I passi risuonavano sulle scale nella luce fioca.

«Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto, vero? Sei gia nei guai. Ogni cosa che fai, ogni cosa che dici, ogni cosa che senti, non fa che peggiorare la situazione. Faresti meglio a pregare di non esserti spinto troppo oltre.»

Richard piego la testa da un lato. «Mi scusi» disse. «So che questa e una domanda indiscreta, ma lei, per caso, e clinicamente pazzo?»

«Possibile, ma assai improbabile. Perche?»

«Be’,» ribatte Richard «uno di noi deve esserlo per forza.»

Si trovavano ora nel buio piu assoluto, e Richard inciampo leggermente mentre raggiungeva l’ultimo scalino, alla ricerca di un ulteriore inesistente gradino.

«Attento alla testa» disse il Marchese, e apri una porta mentre Richard batteva la fronte contro qualcosa e usciva, riparandosi gli occhi dalla luce.

Richard si strofino la fronte. Poi si strofino gli occhi. La porta che avevano appena attraversato era quella dello stanzino delle scope sulle scale del palazzo in cui abitava.

Il Marchese stava esaminando il volantino dell’AVETE VISTO QUESTA RAGAZZA? attaccato accanto alla porta di Richard.

«Non il suo lato migliore» commento.

Quindi Richard apri la porta d’ingresso, ed eccolo a casa. Era, gli fece piacere notare attraverso le finestre, un’altra volta notte.

«Richard!» esclamo Porta. «Ce l’hai fatta!»

Mentre lui era fuori, si era lavata, e l’aspetto degli strati di abiti dava l’idea che si fosse sforzata di eliminare sporco e sangue anche da li. Su viso e mani non c’era piu traccia di sudiciume. Richard si chiese quanti anni avesse: quindici? sedici? di piu? Non era comunque in grado di dirlo.

Aveva indossato la giacca di pelle che portava quando l’aveva trovata: un’enorme cosa marrone che somigliava a un vecchio giaccone da aviatore e che in qualche modo la faceva sembrare piu piccola di quanto fosse in realta, e anche piu vulnerabile.

«Be’, si» disse Richard.

Il Marchese de Carabas appoggio un ginocchio a terra davanti alla ragazza, chino il capo e disse, «Mia signora.»

Lei pareva a disagio.

«Oh, alzati, de Carabas. Sono lieta che tu sia venuto.»

Si rialzo con un unico, armonioso movimento. «Mi e dato di capire» disse «che sono state pronunciate le parole favore, molto e grande. Congiuntamente.»

«Piu tardi.» Ando da Richard e gli prese le mani. «Richard. Grazie. Ti sono davvero molto grata per tutto quello che hai fatto. Ti ho cambiato le lenzuola nel letto. E vorrei tanto ci fosse un modo per poterti ripagare.»

«Te ne vai?»

Annui. «Sono al sicuro adesso. Piu o meno. Spero. Per un po’.»

«E dove vai?»

Gli sorrise dolcemente e scosse il capo. «Ah-ah. Sono uscita dalla tua vita. E tu sei stato meraviglioso.»

Si alzo sulla punta dei piedi e lo bacio sulla guancia.

«Se mai avessi bisogno di mettermi in contatto con te…?»

«Non ne avrai. Mai. E…» poi fece una pausa. «Senti, mi dispiace, d’accordo?»

Richard si controllo i piedi, con aria imbarazzata. «Non c’e nulla di cui dispiacersi» disse, e aggiunse incerto: «E stato divertente.»

Quindi alzo gli occhi.

Ma non c’era piu nessuno.

TRE

Domenica mattina Richard prese dal cassetto in fondo all’armadio il telefono a forma di Bat-mobile che gli aveva regalato zia Maude un Natale di qualche anno prima, e lo inseri nella presa.

Provo a telefonare a Jessica, ma senza successo. La sua segreteria telefonica era spenta, e cosi anche il telefonino. Probabilmente era andata in campagna a casa dei suoi genitori.

I genitori di Richard erano morti entrambi. Suo padre era deceduto all’improvviso quando Richard era ancora un ragazzo, per un infarto. E da quel momento sua madre aveva iniziato a morire piano piano, cosicche quando Richard se ne era andato da casa si era semplicemente spenta: sei mesi dopo essersi trasferito a Londra aveva ripreso il vagone letto per la Scozia e aveva trascorso gli ultimi due giorni in ospedale, seduto accanto al suo capezzale. A volte lo riconosceva, altre volte lo chiamava con il nome di suo padre.

Richard si sedette sul divano a rimuginare. I fatti dei due giorni precedenti diventavano sempre meno reali, sempre meno verosimili. A essere reale restava il messaggio lasciato da Jessica nella sua segreteria. Lo ascolto e lo riascolto, quella domenica, sperando ogni volta che si addolcisse, che nella sua voce apparisse un po’ di calore. Non accadde.

Penso di uscire a comprare il giornale, poi decise di non farlo. Arnold Stockton, il capo di Jessica, una caricatura di uomo dai molti menti che si era fatto da se, era il propietario dei giornali della domenica che non appartenevano a Rupert Murdoch. I suoi giornali parlavano di lui. E anche gli altri.

Invece, si fece un bel bagno caldo, ingurgito parecchi panini e numerose tazze di te. Per un po’ guardo la televisione e si costrui delle conversazioni immaginarie con Jessica.

Alla fine di ogni dialogo mentale facevano l’amore in modo selvaggio, rabbioso, appassionato e solcato di lacrime; dopo di che tutto era di nuovo a posto.

