«Che cosa c’e?»
«Forse sara meglio non farne niente. Non mi sento bene questa sera.»
Mi ha guardato con un’espressione interrogativa. «C’e qualcos’altro?… Qualcosa che vuoi ch’io faccia?… Non m’importa…»
«No, non si tratta di questo», ho risposto con voce aspra. «E solo che questa sera non mi sento bene.» Ero curioso di sapere quali fossero i suoi sistemi per eccitare un uomo, ma non era questo il momento di mettersi a fare esperimenti. La soluzione della mia difficolta stava altrove.
Non sapevo che altro dirle. Volevo che se ne andasse, ma non volevo dirle di andarsene. Fay mi stava studiando e infine ha detto: «Senti, ti spiace se passo la notte qui?»
«Perche?»
Si e stretta nelle spalle. «Mi piaci. Non so… Leroy potrebbe tornare. C’e un mucchio di ragioni. Se non vuoi…»
Di nuovo mi trovava impreparato. Avrei potuto inventare una dozzina di pretesti per liberarmi di lei e invece ho ceduto.
«Hai del gin?» ha domandato.
«No, non sono un gran bevitore.»
«Ne ho io, a casa mia. Vado a prenderlo.» Prima che avessi potuto fermarla era uscita dalla finestra e pochi minuti dopo tornava con una bottiglia piena per due terzi e un limone. E andata a prendere due bicchieri in cucina e ha versato un po’ di gin in entrambi. «Prendi», ha detto, «questo ti fara star meglio. Togliera l’amido da quelle linee rette. Ecco che cosa ti tormenta. Tutto e troppo lindo e ordinato e tu ti ci trovi chiuso dentro. Come Algernon nella sua scultura».
A tutta prima non volevo bere, ma mi sentivo cosi giu di corda che ho finito col dirmi: perche no? Un po’ di gin non avrebbe potuto peggiorare la situazione e forse sarebbe riuscito ad attutire la sensazione che provavo di contemplare me stesso con occhi incapaci di capire quel che stavo facendo.
Fay mi ha ubriacato.
Ricordo il primo bicchiere, e di essere andato a letto, e ricordo lei che mi scivolava accanto con la bottiglia in mano.
E null’altro fino a questo pomeriggio, quando mi sono alzato con l’emicrania.
Fay dormiva ancora, la faccia voltata verso il muro, il guanciale ammucchiato sotto il collo. Sul comodino, accanto al posacenere traboccante di mozziconi si trovava la bottiglia vuota, ma l’ultima cosa ch’io ricordassi prima del calar del sipario era di aver osservato me stesso vuotare il secondo bicchiere.
Lei si e stiracchiata e si e voltata verso di me… nuda. A furia di indietreggiare sono caduto giu dal letto. Ho afferrato una coperta per avvolgermici dentro.
«Salve», ha sbadigliato Fay. «Sai che cosa voglio fare uno di questi giorni?»
«Che cosa?»
«Dipingerti nudo. Come il Davide di Michelangelo. Saresti bellissimo. Stai bene?»
Ho annuito. «A parte il mal di testa. Ho… ehm… ho bevuto troppo stanotte?»
Fay ha riso e si e sollevata su un gomito. «Ti eri sborniato. E, perbacco, che modo strano di comportarti… non dico come un finocchio o qualcosa di simile, ma eri bizzarro, ecco.»
«Che cosa», ho domandato, cercando di avvolgermi nella coperta in modo da poter camminare, «vorresti dire? Che cosa ho fatto?»
«Ho visto altri uomini diventare allegri o tristi o sonnacchiosi o smaniosi di sesso, ma non ho mai veduto nessuno comportarsi come te. Meno male che non bevi spesso. Oh, Dio mio, vorrei soltanto aver avuto a portata di mano una cinepresa! Che soggetto saresti stato!»
«Insomma. che cosa ho fatto, santo cielo?»
