a studiarli. Loro invece non provano imbarazzo. Quando vivevamo da loro nella Fortezza, e loro ci avevano offerto un rifugio, ci davano da mangiare, da bere, ci proteggevano, quante volte mi accorsi che stavano facendo degli esperimenti sudi noi! E Marta si era lamentata della stessa cosa con Komov, e anche Rawlingson, solo Komov non se ne lamento mai; penso che non lo facesse solo perche e troppo orgoglioso per farlo. Ma Tarasconer alla fine scappo via. Se ne ando a Pandora, dove si occupa dei suoi mostruosi tachorg ed e felice… Perche Scekn si interessava tanto a Pandora? Accampava ogni scusa, vera e falsa, pur di non partire. Bisognera controllare se e vero che un gruppo di Testoni abbia chiesto un mezzo di trasporto per trasferirsi su Pandora.
— Scekn, — gli dico, — vorresti vivere su Pandora?
— No. Devo stare con te.
Deve. Il guaio e che nella loro lingua c’e solo un tempo. Non c’e differenza fra “devo”, “dovrei”, “vorrei”, “potrei”. E quando Scekn parla in una lingua non sua, utilizza questi concetti a casaccio. Non si puo mai sapere che cosa abbia inteso veramente. Forse voleva dire che mi vuole bene, che starebbe male senza di me, che gli piace stare solo con me. Ma puo anche essere che stare con me sia solo il suo compito, che gli sia stato ordinato di rimanere con me, e che voglia solo adempiere con onesta al suo dovere, anche se desidererebbe sopra ogni altra cosa infilarsi nella giungla color arancione, cogliendo ogni fruscio, beandosi di ogni profumo, tutte cose che su Pandora abbondano…
Davanti a noi, sulla destra, da un balcone color bianco sporco del terzo piano si stacca un pezzo di intonaco e cade con rumore sul marciapiede. I ratti squittiscono sdegnati. Una colonna di zanzare si alza da un mucchio di immondizie e volteggia nell’aria. Attraverso la strada si e allungato un enorme serpente, come un sottile nastro metallico; si e avvoltolato a spirale intorno a Scekn e ha sollevato minaccioso la testa romboidale. Scekn non si e neppure fermato. Agita con noncuranza la zampa anteriore, la testa romboidale vola sul marciapiede, e lui continua per la sua strada, lasciando dietro di se un corpo aggrovigliato senza testa.
E pensare che avevano paura di lasciarmi andare solo con Scekn! Un combattente di prima classe, intelligente, con un incredibile senso del pericolo, assolutamente privo di paura, perlomeno non nell’accezione umana… Ma… ovviamente, c’e anche un “ma”. Se occorresse, mi batterei per Scekn come per me stesso. Ma Scekn? Non lo so. Certo, su Saraks si sono battuti per me, hanno combattuto, hanno ucciso e sono stati uccisi per difendermi, ma chissa perche ho avuto sempre l’impressione che combattessero non per me, per un amico, ma per un principio astratto, anche se a loro molto caro… Sono amico di Seekn da cinque anni, quando ci siamo conosciuti non gli erano ancora cadute le membrane fra le dita, gli ho insegnato la nostra lingua e ad utilizzare la linea di approvvigionamento. Non l’ho mai lasciato quando era ammalato di quelle sue strane malattie di cui i nostri medici non sono riusciti a capir niente. Ho sopportato le sue cattive maniere, le sue espressioni brusche, gli ho perdonato cose che non ho mai perdonato a nessuno. E nonostante questo, non so ancora cosa sono io per lui… Ci richiamano dall’astronave. Vanderchuze informa che Rem Zheltuchin ha trovato nel suo letamaio un fucile. Un’informazione di nessuna importanza. E solo che Vanderchuze non vuole che io me ne stia zitto. E una brava persona, si preoccupa se sto zitto. Parliamo del piu e del meno.
Intanto che parliamo, Scekn si infila nel portone piu vicino. Si sente un tramestio, uno squittio, scricchiolii e grufolare. Scekn appare di nuovo sulla porta. Mastica energicamente e si toglie dal muso le code dei topi.
Tutte le volte che sono occupato con i collegamenti, lui comincia a comportarsi da cane: mangia, si gratta, si mette a darla caccia a qualcosa. Sa perfettamente che e una cosa che non mi piace, e lo fa apposta, come se volesse vendicarsi del fatto che sono distolto dalla nostra solitudine a due.
Si scusa dicendo che era veramente troppo allettante e che non si e potuto trattenere. Io gli rispondo freddamente.
Comincia a cadere una pioggerellina gelida. Il viale davanti a noi e come velato da una foschia ondeggiante. Oltrepassiamo il 17° rione (la traversa e lastricata), passiamo davanti ad un furgone arrugginito con le gomme a terra, davanti a un edificio ben conservato, rivestito di granito, con grate arabescate alle finestre del primo piano; alla nostra sinistra comincia un parco, separato dal viale da un basso muretto.
