e ai tuoi fratellini ci pensera lo zio Cipolla. Io desidero che tu prenda la tua roba e te ne vada per il mondo a imparare.

— Ma io non ho libri, e non ho soldi per comperarli.

— Non importa. Studierai una materia sola: i bricconi. Quando ne troverai uno, fermati a studiarlo per bene.

— E poi che cosa faro?

— Ti verra in mente al momento giusto.

— Andiamo, andiamo, — fece il Limonaccio, — basta con le chiacchiere. E tu, moccioso, tienti lontano se non vuoi finire in gattabuia anche tu.

Cipollino aveva pronta una risposta pepata sulla punta della lingua, ma capi che non valeva la pena di farsi arrestare prima ancora di mettersi al lavoro.

Abbraccio il babbo e scappo via.

Il giorno stesso affido la mamma e i fratellini allo zio Cipolla, un buon uomo un po' piu fortunato degli altri, perche aveva addirittura un posto di portinaio; e con un fagottello infilato su un bastone, si mise in cammino.

Prese la prima strada che gli capito davanti, ma doveva essere — come vedrete — la strada giusta. Dopo un paio d'ore di cammino si trovo all'ingresso di un paesino di campagna, senza nemmeno il nome scritto sulla prima casa. Anzi, la prima casa non era nemmeno una casa, ma una specie di canile che sarebbe bastato a malapena per un can bassotto. Nel finestrino si vedeva la faccia di un vecchietto con la barba rossiccia, che guardava fuori tristemente e sembrava molto occupato a lamentarsi dei casi suoi.

Capitolo II

Come fu che il sor Zucchina fabbrico la sua casina

— Quell'uomo, — domando Cipollino, — che cosa vi e saltato in testa di rinchiudervi la dentro? Io, poi, vorrei sapere come farete a uscire.

— Oh, buongiorno, — rispose gentilmente il vecchietto — io vi inviterei volentieri, giovanotto, e vi offrirei un bicchiere di birra. Ma qui dentro in due non ci si sta, e poi a pensarci bene non ho nemmeno il bicchiere di birra.

— Per me fa lo stesso, — disse Cipollino, — non ho sete. La vostra casa e tutta qui?

— Si, — rispose il vecchietto, che si chiamava sor Zucchina, — e un po' piccola, ma fin che non tira vento va abbastanza bene.

Il sor Zucchina aveva appena finito il giorno prima di costruirsi la sua casetta. Dovete sapere che fin da ragazzo egli si era fissato in testa di avere una casa di sua proprieta, e ogni anno metteva da parte un mattone.

Pero c'era un guaio, e cioe che il sor Zucchina non sapeva l'aritmetica, e cosi ogni tanto pregava Mastro Uvetta, il ciabattino, di fargli il conto dei mattoni.

— Vediamo un po' — diceva Mastro Uvetta, grattandosi la testa con la lesina, — sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono diciassette.

— E bastano per fare una casa?

— Io direi di no.

— E allora?

— E allora che vuoi da me? Se non bastano per fare una casa, farai una panchina.

— Ma io non ho bisogno di una panchina. Ci sono gia quelle dei giardini pubblici, e quando sono occupate posso benissimo stare in piedi.

Mastro Uvetta si diede una grattatina alla testa con la lesina, prima dietro l'orecchio destro, poi dietro l'orecchio sinistro, infine rientro nella sua bottega.

Il sor Zucchina decise di lavorare di piu e di mangiare di meno, cosi che risparmiava tre mattoni all'anno, e qualche anno perfino cinque in una volta.

Divento secco come uno zolfanello, ma la pila dei mattoni cresceva.

La gente diceva:

— Guardate Zucchina, sembra che i suoi mattoni se li tiri fuori dalla pancia. Ogni volta che il mucchio cresce di un mattone, Zucchina diminuisce di un chilo.

Quando Zucchina si senti vecchio, ando a chiamare di nuovo Mastro Uvetta e gli disse cosi:

— Per favore, venite a farmi il conto dei mattoni.

Mastro Uvetta prese la lesina per grattarsi la testa, diede una occhiata al mucchio e sentenzio:

— Sei per sette quarantadue… abbasso il nove… insomma, sono centodiciotto.

— Basteranno per fare la casa?

— Io dico di no.

— E allora?

— Che vuoi da me? Farai un pollaio.

— Ma io non ho galline da metterci.

— Mettici un gatto: i gatti sono utili perche pigliano i topi.

— E' vero, ma io non ho un gatto, e a pensarci bene mi mancano anche i topi.

— Non so cosa dirti, — sbuffo Mastro Uvetta, grattandosi furiosamente la testa con la lesina, — centodiciotto sono centodiciotto, e giusto?

— Se lo dite voi che avete studiato l'aritmetica, sara certamente cosi.

Il sor Zucchina sospiro, poi sospiro ancora una volta; infine, visto che a sospirare i mattoni non aumentavano di numero, decise di cominciare senz'altro la costruzione.

— Faro una casa piccola piccola, — pensava lavorando, — non ho mica bisogno di un palazzo, tanto sono piccolo anch'io. E se i mattoni sono pochi, adoperero qualche foglio di carta.

Il sor Zucchina lavorava adagio adagio, per paura di consumare troppo presto i mattoni. Li metteva uno sull'altro con delicatezza, come se fossero stati di vetro. Li conosceva tanto bene, i suoi mattoni!

— Ecco, — diceva prendendone uno e accarezzandolo affettuosamente, — questo e il mattone che risparmiai dieci anni fa per Natale. Lo andai a comperare al mercato con il soldi del cappone: il cappone lo mangero quando sara finita la casa.

A ogni mattone tirava un sospiro lungo lungo. Ma quando ebbe consumato tutti i mattoni, gli restavano ancora molti sospiri, e la casa era venuta uguale a una colombaia.

— Se io fossi un colombo, — pensava il povero Zucchina, — ci starei comodissimo.

Invece quando fece per entrare, batte un ginocchio sul tetto e minaccio di far crollare tutta la baracca.

— Invecchiando divento sbadato: devo fare piu attenzione. Si inginocchio davanti alla porta e cosi carponi e ginocchioni, strisciando e sospirando, entro nella sua casina. Una volta dentro, ricominciarono i guai: se si alzava faceva crollare il tetto; lungo disteso non si poteva mettere, perche la casa era troppo corta; di traverso non si poteva sdraiare perche la casa era troppo stretta. E i piedi? Bisognava tirare dentro anche i piedi, altrimenti in caso di pioggia si sarebbero bagnati.

— A quel che vedo, — concluse Zucchina, — non mi resta che mettermi seduto.

E cosi fece. Si mise seduto e sospiro.

Se ne stava li in mezzo alla casetta, sospirando con circospezione, e la sua faccia, nel finestrino, sembrava il ritratto della malinconia.

— Come vi sentite? — domando Mastro Uvetta che era uscito sulla porta della bottega a curiosare.

— Bene, grazie, — rispose gentilmente Zucchina.

— Non vi va un po' stretta sulle spalle?

— No, ho preso bene le mie misure.

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