rizzarsi a sedere sul letto. Era stato proprio nel 1900, glielo diceva la sua memoria, ed Edison era morto nel 1931… E un uomo chiamato Napoleone Bonaparte era morto centodieci anni prima, nel 1821.

Allora si era sentito impazzire.

Pazzo o sano che fosse, soltanto l’impossibilita di parlare lo aveva salvato dal ricovero in manicomio; gli aveva dato il tempo di riflettere, di rendersi conto che la sua sola speranza di salvezza stava nel dichiararsi vittima di un’amnesia, nel fingere di non ricordare nulla della vita prima dell’incidente. Non si manda nessuno in manicomio per un’amnesia. Ti dicono chi sei, e ti lasciano tornare a quella che, secondo loro, era la tua esistenza. Ti permettono di raccogliere i fili spezzati e di tesserli di nuovo, mentre cerchi di ricordare.

Tutto questo era successo tre anni prima. Domani sarebbe andato nello studio di uno psichiatra… per dirgli che lui era Napoleone!

3

Il sole si era abbassato parecchio. Un aereo che aveva l’aria di un grosso uccello passo ronzando nel cielo. Guardo in su e comincio a ridere piano, tra se… Non la risata sguaiata della pazzia. Era una risata autentica, genuina, perche sgorgava dall’immagine assurda di Napoleone Bonaparte che viaggiava in un aereo come quello, dall’irresistibile incongruenza di quell’idea.

Gli venne in mente, allora, che lui non era mai stato in aereo, per lo meno non se ne ricordava. Forse ci era stato George Vine; durante i suoi ventisette anni di vita, George Vine doveva pur aver volato. Ma questo significava forse che “lui” era stato in aereo? Questa domanda si perdeva in un interrogativo piu vasto.

Si alzo e riprese a camminare. Erano quasi le cinque: presto Charlie Doerr avrebbe lasciato il giornale e sarebbe tornato a casa per cenare.

Forse era meglio telefonare a Charlie e assicurarsi che fosse in casa davvero quella sera.

Ando al bar piu vicino e formo il numero. Trovo Charlie per un pelo. — Qui parla George — disse. — Sei a casa, stasera?

— Certo, George. Ero stato invitato per un poker, ma ho rimandato quando ho sentito che venivi tu.

Come facevi a sapere… Oh, te l’ha detto Candler?

— Si. Non sapevo se avresti telefonato, cosi non ho avvisato Marge. Ma che ne dici di cenare insieme fuori? Per lei va senz’altro bene. La chiamo ora e glielo dico, se puoi.

— No, grazie, Charlie. Sono gia invitato. E, per quanto riguarda il poker, non rinunciare. Saro da te alle sette. Mica dovremo parlare tutta la sera: bastera un’oretta. Comunque non usciresti prima delle otto.

— Non preoccuparti. Non ho alcuna voglia di andarci e tu non vieni a trovarmi da un bel pezzo. Alle sette, allora.

Usci dalla cabina telefonica, si avvicino al bancone, e ordino una birra. Chissa perche aveva rifiutato l’invito a cena. Forse nel suo subcosciente voleva rimandare di un paio d’ore quel colloquio penoso. Eppure voleva bene a Charlie e Marge.

Sorseggio lentamente la birra per farla durare a lungo. Doveva mantenersi lucido quella sera, perfettamente lucido. Aveva ancora il tempo di cambiare idea, si era tenuto aperta una via d’uscita, per quanto angusta. Poteva ancora andare da Candler il mattino seguente e dirgli che non se la sentiva.

Sbirciando sopra l’orlo del bicchiere si guardo riflesso nello specchio del bar. Piccolo, capelli color sabbia, naso lentigginoso, la corporatura bassa e tarchiata corrispondeva, ma il resto! Neppure la piu lontana rassomiglianza.

Mando giu lentamente una seconda birra, tirando le cinque e mezzo.

Usci e comincio a camminare, questa volta verso la citta. Passo davanti al Blade e diede un’occhiata su, al terzo piano, alla finestra dove si trovava quando Candler lo aveva mandato a chiamare. Chissa se sarebbe tornato ancora a quella finestra, per contemplare il mondo in un pomeriggio di sole?

Forse no.