«Non quello che mi aspettavo. Niente sesso o cose del genere. Ma sei stato fenomenale. Che scena! La piu incredibile. Saresti grande sul palcoscenico; lasceresti allibiti gli spettatori. Sei diventato confuso e sciocco. Sai, come un adulto che incominci a comportarsi quasi fosse un bimbetto. Dicevi che volevi andare a scuola per imparare a leggere e a scrivere e per essere intelligente come tutti gli altri. Discorsi pazzeschi di questo genere. Ti eri messo nei panni di un’altra persona, come si fa alle scuole d’arte drammatica, e seguitavi a dire che non potevi giocare con me perche tua madre ti avrebbe portato via le noccioline americane e messo in una gabbia.»
«Le noccioline americane?»
«Si, che Dio mi aiuti!» ha riso, grattandosi la testa. «E hai continuato a dire che non mi avresti dato le noccioline. Una cosa pazzesca. Ma come ti esprimevi, poi! Come quei pervertiti un po’ scemi agli angoli delle strade, che si eccitano soltanto
Le sue parole non mi hanno turbato, anche se me lo sarei aspettato. In qualche modo, l’ubriachezza aveva abbattuto momentaneamente le barriere consce che mantenevano celato nella mia mente il Charlie Gordon di un tempo. Come ho sempre sospettato, egli non e affatto scomparso. Nulla scompare mai realmente dai nostri pensieri. L’intervento chirurgico lo ha rivestito con uno straterello di educazione e di cultura, ma emotivamente egli e sempre presente… a guardare e ad aspettare.
Che cosa aspetta?
«Ti senti bene, adesso?»
Le ho risposto che mi sentivo benissimo.
Ha afferrato la coperta nella quale ero avvolto e mi ha trascinato di nuovo a letto. Prima che avessi potuto impedirglielo mi ha abbracciato e baciato. «Ho avuto paura stanotte, Charlie. Ho temuto che fossi sul punto di impazzire. Ho sentito parlare di uomini impotenti che improvvisamente impazziscono e diventano maniaci.»
«Perche sei rimasta, allora?»
Si e stretta nelle spalle. «Be’, eri come un bimbetto spaventato. Ero sicura che non mi avresti fatto del male ma temevo che potessi fare del male a te stesso. Cosi ho pensato di restare. Ero tanto pentita… In ogni modo, ho tenuto questo a portata di mano, per ogni eventualita…»
Ha tirato fuori un grosso fermalibri che aveva infilato tra il letto e la parete.
«Suppongo che non ti sia servito.»
Ha scosso la testa. «Mamma mia, dovevano piacerti tanto le noccioline americane quando eri bambino.»
E discesa dal letto e ha cominciato a vestirsi. Sono rimasto disteso per qualche tempo a guardarla. Si muoveva davanti a me senza timidezze ne inibizioni: aveva i seni sodi e impennati come in quel suo autoritratto. Anelavo a prenderla tra le braccia, ma sapevo che sarebbe stato inutile. Nonostante l’operazione, Charlie era sempre in me.
E Charlie temeva di rimetterci le noccioline.
Poi, con una intuizione improvvisa, proprio davanti al Keno Amusement Center, ho capito che non desideravo i film ma
Le pareti che dividono le persone sono sottili, qui, e se ascolto in silenzio odo quello che accade. Succede cosi anche al Greenwich Village. Non si tratta soltanto della vicinanza, poiche non la sento in un ascensore gremito o nella sotterranea durante le ore di punta, ma in una notte calda, quando tutti stanno passeggiando o si trovano nelle sale di spettacolo, si ode un fruscio e per un momento io sfioro qualcuno e sento il nesso tra il ramo e il tronco e la radice profonda. In momenti come questi la mia carne e sottile e tesa, e la brama intollerabile di far parte di tutto cio mi spinge fuori a cercare negli angoli bui e nei vicoli ciechi della notte.
Di solito, quando sono sfinito a furia di camminare, torno nel mio appartamento e piombo in un sonno profondo, ma stanotte, invece di tornare a casa mia, sono andato al ristorante economico. C’era un nuovo sguattero, un ragazzo sui sedici anni, e aveva un che di familiare, nei movimenti, nell’espressione degli occhi. Poi,