Il mago resto in silenzio.

— Che cosa facciamo o… — comincio il fabbro e s’interruppe. Si chino a guardare il viso del vecchio mago. Billet sorrideva. Chi avrebbe saputo dire perche?

Il fabbro rimise il piccolo nelle braccia dell’agitatissima levatrice. Poi, con la massima precauzione, sciolse le ditina pallide dalla verga.

Questa al tatto dava una sensazione strana, untuosa, come di elettricita statica. Il legno era quasi nero, ma gli intagli erano leggermente piu chiari e facevano male agli occhi se si cercava di scoprire che cosa fossero di preciso.

— Sei contento di te stesso? — chiese la levatrice.

— Eh? Oh, si. Si, certo, Perche?

La donna scosto un lembo della coperta. Il fabbro guardo giu e degluti.

— No — bisbiglio. — Lui aveva detto…

— E lui come avrebbe fatto a saperlo? — ribatte lei sprezzante.

— Ma lui ha detto che sarebbe stato un figlio!

— A me non sembra un figlio, amico.

Il fabbro si accascio sullo sgabello, con la testa nelle mani.

— Che cosa ho fatto? — gemette.

— Hai dato al mondo il suo primo mago femmina — disse la levatrice. — Chi e il furbastro, allora?

— Cosa?

— Stavo parlando alla bimba.

Il gatto bianco faceva le fusa e inarcava la schiena come si stesse strofinando alle gambe di un vecchio amico. Strano, perche li non c’era nessuno.

— Sono stato uno sciocco — pronuncio una voce con un tono impossibile a udirsi da un orecchio mortale. — Ho dato per scontato che la magia sapesse cio che faceva.

— FORSE E COSI.

— Se solo potessi fare qualcosa…

— NON SI PUO TORNARE INDIETRO. NON SI PUO TORNARE INDIETRO — disse la voce profonda e greve come il richiudersi delle porte di una cripta.

La manciata di nulla che era diventato Tamburo Billet rimase per un po’ a pensare.

— Ma lei avra un sacco di problemi.

— E A QUESTO CHE SI RIDUCE LA VITA. COSI MI DICONO. IO NATURALMENTE NON SAPREI.

— E la reincarnazione?

La Morte esito.

— NON TI PIACEREBBE — disse. — CREDI A ME.

— Ho sentito che certe persone lo fanno sempre.

— BISOGNA ESSERCI ALLENATI. BISOGNA COMINCIARE PICCOLO E CRESCERE VIA VIA. NON MAI IDEA DI COME SIA ORRIBILE ESSERE UNA FORMICA.

— E tanto brutto?

— NON CI CREDERESTI. E CON IL TUO KARMA E TROPPO SPERARE DI ESSERE UNA FORMICA.

La piccola era stata riportata a sua madre e il fabbro sedeva sconsolato a fissare la pioggia.

Tamburo Billet grattava il gatto dietro l’orecchio e intanto pensava alla propria vita. Era stata una vita lunga (questo era uno dei vantaggi dell’essere un mago) e lui aveva fatto parecchie cose di cui non andava troppo fiero. Era ormai tempo che…

— NON HO TUTTO IL GIORNO A DISPOSIZIONE, SAI — disse la Morte in tono di rimprovero.

Il mago abbasso gli occhi sul gatto e si rese conto per la prima volta di quanto ora sembrasse strano.

I vivi spesso non comprendono quanto il mondo sembri complicato quando uno e morto. Perche, mentre la morte libera la mente dalla costrizione delle tre dimensioni, la taglia anche fuori dal Tempo, che e soltanto un’altra dimensione. Cosi, mentre il gatto che si strofinava alle sue gambe invisibili era senza dubbio lo stesso gatto che lui aveva visto pochi minuti prima, adesso era anche con grande chiarezza un micino appena nato e una vecchia gattona grassa e mezza cieca, compresi tutti gli stadi intermedi. Tutto nello stesso tempo. In principio, quando era minuscolo, sembrava una carota bianca a forma di gatto. Descrizione, questa, di cui ci dobbiamo accontentare finche non si inventeranno gli aggettivi quadridimensionali adatti.

La mano scheletrica della Morte batte gentilmente il mago sulla spalla.

— VIENI VIA, FIGLIO MIO.

— Non c’e niente che io possa fare?

— LA VITA E FATTA PER I VIVI. COMUNQUE, LE HAI DATO LA TUA VERGA.

— Gia. C’e quella.

La levatrice si chiamava Nonnina Weatherwax. Era una strega. Fatto piu che accettato nelle Ramtop Mountains, e nessuno diceva male delle streghe. Almeno, fintantoche desiderava risvegliarsi al mattino con lo stesso aspetto di quando era andato a letto.

