l’apparecchio avrebbe continuato tranquillamente a funzionare se qualche grosso animale l’avesse inghiottito intero.
Rimanevano dunque due sole possibilita, la prima delle quali fu respinta con indignazione dal personale del Laboratorio Subacqueo dell’Isola Settentrionale.
«Ogni singolo componente aveva un suo duplicato» disse il direttore.
«Inoltre, abbiamo ricevuto l’impulso diagnostico soltanto due secondi prima dell’interruzione del segnale, e tutto era normale. Quindi e escluso che si tratti di un guasto.»
Rimaneva allora soltanto l’altra spiegazione, quella impossibile.
L’emittente era stata spenta. E per far questo bisognava aprire una serratura.
Una serratura non si apre per caso; accade forse per caso se ci si traffica intorno, ma normalmente si apre solo quando qualcuno la vuole aprire.
La
Loren non si prese la briga di far osservare che la verita era un’altra.
Fu un piccolo trauma rivedere Brant, anche se Loren avrebbe dovuto aspettarselo, in quanto sapeva che Brant si era occupato dell’equipaggiamento della nave. Si salutarono con fredda cortesia, senza badare agli sguardi curiosi o divertiti degli altri passeggeri. C’erano ben pochi segreti su Thalassa; ormai tutti sapevano chi occupava la miglior camera degli ospiti di casa Leonidas.
L’apparecchiatura pronta sul ponte di poppa sarebbe stata familiare a ogni oceanografo degli ultimi duemila anni. Era costituita da un telaio di metallo sul quale erano assicurate tre telecamere, un cestello di filo metallico in cui mettere i campioni raccolti dal braccio meccanico a controllo telecomandato e alcuni idrogetti che permettevano di spostarsi in ogni direzione. Una volta calata in acqua, l’apparecchiatura inviava immagini e dati alla nave attraverso fibre ottiche il cui spessore complessivo non superava quello di una mina da matita. La tecnologia era vecchia di secoli, ma ancora perfettamente all’altezza.
Ora la terra era fuori vista, e per la prima volta Loren si trovo completamente circondato dall’acqua. Ripenso a quanto l’aveva preoccupato la gita con Brant e Kumar, quando si erano allontanati si e no un chilometro dalla spiaggia. Ma questa volta, noto con soddisfazione, si sentiva molto piu a suo agio malgrado la presenza del rivale. Forse anche perche l’imbarcazione era parecchio piu grande…
«Strano» disse Brant. «Non avevo mai trovato i sargassi cosi a ovest.»
In un primo momento Loren non vide nulla; poi si accorse che, a prua, sull’acqua c’era qualcosa di scuro. Qualche minuto dopo l’imbarcazione si trovo circondata dalla vegetazione galleggiante, e il capitano dovette ridurre la velocita al minimo.
«Comunque siamo quasi arrivati» disse. «Inutile intasare le prese d’acqua con quella roba. D’accordo, Brant?»
Brant regolo un cursore sullo schermo e fece qualche calcolo.
«Si… siamo a cinquanta metri soltanto dal punto in cui emittente ha cessato di trasmettere. Profondita duecentodieci. Caliamo il pesce in mare?»
«Un momento» fece uno scienziato dell’Isola Settentrionale. «Abbiamo investito un mucchio di tempo e di soldi in quella macchina, che e unica al mondo. E se finisse per impigliarsi nei sargassi?»
Vi fu una pausa di pensieroso silenzio; quindi Kumar, che era stato insolitamente zitto forse perche messo in soggezione da quelli dell’Isola Settentrionale, prese la parola con una certa diffidenza.
«Visti da qui sembrano peggio di quello che sono in realta. A dieci metri di profondita gia non ci sono piu foglie, solo steli grossi e radi. Tra uno stelo e l’altro c’e parecchio spazio, come in una foresta.»
