Il caffe era lungo e freddo: non riusci a berlo.

Si appoggio allo schienale della sedia e chiuse gli occhi. Per un attimo. Quando li riapri il piatto e la tazza che gli stavano davanti erano vuoti e il suo compagno di sinistra mangiava a quattro palmenti. Era l’uomo che suonava il piano invisibile.

Penso che se fosse rimasto a lungo in quel posto la fame gli avrebbe fatto mangiare anche quella roba. Non gli andava l’idea di restarci a lungo.

Dopo un po’ si senti un altro campanello e tutti si alzarono — una tavolata per volta, a un segnale che lui non riusci a individuare — e uscirono in fila. Il suo gruppo, che era entrato per ultimo, usci per primo.

Ray Bassington era dietro di lui, sulle scale. — Vi ci abituerete — disse. — Come vi chiamate?

— George Vine.

Bassington rise. La porta venne chiusa nuovamente alle loro spalle, dall’esterno.

Fuori era buio. Lui si avvicino a una delle finestre, e guardo fuori, attraverso le sbarre. C’era una sola stella lucente, che brillava proprio in cima al grosso platano del cortile. Era una stella? Be’, l’aveva seguito fin li. Passo una nuvola e la nascose.

C’era qualcuno in piedi accanto a lui. Giro la testa e vide l’uomo che suonava il piano invisibile. Aveva la faccia abbronzata, dall’aria straniera, con gli occhi di un nero intenso; in quel momento sorrideva, come per una misteriosa barzelletta.

— Siete nuovo, qui? Oppure vi hanno appena trasferito da un altro reparto?

— Sono nuovo. Mi chiamo George Vine.

— Piacere, Baroni. Musicista. Lo ero, almeno. Adesso… lasciamo perdere. Volete sapere qualcosa su questo posto?

— Certo. Come si fa ad uscirne.

Baroni rise, senza allegria, ma neppure troppo amaramente. — Prima di tutto, bisogna convincerli che ci si e ristabiliti. Vi spiace raccontarmi che cosa avete? Ad alcuni da fastidio, ad altri no.

Lui guardo Baroni, domandandosi a che categoria appartenesse. Finalmente disse: — A me non importa. Io… credo di essere Napoleone.

— E lo siete davvero?

— Che cosa?

— Napoleone! Se non lo siete davvero, e un conto. Puo darsi che vi dimettano in sei mesi o giu di li. Se invece lo siete sul serio… e un bel guaio. Probabilmente finirete i vostri giorni qui dentro.

— Perche? Voglio dire che se lo sono davvero, non sono affatto pazzo e…

— Non e questo il punto. Bisogna vedere se loro vi ritengono sano o no. Secondo la loro logica, se credete di essere Napoleone, non siete affatto sano. La cosa e dimostrata. Resterete qui.

— Anche se dico loro che sono convinto di essere George Vine?

— La sanno lunga, sulla paranoia. Per questo siete qui dentro. Ogni volta che un paranoico si stanca di questo posto; cerca di mentire perche lo mandino fuori. Mica sono nati ieri. Loro lo sanno.

Be’, questo in linea di massima, ma come… All’improvviso, un brivido gli corse giu perla schiena. Non fini neppure la domanda. «Vi pungono con gli aghi»… Ecco che cosa aveva voluto dire Ray Bassington.

Baroni annui. — Il siero della verita — disse. — Quando un paranoico ha raggiunto lo stadio in cui puo considerarsi guarito se dice la verita, quelli si assicurano che la dica sul serio prima di lasciarlo libero.

Si era cacciato volontariamente in una bella trappola! Probabilmente avrebbe finito i suoi giorni in quel posto, ormai.

Appoggio la testa alle sbarre di ferro e chiuse gli occhi. Poi senti dei passi che si allontanavano, e capi di essere rimasto solo.

Apri gli occhi e guardo nel buio: ora le nuvole avevano nascosto la luna.

«Clare» penso «Clare!»

Una trappola.

O lui era sano, o era pazzo. Se era sano, era caduto in trappola, e se c’era una trappola, doveva esserci anche il cacciatore. Magari i cacciatori.

