vivo.

Il portiere gli rispose calmo: — Non c’e bisogno che me lo dica. So cosa le succederebbe se ci fermassero. Non e la prima volta, per me. L’ho gia fatto. Per gli studenti. Ma lei non e uno studente. E un uomo famoso, ed e ricco. Pero al tempo stesso non lo e. Al tempo stesso non e nessuno. Lei non esiste nemmeno, parlando in termini legali. — Fece una risatina effeminata, gli occhi puntati sul traffico che aveva davanti, sulla strada. Guidava come una vecchia, noto Jason. Teneva tutte e due le mani attaccate al volante.

Erano entrati negli slum di Watts. Negozietti bui sui due lati della via intasata, bidoni traboccanti di spazzatura, fondo stradale disseminato di frammenti di bottiglie rotte, insegne grigiastre che reclamizzavano la Coca-Cola a grandi lettere e il nome del negozio in piccole. A un incrocio, un nero molto anziano attraverso a passi esitanti, cauti, come se fosse cieco. Vedendolo, Jason provo una strana emozione. Ormai c’erano pochissimi neri vivi, dopo la famosa Legge Tidman sulla sterilizzazione approvata dal Congresso nei terribili giorni dell’Insurrezione. Il portiere rallento sino a fermare il veicolo, per non creare problemi al vecchio che indossava un vestito marrone spiegazzato, costellato di rammendi sdruciti. Evidentemente stava provando anche lui la stessa sensazione.

— Si rende conto — chiese a Jason — che se lo investissi per me significherebbe la pena di morte?

— Mi pare giusto — disse Jason.

— E come se fosse l’ultimo stormo di gru del Nordamerica. — Il portiere riparti, visto che il nero aveva raggiunto l’altro lato della strada. — Protetti da mille leggi. Non puoi prenderli in giro. Non puoi fare a cazzotti con uno di loro senza rischiare un’accusa di reato di primo grado: dieci anni di prigione. Eppure li stiamo facendo estinguere. E quello che voleva Tidman, e probabilmente anche la maggioranza dei Silenziosi, pero… — Gesticolo, staccando per la prima volta una mano dal volante. — Mi mancano i bambini. Ricordo ancora quando avevo dieci anni e un ragazzino nero come compagno di giochi. Non lontano da qui, a dire il vero. Senz’altro, ormai lo avranno sterilizzato.

— Pero avra avuto un figlio — fece notare Jason. — Sua moglie avra dovuto restituire il coupon di parto dopo la nascita del loro unico figlio… quello l’hanno avuto. La legge lo consente. E c’e un milione di norme per proteggere la loro sicurezza.

— Due adulti, un bambino — disse il portiere. — Cosi la popolazione nera si dimezza a ogni generazione. Ingegnoso. Bisogna darne atto a Tidman. Ha risolto il problema razziale, come no.

— Bisognava fare qualcosa. — Jason se ne stava rigido sul suo sedile, scrutava la strada davanti a loro, in cerca di segni di un punto di controllo o di una barricata pol-naz. Non vedeva niente, ma per quanto tempo dovevano continuare a viaggiare?

— Siamo quasi arrivati — gli disse il portiere, calmo. Giro la testa a guardare Jason. — Non mi piacciono i suoi pregiudizi razzisti. Anche se mi sta pagando cinquecento dollari.

— Per i miei gusti, ci sono neri in vita piu che a sufficienza — rispose Jason.

— E quando morira l’ultimo?

— Lei puo leggermi nella mente — disse Jason. — Non c’e bisogno che le risponda.

— Cristo — disse il portiere, e torno a concentrarsi sul traffico.

Svoltarono a destra e infilarono un vicolo stretto. Sui due lati, porte in legno chiuse a chiave, sbarrate. Nessuna insegna, li. Solo il silenzio totale. E cumuli di vecchi detriti.

— Cosa c’e dietro quelle porte? — chiese Jason.

— Gente come lei. Persone che non possono uscire allo scoperto. Pero sono diverse da lei, per un verso. Non hanno cinquecento dollari… e molto altro, se la leggo bene.

— Mi costera una montagna di soldi ottenere le tessere d’identita — disse Jason acido. — Probabilmente tutto quello che ho.

— Non le fara pagare un prezzo esorbitante. — Il portiere fermo il trabi, invadendo per meta il marciapiede. Jason scruto fuori, vide un ristorante abbandonato, chiuso con assi di legno, con le finestre fracassate. Dentro, buio totale. Il posto gli ispirava disgusto, ma, a quanto sembrava, era la loro destinazione. Viste le sue necessita, doveva prendere le cose come venivano; non poteva fare lo schizzinoso.

