Si stava infilando il soprabito quando una serie di tuoni fece tremare la casa.

Rabbrividi e guardo fuori della finestra. Un mulinello di neve fitta e gelata vortico contro il vetro, fermandosi un momento a mezz’aria. Non era la prima volta, quell’anno, che durante una bufera di neve udiva il brontolio dei tuoni, ma di solito erano sempre deboli e distanti, non cosi minacciosi.

Ci fu un lampo, poi un altro. La neve brillo in modo strano nella luce incostante e la finestra si trasformo ben presto in un specchio in cui Markwell vide riflesso il proprio volto tormentato. Il boato che segui fu il piu fragoroso.

Apri la porta e osservo incuriosito lo spettacolo offerto dalla bufera. La violenza del vento scagliava la neve sotto il tetto della veranda, ammassandola contro la facciata della casa. Il prato e i rami dei pini erano ammantati di un sottile strato di neve fresca.

Il bagliore accecante di un altro lampo feri gli occhi di Markwell. Il tuono che segui fu cosi tremendo che sembrava provenisse non solo dal cielo, ma anche dalla terra, come se cielo e terra stessero per spaccarsi, annunciando lo scontro finale. Due fulmini intersecantisi squarciarono l’oscurita. Ovunque sembrava che si materializzassero sagome soprannaturali che saltavano, ondeggiavano e si contorcevano. Tutte le ombre degli oggetti venivano cosi stranamente distorte che il mondo familiare di Markwell acquisto le caratteristiche di un dipinto surrealista: quella luce irreale illuminava sinistramente gli oggetti comuni tanto da alterarne la fisionomia in modo inquietante.

Disorientato da quel cielo in fiamme, dai tuoni, dal vento e da quelle cortina di neve che la bufera sollevava, Markwell per la prima volta, quella sera, si senti ubriaco. Si chiese quanto di reale ci fosse in quello strano fenomeno elettrico e quanto fosse provocato dalle allucinazioni indotte dall’alcol. Attraverso con cautela la veranda, si fermo in cima ai gradini e appoggiandosi alla colonnina sporse la testa per guardare il cielo.

Una serie ininterrotta di lampi creo uno strano effetto ottico, il prato e la strada di fronte cominciarono a sussultare ripetutamente, come se quella scena facesse parte di un film proiettato da una cinepresa difettosa. I colori svanirono, rimasero solo il biancore accecante, un cielo senza stelle, la neve scintillante e le scure ombre terrificanti.

Mentre assisteva atterrito a quell’agghiacciante manifestazione delle forze celesti, un altro fulmine squarcio il cielo. Ma questa volta si abbatte su un lampione poco distante. Markwell lancio un urlo. La notte si fece incandescente e la boccia di vetro ando in mille pezzi. Markwell si senti scoppiare la testa; il pavimento della veranda sussulto. Nell’aria fredda si diffuse immediatamente un odore di ozono e di ferro rovente.

Presto non fu che silenzio, immobilita e oscurita.

Markwell aveva involontariamente ingoiato la sua caramella di menta.

Lungo la via, i vicini attoniti cominciarono a fare capolino qua e la. O forse avevano assistito a tutta la scena, ma lui li vedeva solo ora. Alcuni avanzarono a fatica nella neve per osservare da vicino il lampione colpito. Si chiamarono l’un l’altro e chiamarono anche Markwell, ma lui non rispose.

Quello spettacolo terrificante non lo aveva certo reso sobrio. Temendo che i vicini si accorgessero del suo stato di ubriachezza, fece dietrofront e rientro in casa.

Del resto non aveva tempo da perdere; una donna stava per partorire e aveva bisogno della sua assistenza.

Cerco di riprendere il controllo di se, prese una sciarpa di lana dall’armadio e se l’avvolse attorno al collo incrociandone le estremita sul petto. Le mani gli tremavano e le dita erano leggermente rigide, ma riusci lo stesso ad allacciarsi il cappotto. Lottando contro il capogiro si infilo un paio di calosce.

Fu sconvolto dall’idea che quel fulmine spaventoso avesse un significato speciale per lui. Un segno, una premonizione. Sciocchezze. Era solo il whisky a ottenebrargli la mente. Ma quella sensazione l’accompagno mentre si avviava verso il box, sollevava la saracinesca e usciva con l’auto sul vialetto, facendo scricchiolare la neve sotto le catene.