Quando la donna scese dabbasso, trovo il fabbro che fissava ancora la pioggia con aria cupa. Gli batte una mano nodosa sulla spalla. Lui alzo gli occhi a guardarla.

— Che devo fare, Nonnina? — domando, senza riuscire a evitare il tono lamentoso.

— Cosa ne hai fatto del mago?

— L’ho portato fuori nella legnaia. Ho fatto bene?

— Per adesso bastera. Ora devi bruciare la verga.

Entrambi si voltarono a guardare il pesante bastone che il fabbro aveva appoggiato nell’angolo piu oscuro della fucina. Sembrava quasi che l’oggetto ricambiasse lo sguardo.

— Ma e magica — bisbiglio l’uomo.

— Allora?

— Brucera?

— Mai saputo che il legno non bruci.

— Non sembra giusto.

Nonnina Weatherwax chiuse le grandi porte e si giro verso di lui in collera.

— Adesso stammi a sentire. Gordo! Nemmeno le femmine maghi sono giuste! E il genere di magia sbagliata per le donne, quella dei maghi, tutta libri e stelle e giommetria. Lei non ce la farebbe. Chi ha mai sentito di un mago femmina?

— Ci sono le streghe — obietto il fabbro incerto. — E le incantatrici, anche, ho sentito.

— Le streghe sono tutta un’altra cosa — sbuffo Nonnina Weatherwax. — La loro e una magia che viene dalla terra, non dal cielo, e gli uomini non ci hanno mai capito niente. Quanto alle incantatrici — aggiunse — sono come sono. Dammi retta, brucia la verga, seppellisci il corpo e non farne mai parola con nessuno.

Il fabbro annui a malincuore, si avvicino alla fucina e si diede da fare con il mantice finche non sprizzarono le scintille, poi ando a prendere la verga.

Quella non si mosse.

— Non vuole muoversi!

Tirava il bastone con tanta forza che il sudore gli colava sulla fronte. Ma quello, immobile, non mostrava di voler cooperare.

— Qui, fammi provare — disse la Nonnina e allungo le mani. Ci fu uno schiocco e un puzzo di stagno bruciacchiato.

Il fabbro attraverso di corsa il locale, zoppicando leggermente, per soccorrere la donna che era andata a sbattere a capofitto contro la parete opposta.

— Stai bene?

Lei apri due occhi simili a diamanti infuriati e disse: — Capisco. E cosi che va, allora?

— Che va che cosa? — Il fabbro era totalmente disorientato.

— Aiutami a tirarmi su, sciocco. E portami un’accetta.

Il tono della sua voce suggeriva che disubbidire non sarebbe stata una buona idea. Il fabbro frugo freneticamente tra i vari arnesi dietro la fucina fino a trovare una vecchia scure a doppio taglio.

— Bene. Adesso levati il grembiule.

— Perche? Che hai intenzione di fare? — chiese l’uomo, che cominciava a perdere il filo degli avvenimenti. Lei se ne usci in un sospiro esasperato.

— E di cuoio, idiota che non sei altro. Lo avvolgero intorno al manico. Quello non mi fara lo stesso scherzo due volte!

Il fabbro si tolse a fatica il pesante grembiule di cuoio e glielo tese con una certa cautela.

Lei lo avvolse intorno al manico della scure che fece roteare in aria una o due volte. Poi attraverso il locale con passo deciso (al chiarore della fornace quasi incandescente la sua figura faceva pensare a un ragno) e con un grugnito di trionfo abbatte la pesante lama proprio nel centro della verga.

Uno scatto. Un verso come quello di una pernice. Un tonfo.

Silenzio.

Il fabbro allungo una mano molto lentamente, senza muovere la testa, e tocco la lama dell’accetta. Che non si trovava piu sull’accetta. Si era conficcata nella porta, vicino alla sua testa, portandogli via un pezzettino di orecchia.

La Nonnina, con l’aria ancora confusa per avere cozzato contro un oggetto assolutamente inamovibile, fissava il pezzo di legno che aveva in mano.

— Bbbbennee — farfugliava — iiiinnn qquessttoo cccassoo…

— No — replico con fermezza l’uomo, massaggiandosi l’orecchia. — No, qualunque cosa tu stia per suggerirmi. Lascialo perdere. Ci ammucchiero sopra della roba. Nessuno lo notera. Lascialo perdere. E solo un bastone.

— Solo un bastone?

— Hai qualche idea migliore? Che non rischiera di portarmi via la testa?

La donna lancio un’occhiataccia alla verga, che non parve farci caso.

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