E lungo la strada avevano evitato tutti i punti di controllo e le barricate; il portiere aveva scelto un buon percorso. Quindi, tutto sommato, Jason aveva ben poco da lamentarsi.

Assieme, si avvicinarono alla porta rotta del ristorante, che penzolava sui cardini. Nessuno dei due parlo. Si concentrarono sul problema di schivare i chiodi arrugginiti che sporgevano dai fogli di compensato, inchiodati li probabilmente per proteggere la vetrina.

— Si tenga attaccato alla mia mano — disse il portiere, tendendogli la destra nella penombra che li circondava. — Conosco la strada, e qui c’e buio. Hanno tolto l’elettricita a tutto l’isolato tre anni fa. Per cercare di spingere la gente a evacuare gli edifici. Cosi li avrebbero bruciati. — Aggiunse: — Ma sono rimasti quasi tutti.

La mano fredda e sudaticcia del portiere guido Jason oltre quelli che dovevano essere tavoli e sedie, ammucchiati in cumuli irregolari di gambe e piani, decorati da ragnatele e depositi granulari di sporcizia. Alla fine, andarono a sbattere contro una parete nera, solida. Il portiere si fermo li, lascio andare la mano di Jason, armeggio con qualcosa nel buio.

— Non posso aprire — disse mentre si stava dando da fare. — Si puo solo dall’altro lato. Il suo lato. Le sto soltanto segnalando che siamo qui.

Una sezione di parete, cigolando, scivolo da una parte. Jason sbircio e riusci a vedere solo altra tenebra. E desolazione.

— Entri da qui — disse il portiere, e lo spinse avanti. La parete, dopo un attimo, si richiuse alle loro spalle.

Si accesero delle luci. Momentaneamente accecato, Jason si schermo gli occhi, poi passo in rassegna il laboratorio.

Era piccolo. Pero vide parecchie macchine dall’aria molto complessa e di alta tecnologia. Sul lato opposto del locale, un banco da lavoro. Centinaia di utensili, tutti sistemati in bell’ordine lungo le pareti della stanza. Sotto il banco, grandi cartoni che probabilmente contenevano carte e documenti di ogni tipo. E una piccola macchina tipografica alimentata da un generatore autonomo.

E la ragazza. Sedeva su uno sgabello molto alto. Stava sistemando a mano una riga di caratteri tipografici. Jason noto i capelli biondo chiaro, molto lunghi ma sottili, che dalla nuca scendevano sulla camicia da lavoro di cotone. Portava i jeans, e i piedi, minuscoli, erano nudi. Dimostrava, a prima vista, quindici o sedici anni. Praticamente non aveva seno, ma le gambe erano lunghe e snelle. Come piacevano a lui. L’assenza totale di trucco conferiva al viso un colorito bianco pastello.

— Ciao — disse lei.

— Io vado — interloqui il portiere dell’hotel. — Cerchero di non spendere i cinquecento dollari tutti in una volta. — Premette un pulsante e la sezione mobile di parete scivolo di lato. Contemporaneamente le luci in laboratorio si spensero, lasciandoli di nuovo nel buio piu completo.

Dal suo sgabello, la ragazza disse: — Io sono Kathy.

— Jason — rispose lui. La parete si richiuse, e le luci si riaccesero. “E proprio molto carina” penso Jason. A parte il fatto che aveva un che di passivo, di indifferente. “Come se” penso lui “per lei nulla abbia una vera importanza. Apatia? No” decise. Era timida. Ecco la spiegazione.

— Gli hai dato cinquecento dollari per portarti qui? — Il tono di Kathy era meravigliato. Studio Jason con aria critica, nel tentativo di valutarlo basandosi sul suo aspetto.

— Di solito i miei abiti non sono cosi spiegazzati — disse Jason.

— E un bel vestito. Seta?

Lui annui.

— Sei uno studente? — chiese Kathy, continuando a scrutarlo. — No, no. Non hai quel colorito cereo di chi vive nel sottosuolo. A questo punto, resta una sola possibilita.

— Che io sia un criminale — disse Jason. — Che stia cercando di cambiare la mia identita prima che pol e naz mi prendano.

— E cosi? — Kathy non diede il minimo segno di nervosismo. Era una domanda semplice, neutra.

— No. — Jason non volle insistere. Non in quel momento. Magari piu tardi.

Kathy disse: — Secondo te, tanti di quei naz sono robot, non vere persone? Portano sempre le maschere antigas. E difficile capirlo sul serio.

— Mi accontento di non amarli — rispose Jason. — Senza indagare oltre.

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