Capitolo XXIX

Qui Limone per la paura cambia le leggi di natura

Abbiamo lasciato il Governatore con la testa infilata in un letamaio, con la scusa che ci stava comodo.

— Qui si sta caldi e tranquilli, — diceva il Governatore, sputando il letame che gli entrava in bocca.

— Restero qui finche le mie guardie avranno ripristinato l'ordine pubblico.

Essendo scappato senza voltarsi indietro, non sapeva nemmeno che le sue guardie avevano tagliato la corda, che i suoi Limoni riempivano le prigioni e che era stata proclamata la Repubblica.

Quando la pioggia comincio ad innaffiargli abbondantemente il di dietro, il Principe cambio idea:

— Questo posto e umido, — disse, — e meglio che me ne cerchi uno piu asciutto.

Raddoppio gli sgambettamenti e infine gli riusci di tirarsi fuoii dal letamaio.

Allora si accorse di essere a pochi passi dal Castello del Ciliegio.

— Come diavolo sono venuto a finir qui? — si domando, nel tandosi gli occhi dal letame.

Si nascose dietro un pagliaio per lasciar passare una strana processione di gente — e voi sapete di chi si trattava — poi si avvio su per la salita. Suono il campanello e Fragoletta gli venne ad aprire.

— Le Contesse non ricevono mendicanti, — disse la fanciulla sbattendogli la porta sul muso.

— Ma quale mendicante, io sono il Governatore!

Fragoletta lo guardo con compassione:

— Poveruomo, — disse, — la miseria vi ha dato alla testa.

— Ma quale miseria, sono ricchissimo!

— A vedervi non si direbbe, — aggiunse Fragoletta, pulendogli la faccia col fazzoletto.

— Lasciatemi stare con quel moccichino e annunciatemi alle Contesse.

— Che cosa succede? — domando don Prezzemolo, che passava di li soffiandosi il naso.

— C'e un poveretto che crede di essere il Governatore.

A don Prezzemolo basto un'occhiata per riconoscere il Principe.

— Mi son travestito cosi per osservare da vicino il mio popolo, — dichiaro Limone, che si vergognava dello stato in cui si trovava.

— Altezza, si accomodi, — esclamo emozionato don Prezzemolo, inchinandosi fino a terra.

Il Governatore entro, fulminando con un'occhiata Fragoletta.

Le Contesse non finivano mai di lodare la premura del Governatore verso il suo popolo.

— Vedete quali disagi gli tocca affrontare.

— Tutto per il bene del popolo, — rispondeva il Governatore, senza neanche arrossire, perche non si e mai visto un Limone rosso.

— E Vostra Altezza come ha trovato il suo popolo?

— Felice e contento, — dichiaro il Principe. — Non conosco un popolo piu felice del mio.

E non sapeva di dire la verita: il suo popolo era difatti felice, in quel momento, ma solo perche si era sbarazzato di lui.

— Vostra Altezza desidera un cavallo per tornare al Palazzo? — domando Pomodoro.

— No, no, — rispose vivacemente il Principe, — aspettero che passi la bufera.

— Faccio rispettosamente osservare, — disse il Cavaliere, stupito, — che il temporale e finito, e che splende di nuovo il sole.

— Avete il coraggio di contraddirmi? — strillo il Principe battendo i piedi.

— Veramente non capisco la vostra audacia, — osservo il Barone Melarancia, — se Sua Altezza dice che c'e un temporale, per me questa e la verita.

Cominciarono tutti a parlare del tempo.

— Che brutto tempo, — diceva Donna Prima, guardando dalla finestra nel giardino, in cui il sole faceva brillare come gemme i fiori bagnati dal temporale di poco prima.

— Che acquazzone orribile! Guardate come viene per traverso! — disse Donna Seconda, guardando un raggio di sole che scendeva da una nube a specchiarsi nel laghetto dei pesci rossi.

— Sentite che tuoni! — disse il Duchino Mandarino, tappandosi le orecchie e fingendo di essere spaventatissimo.

— Fragoletta, — grido Donna Prima, con una trovata geniale, — corri subito a chiudere tutte le imposte!

Fragoletta si affretto a chiudere le imposte e in breve in tutte le camere regno il buio assoluto.

Nel salone accesero la luce, e Donna Seconda sospiro:

— Che notte terribile!

— Io ho paura, — disse il Principe Limone in un momento di sincerita.

Tutti quanti, per fargli coraggio, si misero a tremare come canne.

Pomodoro ad un certo punto si avvicino ad una finestra, scosto l'imposta e arrischio timidamente:

— Mi pare che il temporale stia cessando.

— No, no, non cessa! — strillo il Principe, gettando un'occhiata di traverso al raggio di sole che era entrato gloriosamente nella stanza.

Pomodoro si affretto a chiudere, ammettendo che, difatti, continuava a piovere a dirotto.

— Altezza, — sospiro il Barone che non vedeva l'ora di mettersi a tavola, — non vorreste gradire un boccone?

No, il Principe non voleva gradire.

— Con questo tempo, — disse, — non ho proprio fame.

Il Barone non capiva che rapporto ci fosse tra il tempo e la cena, ma siccome tutti avevano cominciato a dire che il temporale gli aveva fatto perdere l'appetito, anche lui dichiaro:

— Io dicevo per dire, Altezza. A me i lampi mi danno un tale mal di stomaco che non potrei mandar giu nemmeno un brodino.

In verita, se avesse potuto, avrebbe sgranocchiato volentieri un paio di sedie, ma non era il caso di contraddire il Governatore.

Il quale, finalmente, stanco per le emozioni della giornata, si addormento sulla sedia. Gli gettarono addosso una coperta e andarono a cena.

Pomodoro mangio pochissimo, poi si alzo in fretta e disse che andava a coricarsi. Invece scivolo in giardino e si diresse verso il villaggio.

— Voglio un po' dare un'occhiata di persona. La paura del Principe e molto sospetta. Non mi meraviglierei che fosse scoppiata la Rivoluzione.

Quella parola gli fece venire i brividi alla schiena. Si proibi di pensarla ancora, ma piu se lo proibiva e piu la pensava. La paroletta maledetta gli ballava davanti agli occhi in tutte le lettere: R come Roma, I come Imola, V come Venezia eccetera eccetera.

A un tratto gli parve che qualcuno lo seguisse. Si appiatto dietro una siepe ed attese. Dopo qualche minuto gli passo davanti il sor Pisello, che si muoveva con prudenza come se camminasse sulle uova. L'avvocato era molto sospettoso: avendo visto il Cavaliere che sgattaiolava nel parco, si era messo sulle sue tracce.

Pomodoro stava per uscire dal suo nascondiglio quando apparve un'altra ombra.

Si rincantuccio dietro la siepe per lasciarla passare. Stavolta era don Prezzemolo, che aveva deciso di spiare l'avvocato. Col suo nasone aveva fiutato che stava succedendo qualcosa di grosso, e non voleva essere lasciato all'oscuro.

Il Duchino Mandarino, invece, aveva fiutato odore di Prezzemolo, percio eccolo, poco dopo, sulle tracce

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