antichissime calotte polari spesse chilometri, forse i Marziani sarebbero potuti sopravvivere la dove gli Uomini sarebbero morti.

Qualcuno aveva addirittura fantasticato — sebbene solo pochi spiriti inguaribilmente romantici vi avessero creduto davvero — che il ghiaccio polare, fondendosi, avrebbe ricostituito gli antichi oceani marziani. E poi, forse, l’atmosfera sarebbe diventata meno rarefatta, cosi da permettere agli abitanti di muoversi liberamente all’aperto, forniti soltanto di un semplice respiratore e di indumenti isolanti.

Queste speranze furono dure a morire, ma alla fine le equazioni implacabili le uccisero. In nessun modo i Sabra avrebbero potuto salvarsi.

Sarebbero morti anche loro assieme al mondo da cui provenivano, quel mondo di cui tante volte avevano disprezzato la mollezza.

E adesso, laggiu, sotto la Magellano, vi era un pianeta che riassumeva tutte le speranze e i sogni delle ultime generazioni di coloni marziani.

Mentre Owen Fletcher guardava gli immensi oceani di Thalassa, un solo pensiero lo ossessionava.

Dai dati inviati dalle sonde automatiche, Sagan Due era un mondo molto simile a Marte, e questo era il motivo per cui lui e i suoi compatrioti erano stati scelti per il viaggio. Ma perche riprendere la stessa battaglia dopo trecento anni, e settantacinque anni luce lontano, quando avevano gia in pugno la vittoria?

Fletcher non aveva piu intenzione di disertare soltanto; troppo si sarebbe dovuto lasciare dietro le spalle. Era facile nascondersi su Thalassa; ma cosa sarebbe stato di lui quando la Magellano fosse partita portando con se gli amici, i colleghi?

Dodici Sabra erano ancora in ibernazione. Dei quattro che erano svegli come lui, ne aveva sondati cautamente due, che gli erano parsi favorevoli al suo piano. E se anche gli altri due fossero stati d’accordo, cio avrebbe significato che Fletcher poteva parlare anche a nome degli altri dodici compagni.

Il viaggio tra le stelle della Magellano doveva terminare li dove erano giunti, su Thalassa.

30. Il Piccolo Krakan

Si parlo poco a bordo della Calypso mentre l’imbarcazione faceva rotta verso Tarna a bassa velocita; i passeggeri erano immersi ciascuno nei propri pensieri, meditabondi per via di quanto avevano visto in fondo al mare. E Loren era ancora tagliato fuori dal mondo esterno; si era tenuto gli occhiali a visione totale e stava riguardando ancora una volta tutte le fasi dell’esplorazione sottomarina.

Lasciandosi dietro il suo cavo come un ragno meccanico, il robot procedeva lento tra i grandi tronchi, che sembravano sottili solo per via della loro enorme altezza ma che in realta erano piu grossi di un corpo umano. Era cosi evidente che essi erano stati regolarmente spaziati in filari, che nessuno si sorprese quando la foresta d’un tratto fini. E li nel loro accampamento nella giungla, ognuno intento alle sue attivita, c’erano gli scorpioni di mare.

Avevano fatto bene a non accendere i proiettori. Quegli esseri erano del tutto inconsapevoli dell’osservatore che fluttuava silenzioso nell’oscurita quasi completa, solo qualche metro sopra di loro. Loren aveva visto immagini di formiche, api e termiti, e il modo in cui gli scorpioni erano organizzati ricordava un po’ quello di questi insetti sociali. Di primo acchito era impossibile pensare che un’organizzazione cosi complessa potesse esistere senza un’intelligenza che la dirigesse — oppure poteva trattarsi di un comportamento puramente istintivo e automatico, come appunto nel caso degli insetti sociali della Terra.

Alcuni scorpioni erano affaccendati intorno ai tronchi che salivano verso la luce del sole invisibile, altri correvano avanti e indietro portando pietre, foglie e, si, anche reti e ceste, rozze ma inequivocabili. Dunque gli scorpioni sapevano costruire degli utensili; ma cio non bastava a dimostrare che erano esseri intelligenti I nidi di certi uccelli venivano costruiti con molta maggiore abilita di quei rozzi manufatti, che si sarebbero detti fabbricati con gli steli e le foglie delle onnipresenti piante marine.

