particolarmente cara. La dottoressa Varley aveva molta esperienza e sapeva come mettere a posto questi importuni, magari facendo ridere il pubblico a loro spese. Pero in questo caso si trovava di fronte a un Grande Vecchio, a casa sua e circondato da colleghi che lo rispettavano, e quindi avrebbe dovuto portare pazienza.

«Professor, ehm, Winsdale…» «Winslade», le sussurro il presidente tutto agitato, ma la Varley decise di lasciar perdere, perche correggendosi avrebbe solo dato maggior risalto alla gaffe «… la sua e una buona domanda, ma credo richiederebbe un’altra conferenza o, meglio, una serie di conferenze. E anche in tal caso, la questione ne sarebbe solo sfiorata.

«Ma, per rispondere al suo primo punto, le diro che non e la prima volta che ci viene rivolta questa critica. Essa non ha fondamento. Noi non cerchiamo affatto di tenere «segreto», come lei dice, il motore quantico. La teoria che ne sta alla base e tutta negli Archivi della nave, ed e tra i dati destinati a essere riversati nei vostri.

«Non voglio con questo suscitare speranze infondate. In tutta franchezza, non credo che vi sia nessuno, tra coloro che in questo momento si occupano della nave, che capisca davvero il motore quantico.

Sappiano come si fa a usarlo, e basta.

«Abbiamo, in ibernazione, tre scienziati specializzati nel motore quantico. Se dovessimo risvegliarli prima di essere giunti su Sagan Due, vorrebbe dire che ci troviamo in guai seri.

«Alcuni sono impazziti cercando di visualizzare la struttura geometrodinamica dell’iperspazio e di capire perche mai l’universo avesse in origine proprio undici dimensioni e non un bel numero tondo come dieci o dodici. Durante la prima lezione del corso di Fondamenti di Propulsione, l’insegnante mi disse: «Se lei potesse capire il motore quantico, non sarebbe qui… sarebbe su Lagrange Uno, all’Istituto per gli Studi Avanzati». E cio mi ha aiutato a riaddormentarmi quando avevo gli incubi perche cercavo di immaginarmi cosa significa veramente dieci centimetri alla meno trentatre.

«All’equipaggio della Magellano basta sapere quello che il motore quantico fa» mi ha detto l’insegnante. «Voi siete come i tecnici di una rete elettrica: vi basta sapere quali sono gli interruttori da spegnere e quali quelli da accendere, senza porvi problemi sul come e prodotta l’elettricita.

Magari e prodotta in modo semplicissimo, con una dinamo o un pannello solare o una turbina ad acqua. Certamente questi tecnici sarebbero in grado di capire i principi del funzionamento di queste macchine, ma per svolgere bene il loro compito cio non e assolutamente necessario.

«Oppure, l’elettricita potrebbe venir generata in modo piu complesso, ad esempio mediante un reattore a fissione o una pila a fusione, o un catalizzatore a muoni o un Nodo di Penrose o un nocciolo di Hawking- Schwarzschild. Capisce quello che intendo dire? C’e comunque un punto oltre il quale i nostri tecnici devono rinunciare a ogni speranza di capire, restando pero tecnici competenti e perfettamente in grado di distribuire l’energia elettrica la dove e necessaria.»

«Allo stesso modo, noi siamo capaci di portare la Magellano dalla Terra fino a Thalassa — e, spero, da qui fino a Sagan Due — senza in realta capire quello che stiamo facendo. Ma un giorno, forse tra qualche secolo, saremo forse all’altezza del genio che ha concepito il motore quantico.

«E, chissa? puo essere che ci arriviate prima voi. Potrebbe nascere su Thalassa un altro Francis Zoltan… e in questo caso sarete voi a venirci a far visita per primi.»

In realta la dottoressa Varley non credeva affatto a questa possibilita.

Ma era una bella conclusione al suo discorso, e suscito un uragano di applausi.

22. Krakan

«Potremmo farlo con facilita, naturalmente» disse pensieroso il capitano Bey. «La pianificazione e praticamente completata… Il problema delle vibrazioni prodotte dai compressori e risolto, e siamo in anticipo rispetto alle previsioni nella costruzione degli impianti. Senza dubbio abbiamo uomini e attrezzature disponibili… ma sarebbe una buona idea?» Fisso i cinque ufficiali seduti intorno al tavolo ovale della sala conferenze di Terra Nova; come un sol uomo tutti si volsero a guardare il dottor Kaldor, che sospiro e allargo rassegnato le braccia.

«Quindi non si tratta di un problema puramente tecnico. Ditemi di cosa si tratta.»