Lunedi mattina la sveglia di Richard non suono. Si precipito in strada alle nove meno dieci, la valigetta che ondeggiava furiosamente, e si mise a guardare di qua e di la come un folle, alla ricerca di un taxi.

Poi sospiro di sollievo, perche una grossa auto nera era entrata nella sua via e si dirigeva proprio verso di lui, con la scritta gialla TAXI in brillante evidenza. Agito la mano.

«Taxi!»

Il taxi lo supero lentamente, ignorandolo, svolto l’angolo e spari.

Un altro taxi. Un’altra luce gialla a indicare che era libero. Questa volta Richard si mise a fare segnali in mezzo alla carreggiata.

Sterzo per superarlo e continuo per la sua strada.

Richard comincio a imprecare sottovoce.

A quel punto si diresse di corsa verso la stazione della metropolitana piu vicina.

Si tolse di tasca una manciata di monete, colpi con rabbia il pulsante della macchinetta dei biglietti per ottenerne uno di sola andata per Charing Cross, e infilo le monete nella feritoia.

Ogni moneta che inseriva scendeva dritta attraverso le viscere della macchina, per precipitare rumorosamente nel cassettino sul fondo. Non apparve alcun biglietto.

Tento con un altro distributore. E con un altro ancora.

L’uomo addetto alla vendita dei biglietti era al telefono quando Richard si rivolse a lui per lamentarsi e acquistare direttamente quello che gli serviva; e a dispetto — o forse a causa — delle grida di Richard e del suo disperato picchiettare con una moneta sulla barriera di plexiglass, se ne rimase risolutamente a chiacchierare.

«Fanculo» annuncio Richard, saltando la barriera.

Nessuno lo fermo.

Nessuno parve interessato.

Scese le scale correndo, sudato e ansimante, e arrivo sulla banchina affollata proprio mentre arrivava un treno.

Da bambino, Richard aveva sofferto di incubi in cui semplicemente non esisteva. Non importava quanto rumore o cosa facesse, nessuno si accorgeva di lui.

Comincio a sentirsi cosi anche in quel momento, mentre davanti a lui la gente si spintonava; venne preso a gomitate dalla folla, spinto di qua e di la da chi scendeva e da chi saliva.

Insistette, spingendo e sgomitando a sua volta, ed era quasi riuscito a salire — aveva gia un braccio sul treno — quando le porte cominciarono a chiudersi sibilando. Ritiro la mano, ma la manica del soprabito rimase incastrata.

Richard si mise a prendere a pugni la porta e a gridare, aspettandosi almeno che il guidatore aprisse quel tanto che bastava a liberargli la manica. Invece il treno comincio a muoversi e Richard fu costretto a correre sulla banchina, inciampando, sempre piu veloce.

Lascio cadere la valigetta e prese a tirare disperatamente la manica con la mano libera.

La manica si strappo e lui cadde in avanti, spellandosi le mani e lacerandosi i pantaloni all’altezza del ginocchio.

Con qualche difficolta si rimise in piedi, ripercorse la banchina e recupero la valigetta.

Guardo la manica strappata, la mano escoriata e i pantaloni bucati.

Poi risali le scale e lascio la stazione della metropolitana. Nessuno gli chiese il biglietto neppure all’uscita.

«Mi dispiace, sono in ritardo» disse Richard a nessuno in particolare.

L’orologio sul muro dell’ufficio diceva che erano le dieci e mezzo.

Lascio cadere la valigetta sulla sedia e si asciugo il sudore dal viso con il fazzoletto.

«Non potete immaginare cos’e stato arrivare qui» continuo. «Un vero incubo.»

Abbasso gli occhi sulla sua scrivania. Mancava qualcosa. O, per essere piu precisi, mancava tutto.

«Dove sono le mie cose?» chiese alla stanza, alzando leggermente la voce. «Dove sono i miei telefoni? Dove sono i miei troll?»

Controllo nei cassetti. Vuoti anche quelli: neppure la carta di un Mars o una graffetta piegata a indicare che Richard fosse mai stato li.

Sylvia stava arrivando verso di lui, in conversazione con due gentiluomini piuttosto robusti. Richard le ando incontro.

«Sylvia? Cosa sta succedendo?»

«Mi scusi?» disse lei educatamente. Indico la scrivania ai due signori nerboruti che la sollevarono uno da un lato e uno dall’altro e iniziarono a trasportarla fuori dall’ufficio.

«La mia scrivania. Dove la portano?»

Sylvia lo guardo fisso, lievemente perplessa. «E lei e…?»

Non so che farmene di questa merda, penso Richard. «Richard» rispose sarcastico. «Richard Mayhew.»

«Salve» disse Sylvia. Quindi la sua attenzione scivolo su Richard come l’acqua sulle penne di un’anatra e disse, «No! Non la!» ai traslocatori, e si mise a rincorrerli mentre portavano via la scrivania.

La guardo andarsene. Poi attraverso l’ufficio e raggiunse la scrivania di Garry.

«Garry. Che succede? E uno scherzo o cosa?»

Garry si guardo intorno, come se avesse sentito un rumore. Quindi scosse il capo, sollevo il ricevitore del telefono e inizio a comporre un numero.

Richard sbatte la mano sul telefono, interrompendo la comunicazione. «Guarda che non e divertente, Garry. Non so a che gioco stiate giocando, tutti voi!» Garry alzo lo sguardo su di lui. Richard

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