Mi sento un alieno venuto dallo spazio, penso Loren, un alieno che osservi un villaggio dell’eta della pietra sulla Terra, quando l’uomo aveva appena scoperto l’agricoltura.

Sarebbe riuscito questo ipotetico alieno a valutare correttamente l’intelligenza dell’uomo solo in base a quello che vedeva? O il verdetto sarebbe stato di comportamento puramente istintivo?

La sonda era a tal punto avanzata nella radura che la foresta non era piu visibile, sebbene i tronchi piu vicini non distassero che una cinquantina di metri.

Fu allora che qualche spiritoso, uno di quelli dell’Isola Settentrionale, battezzo ufficialmente quel luogo col nome che sarebbe poi comparso anche nei rapporti ufficiali: «il centro di Scorpville».

Lo si sarebbe potuto definire, in mancanza di termini migliori, una zona contemporaneamente residenziale e commerciale. Una cresta rocciosa alta cinque o sei metri attraversava serpeggiando la radura, e la parete della rupe era perforata da numerosi fori neri larghi quel tanto da lasciar passare uno scorpione. Sebbene le piccole caverne si aprissero a intervalli irregolari l’una dall’altra, avevano dimensioni cosi uniformi da non poter essere naturali; e l’effetto complessivo era quello di un palazzo d’appartamenti progettato da un architetto eccentrico.

Gli scorpioni entravano e uscivano dalle loro caverne come impiegati nelle citta di un tempo, prima dell’avvento della telematica, penso Loren.

La loro attivita gli era incomprensibile, cosi come i traffici degli esseri umani, penso anche, sarebbero stati incomprensibili agli scorpioni.

«Ehi» disse qualcuno «e quella roba cos’e? Laggiu a destra… possiamo andarci piu vicino?»

Loren sobbalzo, preso alla sprovvista da quella intrusione del mondo esterno; e per qualche istante risali dal fondo del mare alla superficie.

La sonda cambio assetto e l’immagine del villaggio sottomarino s’inclino improvvisamente. Poi torno orizzontale mostrando una piramide isolata, di pietra, alta una decina di metri — a giudicare dai due scorpioni che ne stavano alla base — e che mostrava un unico ingresso di caverna. In un primo momento Loren non vide nulla d’insolito nella piramide; poi, poco alla volta, si accorse di certe anomalie, di certi particolari che non si accordavano con la scena ormai familiare di Scorpville.

Tutti gli altri scorpioni si agitavano indaffarati. Invece i due alla base della piramide stavano fermi: muovevano solo la testa, prima da una parte e poi dall’altra. E poi c’era ancora un’altra cosa…

Erano molto grossi. Non era facile giudicare le dimensioni in quel mondo subacqueo, e solo quando li ebbe potuti confrontare con altri esemplari, Loren giunse alla conclusione che erano di un cinquanta per cento piu grossi della media.

«Ma cosa fanno?» sussurro qualcuno.

«Te lo dico io cosa fanno» rispose un’altra voce. «Fanno la guardia, ecco cosa fanno… Sono sentinelle.»

Una volta pronunciata ad alta voce, la conclusione era cosi ovvia che nessuno la mise in dubbio.

«Ma a cosa fanno la guardia?»

«Alla regina, se hanno una regina. Altrimenti, alla Banca di Scorpville.»

«Dovremmo scoprirlo… Peccato che la sonda sia troppo grossa per entrare la dentro. Se la lasciassero entrare, cioe.»

A questo punto la discussione divenne accademica. La sonda robot era scesa fino a una decina di metri dalla sommita della piramide, e il tecnico che era ai comandi mise in azione un idrogetto per impedirle di scendere ancora.

Il suono, o le vibrazioni, riscossero le sentinelle. Esse si alzarono simultaneamente sulle zampe posteriori, e Loren ebbe una visione d’incubo di occhi multipli, palpi ondeggianti e chele gigantesche. Sono contento di non esserci davvero laggiu, si disse, e meno male che non sono capaci di nuotare.

Ma potevano arrampicarsi. Con velocita stupefacente gli scorpioni si arrampicarono lungo un fianco della piramide e in una manciata di secondi arrivarono in cima, solo a pochi metri sotto la sonda.

«La tiro su prima che saltino» disse l’operatore. «Con quelle chele riuscirebbero a strappare il cavo come se fosse un filo di cotone.»

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