Si, penso Loren, una foresta sottomarina con i pesci che nuotano tra i tronchi sottili e sinuosi. Mentre gli scienziati osservavano lo schermo principale e i diversi quadri strumenti, Loren si era messo un paio di occhiali a visione totale che escludevano ogni cosa dal campo visivo tranne la scena trasmessa dal robot che continuava a scendere con lentezza. Psicologicamente non si trovava piu sul ponte della
Era diventato un esploratore che si addentrava in un universo alieno in cui non sapeva cosa avrebbe potuto incontrare. Era un universo quasi monocromatico; gli unici colori erano il blu e il verde, e la visibilita non si estendeva oltre i trenta metri. Tutto intorno vedeva dei tronchi sottili sostenuti da vesciche piene di gas che, disposte lungo di essi a intervalli regolari, davano loro la spinta ascensionale necessaria. I tronchi sprofondavano nell’oscurita e salivano verso il «cielo» luminoso formato dalla superficie del mare. Certe volte aveva l’impressione di stare attraversando un folto d’alberi durante una giornata grigia e nebbiosa; ma subito passava, sfrecciando, un banco di pesci che distruggeva l’illusione.
«Duecentocinquanta metri» disse qualcuno. «Tra poco si vedra il fondo.
Accendiamo i fari? La qualita dell’immagine sta peggiorando rapidamente.»
Loren non se n’era accorto, perche i controlli automatici avevano mantenuto costante la luminosita. Pero si rese conto che a quella profondita l’oscurita doveva essere praticamente completa, se non altro per l’occhio umano.
«No. Non vogliamo interferire se non quando sara proprio necessario.
Fin quando la telecamera funziona, accontentiamoci della luce che c’e.»
«Ecco il fondo! E per lo piu roccioso… c’e poca sabbia.»
«Naturalmente. Il
Loren capi meglio cio che intendeva lo scienziato quando vide che i tronchi sottili terminavano con una rete di radici aggrappate alle sporgenze rocciose cosi saldamente che ne le tempeste ne le correnti marine potevano strappar via le piante. L’analogia con una foresta terrestre era piu stretta di quanto avesse creduto.
L’apparato robot si addentrava nella foresta sottomarina con grande cautela tirandosi dietro il cavo che lo collegava alla nave. I tronchi erano molto distanziati, e non c’era pericolo che il cavo s’impigliasse. Anzi, erano cosi ben distanziati che parevano deliberatamente…
Gli scienziati che osservavano lo schermo compresero l’incredibile verita solo qualche secondo piu tardi di Loren.
«Krakan!» sussurro uno di loro. «Quella non e una foresta naturale… e una
29. I Sabra
Si facevano chiamare Sabra, come quei pionieri che millecinquecento anni prima, avevano domato sulla Terra un deserto quasi egualmente ostile.
I Sabra di Marte avevano pero un vantaggio rispetto a quegli altri; non avevano nemici umani, ma solo il clima terribile, l’atmosfera strettamente rarefatta, le tempeste di sabbia che infuriavano su tutto il pianeta. Avevano superato questi ostacoli; e con orgoglio dicevano che non solo erano sopravvissuti, ma che avevano vinto. Questa citazione era una delle tante cose che avevano ricevuto dalla Terra — un debito, questo, che per via del loro fiero spirito d’indipendenza erano riluttanti ad ammettere.
Per piu di mille anni un’illusione li aveva sostenuti un’illusione che era stata per loro quasi una religione. Essa; come tutte le religioni, aveva svolto un ruolo sociale importantissimo: aveva dato loro un principio superiore in cui credere, e uno scopo per cui vivere.
Fin quando i calcoli non avevano dimostrato altrimenti essi avevano creduto — o sperato — che Marte potesse sfuggire al destino della Terra. Se la sarebbero cavata per un soffio, naturalmente; la maggiore distanza dal Sole avrebbe ridotto le radiazioni solo del cinquanta per cento — ma questo sarebbe bastato. Protetti da