— Non so. Ecco che cosa mi capito ieri pomeriggio. — Inspiro profondamente, poi si tuffo a capofitto nel racconto. Riferi a Irving il suo colloquio della sera prima con Charlie Doerr e il suo strano comportamento nella sala d’aspetto.

— Ecco tutto — disse, quando ebbe finito. Poi fisso la faccia impassibile del medico piu con curiosita che con preoccupazione, cercando di leggerci qualcosa, e aggiunse con la massima naturalezza: — Sono certo che non mi credete. Che mi considerate pazzo. — Guardo Irving diritto negli occhi e continuo: — Non avete scelta, a meno che non pensiate che io stia snocciolando tutta una serie di bugie per convincervi che sono malato. Insomma, come scienziato e come psichiatra, non potete neppure lontanamente ammettere la possibilita che le cose di cui io sono convinto (che so con certezza!) siano obiettivamente vere. Non ho ragione?

— Temo di si. Dunque?

— Dunque andate in fondo e firmate la richiesta di internamento. Io staro al gioco in tutti i particolari; faro firmare il secondo certificato medico dal dottor Ellsworth Joyce Randolph.

— Non solleverete obiezioni?

— Servirebbero a qualcosa, se ne sollevassi?

— Ad una cosa soltanto, signor Vine. Se il paziente e prevenuto nei riguardi di uno psichiatra, e meglio non affidarlo alle cure di quel particolare sanitario. Se voi credete che il dottor Randolph sia implicato in un complotto contro di voi, vi consiglierei di andare da un altro.

— Anche se io scegliessi proprio Randolph? — domando lui, piano.

Irving agito una mano, seccato. — Naturalmente, se voi e il signor Doerr preferite.

— Preferiamo.

La testa dai capelli color grigio ferro annui gravemente.

— Dovete pero rendervi conto di una cosa. Se io e Randolph decideremo per il vostro ricovero in una casa di cura, non sara certo per tenervi sotto sorveglianza speciale, ma per guarirvi con opportune terapie.

Lui annui. Il medico si alzo. — Scusate un attimo. Faccio una telefonata a Randolph.

Guardo Irving passare in un’altra stanza. Penso che c’era un telefono anche sulla scrivania, ma che certo non se ne era servito per non lasciargli udire il colloquio.

Rimase li seduto, in silenzio, finche il medico torno. — Il dottor Randolph e libero — disse. — Ho chiamato un tassi che ci accompagni al suo studio. Vi spiace se dico due parole anche a vostro cugino?

Lui rimase li seduto, e non guardo il dottore che lasciava la stanza, dirigendosi verso la sala d’aspetto. Avrebbe potuto cercare di afferrare qualche parola origliando, ma non lo fece. Si accontento di starsene li seduto, finche senti la porta della sala d’aspetto aprirsi alle sue spalle, e la voce di Charlie che lo chiamava: — Vieni, George. Il tassi sara gia arrivato, ormai.

Presero l’ascensore, e quando uscirono trovarono l’auto-pubblica. Il dottor Irving diede l’indirizzo all’autista.

— Bella giornata — disse, quando furono pressappoco a meta del percorso. Charles si schiari la gola e convenne:

— Bella davvero.

Poi nessuno disse piu niente per tutto il resto della corsa.

6

Indossava un paio di pantaloni grigi e una camicia dello stesso colore con il colletto aperto e senza una cravatta che potesse servirgli per impiccarsi. Mancava anche la cintura, per la stessa ragione, ma i calzoni erano stretti in vita e non c’era pericolo che scendessero. Come non c’era pericolo che gli capitasse di cadere da una delle finestre, perche erano tutte munite di sbarre.

Se ne stava li, appoggiato al muro, a guardare gli altri sette. Era li da due ore, e gli sembrava da due anni.

Il colloquio col dottor Randolph si era svolto senza difficolta: era stato praticamente una replica di quello con Irving. Ovviamente, Randolph non aveva mai sentito parlare di lui.

Era quello che lui si aspettava.

Si sentiva calmissimo, ora. Aveva deciso che per un po’ si sarebbe astenuto dal pensare, dal preoccuparsi, perfino dal sentire.

Fece alcuni passi e si avvicino ai giocatori di scacchi. Era una partita da gente sana, dove venivano rispettate le regole.

Uno degli uomini alzo gli occhi e domando: — Come vi chiamate? — Era una domanda perfettamente normale; l’unica cosa strana era che lo stesso individuo avesse ripetuto la stessa domanda ben quattro volte da due ore a quella parte.

— George Vine — rispose.

— Io sono Bassington, Ray Bassington. Chiamatemi pure Ray. Siete pazzo voi?

— No.

— Alcuni di noi lo sono, altri no. Lui si — Guardo l’uomo che stava suonando un pianoforte immaginario. — Sapete giocare a scacchi?

— Non molto bene.

— Capisco. Ceniamo presto, qui. Qualunque cosa vogliate sapere, non avete che da domandarmela.

— Come si fa a uscire di qui? Sentite un po’, non e una battuta di spirito. Dico sul serio. Com’e la procedura?

— Tutti i mesi ci si presenta davanti ad un gruppo di medici dell’ospedale. Quelli fanno alcune domande e decidono se potete andarvene o se dovete restare. A volte vi piantano dentro degli aghi. Come vi hanno classificato?

— Classificato? Che significa?

— Debolezza mentale, psicosi-depressiva, demenza precoce, malinconia involutiva…

— Oh paranoia, credo!

— Male. Allora vi pungono con degli aghi.

Un campanello suono, chissa dove.

— La cena — disse l’altro giocatore di scacchi. — Mai tentato di suicidarvi? O di ammazzare qualcuno?

— No.

— Allora vi lasceranno mangiare a una tavola A, con coltello e forchetta.

La porta della corsia si apri, verso l’esterno, e la figura di un infermiere si inquadro nella soglia. — E ora — disse. Uscirono tutti, tranne l’uomo che se ne stava seduto su una sedia, fissando il vuoto.

— E quello? — chiese a Ray Bassington.

— Salta il pasto, stasera. Psicosi maniaco-depressiva che sta per entrare nella fase malinconica. Gli lasciano saltare un pasto. Se non e in grado di scendere neanche a quello seguente, lo portano giu loro e lo nutrono per forza. Avete una psicosi-depressiva, voi?

— No.

— Be’, siete fortunato. E tremendo, durante le crisi. Ecco, da questa parte.

Era un vasto locale. Tavoli e panche erano affollati di uomini vestiti di grigio, come lui Mentre attraversavano la soglia, un infermiere lo afferro per un braccio e disse: — Sedete la.

Era proprio accanto alla porta. Un piatto di alluminio pieno di cibo messo li alla rinfusa, e un cucchiaio. — Non potrei avere coltello e forchetta? — domando. — Mi hanno detto…

L’infermiere lo mando avanti con una spinta. — Periodo di osservazione. Sette giorni. Nessuno puo avere le posate prima che sia finito il periodo di osservazione. Sedete.

Sedette. Nessuno a quel tavolo aveva le posate. Tutti gli altri stavano gia mangiando, alcuni rumorosamente e disordinatamente. Lui tenne gli occhi fissi sul piatto, per quanto il cibo fosse tutt’altro che invitante. Giocherello col cucchiaio, e riusci a mandar giu qualche pezzo di patata pescata nella broda dello stufato, e un paio di bocconi di carne legnosa.

Il caffe era in un bicchiere di alluminio. Chissa perche? Poi capi quanto fosse facile rompere un bicchiere normale e quanto potessero diventare pericolosi i cocci delle solite tazze usate nei bar.

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