potuto fare pratica. Che cosa avrebbe fatto la famosa Kay Scarpetta, se da studentessa non avesse potuto fare le esercitazioni? Se non ci fosse stato lui a fornirle cadaveri da sezionare, avrebbe mai imparato a fare le autopsie? In realta, non era stato Edgar Allan Pogue a procurarle i cadaveri su cui esercitarsi, visto che Kay Scarpetta aveva studiato a Baltimora e aveva dieci anni piu di lui.
Quella mattina non ebbe modo di parlarle, ma noto che non si dava arie. Era molto educata e lo salutava sempre, tutte le volte che scendeva nella divisione di Anatomia, per qualsiasi motivo. “Buongiorno, Edgar Allan”, “Dov’e Dave, Edgar Allan?”. Quella mattina, tuttavia, non gli parlo. Attraverso la sala con le mani in tasca e forse non lo vide neppure. Non cercava lui, questo e certo. Altrimenti lo avrebbe trovato in mezzo alla cenere, come Cenerentola, a sbriciolare frammenti di osso con la sua mazza da baseball preferita.
Ma lei non lo cerco. No, non lo vide nemmeno. Lui, d’altra parte, nascosto al buio nella nicchia di cemento davanti al forno crematorio, vedeva bene la sala in cui Dave stava estraendo con l’argano dalla vasca colma di formalina una vecchia rosa appesa a due ganci, braccia e ginocchia piegate come se fosse ancora dentro la vasca, targhetta di acciaio inossidabile che pendeva dall’orecchio sinistro.
Osservava la scena e la senti dire: “Nella sede nuova non faremo piu cosi, Dave. Sistemeremo i cadaveri della divisione di Anatomia nelle celle frigorifere, assieme agli altri corpi. Questo metodo e primitivo, medievale. Non va bene”.
“Si, certo, le celle frigorifere sono molto meglio. Anche se forse nelle vasche ce ne stanno di piu” ribatte Dave. Premette un pulsante e fermo l’argano, lasciando la vecchia rosa sospesa a mezz’aria.
“Sempre che riesca a trovare lo spazio. Ogni volta succede cosi: alla fine e troppo poco. Dipende tutto dallo spazio” disse la dottoressa, grattandosi il mento e controllando il proprio regno.
Edgar Allan Pogue ricorda di aver pensato: “Okay, adesso questa sala, le vasche, il forno e la sala di imbalsamazione sono il tuo regno. Ma quando tu non ci sei, cioe il novantanove per cento del tempo, sono il
“Speravo che ci fosse qualcuno ancora da imbalsamare” disse Kay Scarpetta a Dave, mentre la vecchia rosa dondolava per aria, appesa alla catena. “Forse mi conviene annullare la dimostrazione.”
“Edgar Allan e stato velocissimo… Ha imbalsamato il corpo e lo ha messo nella vasca prima che io riuscissi ad avvertirlo che le serviva, dottoressa” spiego Dave. “E dopo non ne sono arrivati altri.”
“E utilizzabile per una dimostrazione o e gia destinato altrove?” chiese la dottoressa, guardando il cadavere della vecchia sospeso sopra la vasca.
“Edgar Allan?” lo chiamo Dave. “E destinato a qualcuno il cadavere che hai appena imbalsamato?”
Edgar Allan Pogue menti e disse di no, perche sapeva che Kay Scarpetta non avrebbe mai usato per una dimostrazione il cadavere di qualcuno che aveva donato il proprio corpo alla ricerca scientifica. Edgar Allan Pogue sapeva che alla vecchia li appesa non sarebbe importato nulla. A quella interessava soltanto prendersela con il Creatore perche era stato ingiusto con lei.
“Pazienza” decise Kay Scarpetta. “Mi dispiace annullare la dimostrazione, e quindi lo usero lo stesso, anche se e imbalsamato.”
“So che non e l’ideale” replico Dave. “Mi dispiace.”
“Non si preoccupi” disse Kay Scarpetta, posandogli una mano sulla spalla. “Non poteva sapere che non ne sarebbero arrivati altri. Proprio oggi che ho la dimostrazione… Be’, me lo mandi su.”
“D’accordo. Le sto facendo un favore, si ricordi” disse Dave strizzandole l’occhio. “Oggigiorno le donazioni scarseggiano.”
“E va gia bene che la gente non sa dove va a finire, altrimenti ce ne sarebbero ancora meno” replico lei, tornando verso il montacarichi. “Bisogna che ci vediamo per parlare di come organizzare il lavoro nella nuova sede, Dave. La chiamo nei prossimi giorni.”