«La situazione e questa» disse il comandante in seconda Malina. Le luci si attenuarono, e le Tre Isole apparvero sul tavolo, sospese a qualche millimetro sopra la superficie, quasi si trattasse di un plastico meravigliosamente dettagliato. Ma quello non era un plastico, perche si poteva mutare a piacimento la scala fino a vedere i Thalassani che andavano in giro intenti ai loro affari.

«Io credo che i Thalassani abbiamo ancora paura del monte Krakan, sebbene come vulcano direi che si comporti molto bene… infatti, non ha mai ammazzato nessuno. E poi il Krakan e la chiave di volta di tutto il sistema di comunicazione tra le isole. E alto seimila metri: la vetta del Krakan e il punto piu alto di tutto il pianeta, naturalmente. E quindi il punto ideale per installarvi un ripetitore: tutte le comunicazioni a lunga distanza arrivano al Krakan e da qui vengono poi ritrasmesse alle altre due isole.»

«Mi e sempre sembrato strano» fece Kaldor con un mite sorriso «che dopo duemila anni non si sia trovato niente di meglio delle onde radio.»

«L’universo ha in dotazione un solo spettro elettromagnetico, dottor Kaldor… e noi dobbiamo accontentarci. I Thalassani inoltre sono fortunati, perche la distanza massima tra le isole e di trecento chilometri, e cio significa che un solo ripetitore sul monte Krakan e sufficiente, e non c’e bisogno di ricorrere ai comunicatori.

«L’unico problema e che la vetta non e facilmente accessibile… anche tempo permettendo. Infatti, per ironia della sorte, il monte Krakan e l’unico punto del pianeta in cui le condizioni atmosferiche non siano ottimali. Di tanto in tanto, infatti, qualcuno deve scalare la montagna, riparare qualche antenna, sostituire qualche cellula solare o qualche batteria, e spalare un mucchio di neve. Non e un problema: basta solo un po’ di lavoro manuale.

«Che i Thalassani evitano come la peste. Non che li biasimi se dedicano le loro energie a cose piu importanti: gli sport, ad esempio, l’atletica…»

Intervenne la Newton.

Avrebbe anche aggiunto «e a fare l’amore», ma visto che per molti dei suoi colleghi si trattava di un punto delicato, penso fosse meglio tacere.

«Ma perche scalare la montagna?» chiese Kaldor. «Perche non vanno in volo sulla vetta? Mi pare che abbiano apparecchi a decollo verticale.»

«Si, ma l’aria lassu e molto rarefatta, e quella poca che c’e e sempre molto mossa. Dopo alcune brutte esperienze, i Thalassani hanno deciso di lasciar perdere.»

«Capisco» disse Kaldor pensieroso. «E il solito problema della non interferenza. Adesso sono autosufficienti, e intervenendo potremmo incrinare la loro autonomia. Ma in misura minima, direi. E se non esaudissimo una richiesta cosi ragionevole, potremmo anche creare risentimento. Risentimento giustificato, inoltre, se si tiene conto della collaborazione che ci hanno offerto riguardo al ghiaccio.»

«Anch’io sono di questo parere. Obiezioni? Molto bene. Signor Lorenson, la prego di prendere le misure del caso. Utilizzi il veicolo che ritiene piu opportuno, purche non sia necessario per l’Operazione Fiocco di Neve.»

Moses Kaldor aveva sempre amato la montagna; le montagne lo facevano sentire piu vicino a quel Dio alla cui non esistenza talvolta non credeva.

Dalla vetta si vedeva un mare di lava ormai diventata pietra da molto tempo ma che ancora emetteva sbuffi di fumo da qualche crepaccio. E lontano, a occidente, entrambe le grandi isole erano chiaramente visibili, simili a grandi nubi scure all’orizzonte.

Il freddo pungente e la difficolta del respiro davano piu sapore a ogni istante. Molto tempo prima aveva letto, in qualche vecchio libro di viaggi o di avventure, di un’aria che era «come vino». Allora avrebbe voluto chiedere all’autore quanto vino aveva respirato ultimamente, ma adesso l’espressione non gli sembrava piu tanto ridicola.

«Abbiamo finito di scaricare, Moses. Siamo pronti a decollare.»

«Grazie, Loren. Mi piacerebbe restare fino a stasera, ma potrebbe essere pericoloso rimanere a lungo a questa altezza.»

«I tecnici hanno portato delle bombole d’ossigeno, naturalmente.»

«Non pensavo soltanto all’ossigeno. Un mio omonimo una volta ha avuto un mucchio di guai in cima a una

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