Nel momento in cui ci troviamo a passare davanti allo sbilenco arco del cancello di ingresso, dai cespugli bagnati, ormai inselvatichiti, accompagnato da un gran rumore e da un suono di campanelli, salta sul muretto un uomo grottesco, lungo lungo e tutto colorato.
E magro come uno scheletro, ha le guance cascanti e gli occhi vitrei. Foglioline bagnate di cerfoglio gli spuntano da tutte le parti, traballano le braccia indebolite e disarticolate; le gambe nude invece si contorcono di continuo e saltellano sul posto, tanto che da sotto gli enormi gradini svolazzano da ogni parte foglie cadute e briciole di cemento bagnato.
Indossa, dalla testa ai piedi, una specie di tuta di maglia di vari colori — rosso, giallo, blu e verde — e i campanelli che porta cuciti qua e la sulle maniche e sui pantaloni suonano in continuazione mentre le dita affusolate schioccano forte e ripetutamente secondo un ritmo scoordinato. Un pagliaccio. Un Arlecchino. I suoi gesti sarebbero buffi, se non fossero cosi terrificanti: in quella citta morta, sotto una pioggia grigia, sullo sfondo di un parco solitario, diventato ormai un bosco. Si tratta, senza dubbio, di un pazzo. Ancora un pazzo.
In un primo momento mi era sembrato lo stesso che avevamo incontrato in periferia. Ma quello aveva dei nastri colorati e uno stupido cappello a punta con la campanella in cima, era molto piu basso, e non sembrava cosi macilento. Semplicemente erano tutti e due variopinti e tutti e due pazzi, e sembrava incredibile che i primi due indigeni incontrati su questo pianeta fossero dei clown impazziti.
— Non e pericoloso, — dice Scekn.
— Dobbiamo aiutarlo, — rispondo.
— Come vuoi. Ci dara fastidio.
Lo so pure io che ci dara fastidio, ma non si puo farci nulla, e comincio ad avvicinarmi al pagliaccio in lacrime, preparando nel guanto la ventosa con il tranquillante.
— Pericolo alle spalle! — grida Scekn.
Mi giro di scatto, ma in quella parte della strada non c’e niente di particolare: una villetta a due piani con resti di vernice di un sinistro color viola, colonne false, nemmeno un vetro intero, l’arco di una porta al secondo piano e spalancato nelle tenebre. Una casa e solo una casa, tuttavia Scekn la guarda fisso, la punta con un’attenzione carica di tensione. Si accoccola sulle zampe, pronto a scattare, abbassa la testa e drizza le piccole orecchie triangolari. Sento dei brividi alla schiena: dall’inizio della marcia non avevo ancora visto Scekn in questa posizione. Dietro di noi risuonano lamentosi i campanelli, poi all’improvviso si fa silenzio. Si sente solo il fruscio della pioggia.
— In quale finestra? — chiedo.
— Non lo so. — Scekn sposta lentamente la grossa testa da destra a sinistra. — In nessuna finestra. Vuoi che diamo un’occhiata? Ma ora e gia di meno… — La testa si solleva lentamente. — E tutto. Come prima.
— Che cosa?
— Come prima.
— C’e pericolo?
— C’era pericolo fin dall’inizio. Debole. Ma poi e diventato piu forte. E ora e come all’inizio.
— Uomini o animali?
— Un odio fortissimo. Non si capisce cosa sia.
Mi giro a guardare il parco. Il pagliaccio folle non c’e piu e non si riesce a distinguere nulla attraverso il verde fitto e bagnato.
Vanderchuze e terribilmente preoccupato. Detto il mio rapporto. Vanderchuze teme che sia stata un’imboscata e che il pagliaccio dovesse distrarmi. Non riesce a capire che in questo caso l’imboscata e riuscita, perche il pagliaccio mi ha effettivamente distratto a tal punto che oltre a lui non ho ne visto ne sentito niente. Vanderchuze propone di inviarci un gruppo di sostegno, ma io rifiuto. Il nostro e un compito da poco, e con ogni probabilita saremo noi che andremo a far da sostegno al gruppo di Espada.
Col capitano non abbiamo proprio avuto fortuna. Il capitano dell’Espada e un Progressore, il nostro e Vanderchuze. Ovviamente c’e una ragione: Espada e un gruppo di contatto, Rem e la principale fonte di informazioni, ed io e Scekn siamo semplicemente degli esploratori a piedi in una zona deserta e priva di pericoli. Un gruppo di appoggio. Ma se dovesse accadere qualcosa, — e qualcosa succede sempre, — ci tocchera contare solo su noi stessi. In fin dei conti il vecchio e caro Vanderchuze e solo un astronauta, una vecchia volpe del cosmo. Ha