Capitolo XXVII

Prima corrono i cavalli poi corre Limone per monti e per valli

Il Principe Limone aveva dato una grande festa.

— Bisogna che i miei sudditi si divertano, — diceva il Principe Limone, — cosi non avranno tempo di pensare ai loro guai.

Aveva organizzato una grande corsa di cavalli, a cui partecipavano tutti i Limoni di corte, di primo, di secondo e di terzo grado, naturalmente nella parte di cavalieri, non in quella di cavalli.

La specialita di quella corsa era che i cavalli dovevano correre tirando dei carri frenati. Prima della partenza i Limoni applicarono alle ruote certi freni pesantissimi e il Principe passo lui stesso l'ispezione per vedere se funzionavano.

Quando il Principe diede il via, i cavalli puntarono gli zoccoli, inarcarono le zampe e cominciarono a tirare con tutta la loro forza, i perdendo bava dalla bocca. Ma i carri non si muovevano di un palmo. Allora i Limoni misero in azione le loro lussuosissime fruste, battendoli ferocemente.

Qualche carro si mosse di pochi centimetri, e il Principe, soddisfatto, batte le mani. Poi scese lui stesso nell'arena e comincio a frustare i cavalli a destra e a sinistra, divertendosi un mondo.

— Frustate il mio, Altezza! — gridavano i Limoni per fargli piacere.

Il Principe frustava a piu non posso.

I cavalli, impazziti dal terrore, piegavano le zampe che pareva si dovessero spezzare.

Quel gioco crudele era stato inventato dal Principe, perche, diceva lui:

— Tutti i cavalli sono capaci di correre se gli sciogliete la briglia! Io voglio vedere quello che sono capaci di fare se li tenete fermi.

In verita, gli piaceva frustare i cavalli, e organizzava quelle feste per sfogarsi.

La gente inorridiva, ma era costretta ad assistere al feroce spettacolo, perche se il Principe aveva deciso che la gente si divertisse, la gente doveva divertirsi per forza.

A un tratto rimase con la frusta alzata, mentre gli occhi gli uscivano dalla testa. Le gambe cominciarono a tremargli, il suo viso divenne piu giallo che mai, e sotto il berretto giallo i capelli si rizzarono, tanto che il campanello d'oro squillo disperatamente.

II povero Principe aveva visto la terra aprirsi davanti ai suoi piedi.

Prima si era formata una crepa, poi un'altra, poi era apparsa una gobba in mezzo al selciato, una gobba di terriccio come quelle che in campagna le talpe innalzano in un batter d'occhio. In fine la gobba si spacco, la spaccatura si allargo, comparve una testa, due spalle, e un piccolo vivace personaggio balzo fuori dalla terra, aiutandosi con i gomiti e con i ginocchi: Cipollino!

Si udi la voce nasale della Talpa che gridava spaventata:

— Cipollino, torna indietro, abbiamo sbagliato strada!

Ma Cipollino non l'udiva nemmeno. A trovarsi davanti la faccia sudata e spaventata del Principe Limone, che brandiva la frusta col braccio alzato, immobile come una statua di sale, il cuore gli aveva dato un balzo.

Senza riflettere a quel che faceva, si avvicino al Governatore e gli strappo di mano la frusta. La brandi e la fece schioccare per aria un paio di volte, come per provarla, poi l'abbasso con violenza sulle spalle del Principe Limone, che era troppo atterrito per scansarsi, e si prese la frustata sulla schiena.

— Ahi! — grido il Governatore.

Cipollino alzo la frusta e l'abbasso di nuovo. Allora il Governatore si volto e fuggi via a gambe levate.

Quello fu il segnale. Dietro a Cipollino comparvero come per incanto i prigionieri fuggiti dall'ergastolo e la folla li riconobbe uno dopo l'altro con grida di gioia. Il padre riconosceva il figlio, la sposa riconosceva il marito.

In un momento i Limoncini furono sopraffatti, la folla si riverso nel corso e prese sulle spalle i prigionieri per portarli in trionfo.

I Limoncini di corte, spaventatissimi, tentarono di scappare. Ma i carri, come sapete, erano frenati, e non si muovevano di un palmo: cosi i Limoni furono presi e legati come salami.

II Principe Limone, invece, aveva fatto in tempo a balzare sulla sua carrozza, che, non partecipando alla corsa, non era frenata, e pote allontanarsi velocemente. Non penso nemmeno di recarsi al suo Palazzo, e prese invece la strada dei campi, picchiando i cavalli con un bastone per farli galoppare piu in fretta. I cavalli, ubbidienti, galopparono tanto in fretta che la carrozza si rovescio, e il Principe Limone ando a ficcarsi a testa in giu in un letamaio.

— Un posto adatto per lui, — avrebbe detto Cipollino se lo avesse potuto vedere.

Capitolo XXVIII

Pomodoro mette una tassa sui temporali e la nebbia bassa

Proprio mentre in citta si svolgevano le grandi corse dei cavalli frenati, in una sala del Castello del Ciliegio, che fungeva da aula del Tribunale, Pomodoro aveva fatto convocare gli abitanti del villaggio per decidere una causa molto importante.

Presidente, manco a dirlo, era lo stesso Pomodoro. Avvocato il sor Pisello. Don Prezzemolo fungeva da usciere, e scriveva le risposte in un registro con la mano sinistra, per poter continuare a soffiarsi il naso con la destra.

La gente era abbastanza spaventata, perche ogni volta che si radunava il Tribunale erano guai. L'ultima volta, per esempio, il Tribunale aveva deciso che l'aria era proprieta delle Contesse del Ciliegio, e che quindi si dovesse pagare per respirare. Una volta al mese Pomodoro faceva il giro delle case, faceva respirare profondamente in sua presenza i cittadini e prendeva le misure del loro respiro: poi faceva alcune moltiplicazioni e concludeva fissando la cifra della tassa.

Il sor Zucchina, che come sapete sospirava continuamente, era quello che pagava piu di tutti.

Il Cavalier Pomodoro prese per primo la parola e disse:

— Negli ultimi tempi le entrate del Castello sono state piuttosto scarse. Come sapete, le due povere vecchie signore, orfane di padre, di madre e di zii, sono nella piu squallida miseria, e si trovano nella triste necessita di mantenere anche il Duchino Mandarino e il Barone Melarancia, per non lasciarli morire di fame.

Mastro Uvetta lancio un'occhiataccia al Barone, che sedeva in un angolo con gli occhi chiusi, e assaporava mentalmente una lepre in salmi con contorno di passerotti.

— Qui non si danno occhiatacce, — ammoni severamente Pomodoro, — smettetela di guardare a quel modo altrimenti faccio sgomberare l'aula.

Mastro Uvetta si affretto a guardare la punta delle proprie scarpe.

— Le nobili Contesse, nostre amate padrone, hanno dunque presentato richiesta scritta in carta da bollo per ottenere il riconoscimento di un loro importante diritto. Avvocato, date lettura del documento.

Il sor Pisello si alzo, si schiari la voce, gonfio il petto con aria d'importanza e comincio a leggere:

— 'Le qui segnate Donna Prima e Donna Seconda Del Ciliegio ritengono che, essendo padrone dell'aria, devono essere riconosciute anche padrone della pioggia. Esse chiedono percio a tutti i cittadini il pagamento di una tassa di cento lire per un acquazzone semplice, di duecento lire per un temporale con tuoni e lampi, di trecento lire per una nevicata e di quattrocento lire per una grandinata. Per rugiada, nebbia alta e bassa,

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