Penso a Clare. Gli andava di vederla quella sera?

Ecco, per essere sincero, proprio no. Ma se fosse scomparso per un paio di settimane senza neanche salutarla, avrebbe potuto farci una croce sopra. Lei non avrebbe piu voluto saperne.

Meglio avvertirla.

Si fermo ad un altro bar e le telefono a casa. — Sono George. Senti, domani vado fuori citta, per lavoro. Non so quanto restero assente. Puo essere questione di giorni o di settimane. Potremmo vederci stasera?

— Ma certo, George. A che ora?

— Subito dopo le nove, ti va? Prima devo passare da Charlie per questioni di lavoro. Non credo che riusciro a liberarmi prima delle nove.

— D’accordo George. Vieni quando vuoi.

Si fermo a una bancarella di hamburger anche se non aveva appetito, e riusci a mandar giu un panino imbottito e un pezzo di pasticcio di carne. Erano ormai le sei e un quarto, e se fosse andato a piedi sarebbe arrivato a casa di Charlie proprio all’ora giusta. S’incammino.

Charlie gli venne Incontro sulla soglia. Posandosi un dito sulle labbra, accenno con la testa in direzione della cucina, dove Marge stava rigovernando — Non le ho detto niente, George — bisbiglio. — Si metterebbe in agitazione.

Lui avrebbe voluto domandargli perche Marge dovesse preoccuparsi tanto, poi penso che era meglio star zitto. Forse aveva paura della risposta. Se Marge si preoccupava per lui, era brutto segno. Eppure gli sembrava di essersi comportato bene in quei tre anni.

Comunque non ebbe il tempo di fare domande, perche Charlie lo introdusse subito nel soggiorno, comunicante con la cucina, senza tacere un attimo. — Che buona idea quella di venire a giocare a scacchi, George! Peccato pero che Marge debba uscire, stasera; c’e un film che le interessa in un cinema qui vicino. Io sarei andato a fare quella partita tanto per ammazzare il tempo ma non ne avevo molta voglia.

Prese scacchi e scacchiera da un armadietto e sistemo il tutto su un tavolino.

Marge entro con due grossi bicchieri pieni di birra fresca sopra un vassoio, che poso accanto alla scacchiera. — Ciao George — disse. — Allora, te ne vai per un paio di settimane?

Lui annui. — Ma non so dove. Candler, il direttore, mi ha chiesto se ero libero per un servizio fuori citta e io ho acconsentito volentieri. Mi dira i particolari domani.

Charlie gli tese i pugni chiusi, un pezzo in ciascuna mano, e lui scelse la sinistra. Bianco. Disposero i pezzi sulla scacchiera: Re, Regine, pedoni.

Marge stava trafficando col cappello davanti allo specchio.

— George se te ne vai prima che io torni — disse — ti saluto adesso. Auguri.

— Grazie, Marge. Ciao.

Fecero qualche mossa prima che la donna, finalmente pronta, venisse a salutare il marito con un bacio.

Per un attimo i loro occhi si incrociarono e lui capi che Marge era preoccupata. La cosa lo spavento un poco.

Quando la porta si richiuse, lui disse: — Lasciamo perdere il gioco, Charlie. Andiamo al sodo, perche ho un appuntamento con Clare alle nove. Non so quanto staro lontano, dunque devo salutarla.

Charlie lo guardo. — Tu e Clare fate sul serio? — domando.

— Non so.

Charlie afferro il suo bicchiere e mando giu un sorso Poi parlo con voce chiara e precisa. D’accordo — disse — andiamo al sodo. Domattina alle undici abbiamo appuntamento con un certo Irving, dottor J.E. Irving, in Appleton Block. E uno psichiatra, consigliato dal dottor Randolph. Gli ho telefonato oggi pomeriggio, dopo aver parlato con Candler, che a sua volta aveva gia chiamato Randolph. Ecco che cosa ho raccontato: prima di tutto ho dato il mio nome, poi ho spiegato che ho un cugino che da qualche tempo a questa parte si comporta in modo strano e che avrei voluto fargli esaminare. Non ho detto, pero, il nome del cugino e neanche quali siano le sue stranezze. Ho evitato di rispondere alle domande dicendo che preferivo fosse lui a giudicare, senza pregiudizi. L’ho

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