alla strada deserta e vide il riflesso della luce lunare brillare su qualcosa che giaceva nel fango a qualche metro di distanza. La raccolse. Era oro. Tiro il fiato cosi rumorosamente che echeggio per la via.

Di nuovo un suono lieve e un’altra moneta rotolo nel rigagnolo dal lato opposto della strada.

Non fece in tempo a raccoglierla che ne arrivo una terza ancora roteante. L’oro, ricordo, si credeva fosse formato dalla luce cristallizzata delle stelle. Fino a quel momento non ci aveva creduto, che una cosa pesante come l’oro potesse cadere naturalmente dal cielo.

Aveva appena raggiunto l’imboccatura della strada, che altre ne vennero giu. Nella borsa c’era ancora un’enorme quantita di pezzi d’oro e Scuotivento glieli rovescio sulla testa.

Quando la guardia rinvenne si trovo davanti la faccia di un mago dagli occhi spiritati, che lo minacciava alla gola con una spada. Nell’oscurita qualcosa lo afferrava alla gamba. Una presa sconcertante: lasciava intendere che, volendo, chi lo teneva poteva aumentare di parecchio la stretta.

— Dove si trova il ricco straniero? — sibilo il mago. — Presto!

— Che cosa mi stringe la gamba? — Nella voce dell’uomo vibrava una nota di terrore. Tento di divincolarsi e la pressione aumento.

— Saperlo non ti piacerebbe — lo minaccio Scuotivento. — Fa attenzione, per piacere. Dov’e il forestiero?

— Non e qui! L’hanno portato dal Grosso. Tutti lo cercano! Tu sei Scuotivento, vero? La cassa… la cassa che azzanna la gente… ononono… ti preego…

Scuotivento non c’era piu. La guardia senti il suo assalitore allentare la presa… o, come cominciava a temere, la cosa allentare la presa. Cerco di rimettersi in piedi e si senti investire nel buio da un oggetto grosso, pesante, squadrato che si butto all’inseguimento del mago. Un oggetto con centinaia di piccoli piedi.

Duefiori si sforzava, con il solo ausilio del suo dizionarietto autarchico, di spiegare al Grosso i misteri della famosa formula che aveva gia snocciolato a Scuotivento. Il grasso taverniere lo ascoltava attento, con gli occhietti neri scintillanti.

Seduto all’estremita del tavolo Ymor li osservava con blando divertimento e di tanto in tanto nutriva uno dei suoi corvi con gli avanzi del suo piatto. Accanto a lui, Giunco camminava su e giu.

— Ti agiti troppo — gli disse Ymor senza staccare gli occhi dai due uomini di fronte a lui. — Lo sento, Stren. Chi oserebbe attaccarci qui? E quel mago da strapazzo verra. E troppo codardo per non farlo. E cerchera di mercanteggiare. E noi lo terremo in pugno. Lui e l’oro e la cassa.

L’unico occhio di Giunco mando un lampo e lui si batte il pugno sul palmo della mano guantata di nero.

— Chi avrebbe immaginato che in tutto il disco ci fosse tanto legno del pero sapiente? — esclamo. — Come avremmo potuto saperlo?

— Ti agiti troppo, Stren — ripete Ymor. — Sono sicuro che questa volta farai meglio.

Il suo luogotenente sbuffo dal disgusto e fece il giro del locale per strapazzare i suoi uomini. Ymor continuo a fissare il turista.

Era strano, ma l’ometto non pareva rendersi conto della gravita della sua situazione. Ymor l’aveva visto piu volte guardarsi intorno con aria di profonda soddisfazione. Era anche un pezzo che parlava col Grosso e Ymor aveva visto un pezzo di carta cambiare di mano. E il Grosso aveva dato delle monete allo straniero. Era strano.

Quando il Grosso si alzo e passo accanto alla sua seggiola, il braccio del mastro ladrone scatto come una molla d’acciaio e trattenne il grassone per il grembiule.

— Che stavate facendo, amico? — gli chiese a voce bassa.

— N-niente, Ymor. Semplicemente degli affari privati, diciamo.

— Tra amici non ci sono segreti, Grosso.

— Gia. Be’, non ne sono sicuro nemmeno io, davvero. E una specie di scommessa, capisci? — disse nervosamente l’albergatore. — Si chiama… assi-cura-zione. - E una specie di scommessa che il Tamburo Rotto non sara distrutto da un incendio.

Ymor continuo a fissarlo finche il Grosso non si contorse dalla paura e dall’imbarazzo. Poi il mastro ladrone scoppio a ridere.

— Questo ammasso di vecchie travi rose dai vermi? — disse. — Quell’uomo deve essere matto.

— Si, ma un matto con i quattrini. Sostiene che adesso che ha ottenuto il… non posso ricordarmi la parola, comincia con una P, sarebbe quello che si chiama posta della scommessa, la gente per cui lui lavora nell’Impero Agateo paghera. Se il Tamburo Rotto sara distrutto dall’incendio. Non che io speri che lo sia. Bruciato. Il Tamburo Rotto, intendo. Voglio dire, per me e come una casa, il Tamburo…

— Non sei completamente stupido, vero? — disse Ymor e mando via il taverniere.

La porta si spalanco e sbatte contro la parete.

— Ehi, quella e la mia porta! — urlo il Grosso. Scopri chi era colui che si era fermato in cima alle scale, e si tuffo dietro un tavolo, appena in tempo prima che una corta freccia nera volasse attraverso il locale e si conficcasse nel legno.

Muovendosi con precauzione, Ymor si verso un’altra pinta di birra.

— Non vorresti farmi compagnia, Zlorf? — lo invito senza scomporsi. — E tu, Stren, metti via quella spada. Zlorf Flannelfoot e amico nostro.

Il presidente della Corporazione degli Assassini roteo con destrezza la corta arma e la rinfodero in un solo agile movimento.

— Stren! — lo richiamo Ymor.

Il ladro nerovestito fece un sibilo e rimise la spada nel fodero. Ma mantenne la mano sull’elsa e gli occhi sull’assassino.

Non gli fu facile. Nella Corporazione degli Assassini la promozione si otteneva grazie a un esame competitivo, di cui la parte piu importante, anzi l’unica, consisteva nella prova pratica. Cosi la larga, onesta faccia di Zlorf era solcata da cicatrici, risultato di tanti scontri ravvicinati. Probabilmente non sarebbe stata mai molto piacevole da vedersi. Si diceva che Zlorf aveva scelto una professione nella quale cappucci scuri, mantelli e vagabondaggi notturni avevano una larga parte perche nel suo parentado c’era un ramo trollesco che temeva la luce del giorno.

Quelli che lo dicevano a portata d’orecchi di Zlorf, rischiavano di riportarsi a casa i loro nel cappello.

L’uomo scese le scale, seguito da un certo numero di assassini. Si piazzo davanti a Ymor e dichiaro: — Sono venuto per il turista.

— E una cosa che ti riguarda. Zlorf

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