Mentre stava per scendere e andare a chiudere il box, qualcuno picchio forte sul suo finestrino. Sbigottito, Markwell si volto e vide un uomo, leggermente piegato, che lo fissava attraverso il vetro.

Lo sconosciuto doveva avere circa trentacinque anni e un volto dai lineamenti decisi e regolari. Sebbene il finestrino fosse leggermente appannato, la sua figura gli parve impressionante. Indossava un giaccone da marinaio con il bavero alzato. In quell’aria gelida le sue narici fumavano e quando parlo le parole uscirono avvolte da un velo di nebbia. «Il dottor Markwell?»

Markwell tiro giu il vetro. «Si?»

«Il dottor Paul Markwell?»

«Si, si. Le ho gia risposto. Scusi, ma non sono di turno stanotte. Devo recarmi subito da una paziente all’ospedale.»

Lo sconosciuto aveva occhi di un azzurro particolare che a Markwell ricordarono un chiaro cielo invernale riflesso nel sottilissimo ghiaccio di un laghetto appena gelato. Erano singolari, quasi affascinanti, ma seppe all’istante che erano anche gli occhi di un uomo pericoloso.

Prima che Markwell potesse inserire la marcia e raggiungere la strada, dove avrebbe potuto trovare aiuto, l’uomo gli spiano contro una pistola attraverso il finestrino aperto. «Non muoverti, stupido.»

Quando senti la fredda canna della pistola sulla gola, il medico si rese improvvisamente conto di aver paura di morire. Da tempo pensava di poter affrontare la morte senza timore. Ma invece di esserne contento, fu assalito dal rimorso. Desiderare vivere gli sembrava quasi un tradimento nei confronti di suo figlio, a cui avrebbe potuto ricongiungersi soltanto nella morte.

«Spenga le luci, dottore. Bene. E ora anche il motore.»

Markwell estrasse la chiave dal quadro. «Chi e lei?»

«Questo non e importante.»

«Lo e per me. Che cosa vuole? Che cosa vuole fare?»

«Collabori e non le accadra nulla. Ma se solo fa una mossa, le faccio saltare le cervella. Poi riempiro di pallottole il suo cadavere, giusto per il gusto di farlo.» Il tono della sua voce era delicato, assurdamente piacevole, ma decisamente convincente. «Mi dia le chiavi.»

Markwell gliele passo attraverso il finestrino.

«E ora venga fuori.»

Ritrovato un minimo di lucidita, Markwell scese dalla macchina. Il vento impetuoso gli sferzava il viso e per ripararsi dal nevischio dovette tenere gli occhi socchiusi.

«Prima di chiudere la portiera, alzi il finestrino.» Lo sconosciuto non gli lasciava via d’uscita. «Okay, molto bene. E ora, dottore, venga con me verso il box.»

«Ma questo e pazzesco. Che cosa…»

«Si muova.»

Lo sconosciuto camminava al fianco di Markwell, tenendolo per il braccio sinistro. Anche se qualcuno, dalle case adiacenti o dalla strada, stava osservando la scena, non avrebbe comunque potuto accorgersi dell’arma a causa dell’oscurita e del nevischio.

Una volta nel box Markwell, eseguendo gli ordini dello sconosciuto, calo la saracinesca. I cardini, freddi e un po’ arrugginiti, cigolarono.

«Se e del denaro che vuole…»

«Stia zitto ed entri in casa!»

«Senta, c’e una paziente all’ospedale che sta per partorire…»

«Se non chiude quella bocca, le faccio saltare tutti i denti con il calcio della pistola, cosi poi non potra piu parlare.»

Markwell capi che l’avrebbe fatto. Alto circa un metro e ottanta, robusto, l’uomo aveva piu o meno la corporatura di Markwell, ma in piu incuteva timore. La neve che si era depositata sui suoi capelli biondi stava sciogliendosi e a mano a mano che le gocce gli cadevano sulle sopracciglia e lungo le tempie assumeva sempre piu l’aspetto di un essere non umano, come una statua di ghiaccio a una festa invernale. Markwell non aveva dubbi che in uno scontro fisico lo sconosciuto avrebbe vinto contro piu di un avversario, specialmente contro un dottore di mezza eta, privo di forze e per giunta ubriaco.

Bob Shane si sentiva soffocare nell’angusta saletta d’attesa del reparto maternita. La stanza aveva un controsoffitto isolante, le pareti erano verde pallido e l’unica finestra era incorniciata da neve ghiacciata. L’aria era

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