Se invece era pazzo…

Volesse Iddio che fosse pazzo davvero! Cosi tutto avrebbe avuto un senso, e un giorno o l’altro se ne sarebbe potuto uscire da quell’inferno, tornare al suo posto al Blade, ricordandosi finalmente di tutti gli anni che aveva passato li. O che George Vine aveva passato li.

Ma qui stava il guaio. Lui non era affatto George Vine.

E c’era un altro ostacolo. Lui non era pazzo.

Le gelide sbarre di ferro premevano contro la sua fronte.

Dopo un po’ senti aprire la porta e si volto a guardare. Erano entrati due infermieri. Una speranza insensata, Irragionevole gli nacque dentro, lo travolse. Ma non duro a lungo.

— A letto, ragazzi! — disse uno dei due. Guardo l’uomo affetto da psicosi maniaco-depressiva e impreco. — Accidenti! Ehi, Bassington, aiutatemi a trasportare quel tipo.

L’altro infermiere, un uomo tarchiato dai capelli tagliati corti come un lottatore, si avvicino alla finestra.

— Siete nuovo, qui. Vine, nevvero?

Lui annui.

— Andate in cerca di guai, o avete intenzione di fare giudizio?

La mano destra dell’uomo si contrasse in un pugno, il braccio si preparo pronto a scattare.

— Non voglio guai, ne ho abbastanza.

L’altro si calmo. — Bene. Continuate a pensarla cosi e andremo d’accordo. Li c’e la cuccetta libera. Quella a destra. La rifarete voi stesso domattina. Statevene buono e badate ai fatti vostri. Se sentiremo rumore in corsia verremo noi e metteremo tutto a posto. A modo nostro. Non credo che vi andrebbe il sistema.

Lui non oso parlare, e si limito a un cenno di assenso col capo. Poi si volto e entro nello stanzino che l’infermiere gli aveva indicato. C’erano due cuccette, la dentro. Una era vuota e sull’altra stava disteso supino il paziente affetto da psicosi maniaco-depressiva che poco prima sedeva su una sedia. Ora fissava ciecamente il soffitto con gli occhi spalancati. Gli avevano sfilate le pianelle, per il resto era completamente vestito.

Si diresse alla sua cuccetta, sapendo che non poteva fare assolutamente niente per quel disgraziato: impossibile raggiungerlo attraverso l’involucro di desolazione che ogni tanto lo avvolgeva tutto.

Sollevo la coperta grigia della brandina, e ne scopri un’altra, pure grigia, stesa sopra un’imbottitura discretamente morbida. Si sfilo camicia e calzoni, e li appese ad un gancio infisso alla parete, ai piedi del letto. Poi cerco con gli occhi un interruttore per spegnere la luce, ma non ne vide. Mentre guardava, la luce si spense da se.

Una sola lampada restava ancora accesa in un punto imprecisato della corsia, e al suo chiarore riusci a togliersi scarpe e calze e a infilarsi sotto le coperte.

Rimase tranquillo per un poco; sentiva solo due rumori, entrambi deboli e lontani. In un punto imprecisato della corsia, qualcuno cantava piano a se stesso una nenia senza parole; piu in la, qualcun altro singhiozzava. Nel suo stanzino, invece, non sentiva neppure il respiro del compagno che gli giaceva accanto.

Poi udi il passo strascicato di piedi nudi davanti alla porta aperta e qualcuno disse: — George Vine.

— Si?

— Parlate piu piano! Sono Bassington. Volevo dirvi di quell’infermiere. Avrei dovuto avvisarvi prima. Non stuzzicatelo.

— Non l’ho fatto.

— Visto. Siete stato in gamba. Vi farebbe a pezzi, se gliene deste l’occasione. E un sadico. Molti infermieri lo sono. Ecco perche sono diventati castigamatti. Cosi si chiamano, quelli. E se li licenziano da una parte perche sono troppo brutali, se ne vanno da un’altra. Domattina tornera ancora lui. Per questo ho voluto avvertirvi.

L’ombra scomparve dalla soglia.

Lui rimase sdraiato nell’oscurita, soffrendo, piu che pensando. Ponendosi domande. I matti sapevano di esserlo? Potevano dirlo? Erano tutti sicuri, come lo era lui…?

— Napoleone Bonaparte!

Era una voce chiara, distinta, ma veniva dalla sua mente o da fuori? Sedette sulla cuccetta, aguzzando gli

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