Cosi Edgar Allan Pogue aiuto Dave a posare il corpo della vecchia sulla barella impolverata di cui si era lamentata la dottoressa poco prima. Poi la mise nel montacarichi e sali con lei al primo piano, pensando che di sicuro non si aspettava di finire cosi. Non ne aveva la piu pallida idea, lui lo sapeva perche le aveva parlato, sia da viva che da morta. La spinse per un corridoio che odorava di disinfettante e oltre la porta che conduceva nella sala autopsie.
«E questa e la storia della signora Arnette, mamma cara» conclude, seduto sulla sdraio con le foto della donna posate sulle cosce bianche e pelose. «So che ti sembrera brutto e ingiusto, ma ti sbagli. Sono certa che sarebbe stata contenta di essere sezionata davanti a un pubblico di giovani poliziotti. E meglio che finire squartata da una massa di studenti ingrati, non credi? E una bella storia, vero, mamma? Una storia bellissima.»
18
La camera da letto e grande abbastanza da contenere un letto singolo con un comodino a sinistra e una cassettiera vicino alla cabina armadio. I mobili sono di rovere, non antichi ma nemmeno moderni, abbastanza belli. Sopra il letto sono appesi alcuni poster.
Gilly Paulsson si addormentava ai piedi del duomo di Siena e si svegliava sotto il palazzo di Settimio Severo sul Palatino. Probabilmente si pettinava i lunghi capelli biondi davanti allo specchio vicino a Santa Croce e alla statua di Dante Alighieri. Magari non sapeva neppure chi fosse Dante, o dove si trovasse l’Italia.
Marino e alla finestra che si affaccia sul giardino dietro la casa. Non da spiegazioni, perche quello che ha scoperto e ovvio: la finestra e a poco piu di un metro da terra, con un vetro scorrevole che si blocca mediante una maniglia a pressione.
«Rotta» dichiara, premendo sul meccanismo di chiusura con le dita protette da un paio di guanti di cotone bianchi per dimostrare come e facile aprire la finestra.
«L’ispettore Browning l’avra notato» dice Kay Scarpetta, infilandosi un paio di guanti anche lei. Sono lievemente macchiati, perche li tiene sempre in una tasca laterale della borsetta. «Anche se non mi pare che il verbale precisasse che la finestra aveva la maniglia rotta. E stata forzata?»
«No» risponde Marino richiudendo il vetro. «Era soltanto vecchia e usurata. Mi chiedo se la ragazzina apriva mai la finestra. Non credo che l’assassino sia passato di qui per caso e si sia detto: “Oh, guarda, la ragazza e a casa e la mamma e uscita. Quasi quasi entro. Che fortuna, la finestra e rotta!”.»
«Infatti. Probabilmente sapeva gia che non si chiudeva» dice Kay Scarpetta.
«Gia.»
«Quindi e qualcuno che conosceva la casa o aveva la possibilita di tenerla sotto controllo.»
«Infatti» replica Marino avvicinandosi alla cassettiera e aprendo il cassetto piu in alto. «Dobbiamo controllare i vicini. Ad avere la vista migliore sulla stanza di Gilly e quella» indica dalla finestra la casa dietro la staccionata che chiude il giardino sul retro, quella con il tetto di ardesia malconcio. «Cerchero di capire se la polizia ha interrogato i vicini. Potrebbero aver visto qualcuno che gironzolava da queste parti. Ah, volevo farti vedere questo.»
Infila la mano nel cassetto e tira fuori un portafoglio nero, di pelle, da uomo. E liscio e leggermente curvo, come se fosse stato tenuto a lungo nella tasca posteriore dei pantaloni. Marino lo apre. Dentro c’e una patente scaduta, intestata a Franklin Adam Paulsson, nato il 14 agosto 1966 a Charleston, South Carolina. Non ci sono carte di credito ne contanti. A parte la patente, il portafoglio e vuoto.
«Il padre» dice Kay Scarpetta, guardando attentamente la foto sulla patente, che ritrae un uomo biondo e sorridente, con la mascella squadrata e occhi grigio-azzurri. E un bell’uomo ma non le piace, per quello che si puo giudicare da una fotografia. Forse e lo sguardo gelido. Ha qualcosa di strano, ma non riesce a capire che cosa.
«Questo cassetto e interamente dedicato a lui. Vedi queste T-shirt?» chiede Marino tirando fuori una pila di magliette bianche, piegate e ordinate. «Taglia large, da uomo, presumibilmente del signor Paulsson. Certe sono macchiate e bucate. Poi ci sono le lettere» continua, porgendole una decina di buste. Alcune contengono biglietti di auguri. L’indirizzo del mittente e di Charleston. «E poi questa.» Prende una rosa dal gambo lungo, rossa e ormai appassita. «Vedi anche tu quello che vedo io?» domanda a Kay.
«Non e vecchissima.»
«Infatti.» La ripone dentro il cassetto. «Ha due o tre settimane, a occhio. Tu che le coltivi, che cosa dici?» Come se Kay Scarpetta fosse un’esperta di rose appassite.