— Ma mi hai appena…
Un suono stridente si levo sotto di loro. E un’improvvisa ondata violenta.
Dall’altoparlante venne ancora la voce di Albert Ver Dorco: — Capitano Wong!
Rydra urlo: Idiota, spegni i gen…
Ma il ruggito intorno a lei era ormai preponderante.
E una nuova, piu tremenda ondata; si senti scagliata lontana dal suo sedile e vide Ottone annaspare con gli artigli nell’aria. E…
PARTE TERZA
Jebel Tarik
1
Pensieri astratti in una stanza azzurra: nominativo, genitivo, elativo, primo accusativo, secondo accusativo, ablativo, partitivo, illativo, istruttivo, abessivo, adessivo, essivo, allativo, traslativo, comitativo. I sedici casi del sostantivo in finlandese. Curioso, alcune lingue se la cavano solo con il singolare e il plurale. Le lingue degli indiani d’America mancavano addirittura della nozione di numero. Tranne per la lingua dei Sioux, dove esisteva un plurale solo per gli oggetti animati. La stanza azzurra era rotonda, liscia e tiepida. Immagina una lingua che non conosca il termine
“Come ti chiami?” penso lei nella stanza azzurra rotonda e tiepida.
Pensieri senza nome in una stanza azzurra: “Ursula, Priscilla, Barbara, Mary, Mona e Natica: rispettivamente, Orso, Vecchia Signora, Chiacchierona, Amara, Scimmia, e Gluteo. Nome. Nomi? Cosa c’e in un nome? In quale nome sono io? Nel paese del padre di mio padre, il suo nome sarebbe venuto per primo, Wong Rydra. Nella terra di Mollya, addirittura non porterei neppure il nome di mio padre, ma quello di mia madre. Le parole sono nomi per le cose. Ai tempi di Piatone, le cose erano nomi per le idee… quale migliore descrizione dell’Ideale Platonico? Ma le parole erano nomi per le cose, oppure qui c’era un po’ di confusione semantica? Le parole erano simboli per
“Io sono inventata. Non sono una stanza azzurra rotonda e tiepida. Io sono qualcuno in questa stanza, sono…”
Le sue palpebre si sollevarono a meta sugli occhi. Li apri completamente e si alzo di colpo, ma il suo slancio fu frenato da una specie di ragnatela elastica. Le mozzo il respiro e dovette tornare giu, girandosi per osservare la stanza.
No.
Lei non “osservo la stanza”.
Lei “
Si alzo a sedere di nuovo. Funzione?
Per che cosa era usata quella stanza? Si mosse lentamente, e la ragnatela le avvolse il petto. Una qualche specie di infermeria. Guardo in giu verso la… non era “ragnatela”, ma piuttosto un suono vocalico formato di tre particelle, ognuna delle quali indicava una pressione in una direzione e lasciava indovinare il punto piu debole della maglia quando il suono totale raggiungeva il suo punto piu basso di tono. Spezzando i fili in quel punto, se ne accorse con stupore, l’intera ragnatela si sarebbe sciolta. Se lei non avesse intuito la sua formazione e non avesse analizzato il suo nome nella nuova lingua, certo la sua stretta sarebbe stata sufficiente a tenerla al suo posto. La transizione fra “memorizzato” e “conosciuto” doveva aver avuto luogo mentre lei si era trovata…
Dove si trovava? Attesa, eccitazione, paura! Sospinse la propria mente verso l’inglese. Pensare in Babel-17 era come vedere di colpo il fondo di un pozzo che fino a pochi momenti prima si pensava profondo poco piu di un metro. Se ne ritrasse con un senso di vertigine.
Le occorse meno di un battito di ciglia per registrare la presenza degli altri. Ottone era disteso in una larga amaca appesa alla parete di fronte… scorse le dentellature di un artiglio giallo pendere oltre il bordo. Le due forme piu piccole sull’altro lato dovevano essere ragazzi della squadra. Dall’orlo di una cuccetta vide sporgere un ciuffo di lucidi capelli neri mentre una testa si girava nel sonno: Carlos. Non poteva vedere il terzo. La curiosita divenne un piccolo, ostile pugno che le pesava sull’addome. Poi il muro si scolori.
Accadde nella parte superiore della parete alla sua sinistra. Dapprima si fece scintillante, poi trasparente, e una lingua di metallo si formo nell’aria scivolando lentamente verso di lei.
Tre uomini.
Il piu vicino, all’inizio della rampa metallica, aveva un viso che sembrava formato da minuscoli frammenti di roccia bruna spezzettati con violenza e rimessi insieme affrettatamente. Vestiva un abito antiquato, del tipo che aveva preceduto le cappe biologiche. Si disponeva automaticamente intorno al corpo, ma era formato da una specie di plastica e assomigliava piuttosto a una armatura. Una cappa nera gli copriva una spalla e un braccio. I suoi sandali logori erano allacciati alti alle caviglie. L’unica traccia di chirurgocosmesi era data dai capelli d’argento e dalle sopracciglia metalliche. Dal lobo di un orecchio pendeva un pesante anello d’argento. Mentre fissava le diverse cuccette, sfioro leggermente la fondina del vibratore che gli poggiava sullo stomaco.
Il secondo uomo era una fantastica elaborazione di invenzioni chirurgocosmetiche, una specie di grifone, o di scimmia, o di cavalluccio marino: scaglie, piume, artigli e un becco erano stati innestati su un corpo che in origine doveva essere stato somigliante a quello di un gatto. Si accuccio accanto al primo uomo, molleggiato sui muscoli delle cosce allungati chirurgicamente, strisciando gli artigli sul pavimento. Guardo verso l’alto quando il