nemmeno. Anche se dovesse decidere di infilarci qualche spina, non si accorgera di niente perche funziona come un normale adattatore. Lucy resta ferma un istante, poi esce dalla palestra e tende le orecchie: Kate dev’essere ancora in cucina, o comunque al pianterreno.
Nell’ala sud della villa c’e un’enorme camera con letto a baldacchino, televisore a schermo piatto e grande vetrata con vista mare. Da li Kate puo vedere il retro della casa di Lucy e sbirciare dalle finestre del primo piano. Lucy e seccata. Si guarda intorno e nota una bottiglia di champagne vuota vicino al comodino, su cui sono posati un flute sporco, un telefono e un romanzo d’amore. La sua vicina puo spiarla comodamente dalle finestre di casa sua. Meno male che lei ha l’abitudine di tenere le tende tirate.
Pensa alla mattina in cui Henri ha rischiato di morire e cerca di ricordare se le tende erano aperte o chiuse. Le cade l’occhio sulla presa del telefono vicino al comodino e valuta se ha il tempo di svitarla e sostituirla. Tende le orecchie per sentire se l’ascensore e in funzione o se Kate sta salendo a piedi, ma il silenzio e totale. Si accuccia e tira fuori dal marsupio un piccolo cacciavite. La presa ha due viti soltanto, non molto strette: Lucy le toglie in un attimo, sempre attenta a captare il minimo rumore. Sostituisce la presa beige con una molto simile, che pero contiene un microtrasmettitore che le permettera di ascoltare le telefonate effettuate da quella linea telefonica. Pochi secondi dopo, rimessa a posto la spina, esce dalla camera da letto. Appena in tempo: le porte dell’ascensore si aprono e appare Kate, con due bicchieri di cristallo pieni fino all’orlo di champagne.
«Bella casa, complimenti» dice Lucy.
«Anche la tua dev’essere molto bella» replica Kate, porgendole un flute.
“Lo dici a ragion veduta” pensa Lucy. “Mi spii.”
«Un giorno o l’altro devi invitarmi» continua Kate.
«Certamente. Purtroppo sono spesso via.» L’odore dello champagne le da la nausea. Ha smesso di bere: in passato ha ecceduto con l’alcol, e adesso preferisce non toccarlo neppure.
Kate ha gli occhi lucidi ed e piu rilassata, rispetto a un quarto d’ora prima: evidentemente in cucina si e gia scolata un paio di bicchieri. E brilla e Lucy sospetta che il suo bicchiere sia pieno di vodka, anziche di champagne. Il colore del liquido nel suo flute e leggermente diverso e ha meno bollicine.
«Ho notato che dalla finestra della palestra vedi il mio giardino» dice, mentre Kate beve un sorso. «Non ci hai mai visto nessuno, a parte me e la mia collega?»
«Non guardo» risponde lei con voce un po’ strascicata. «Non sono curiosa. E comunque non ho tempo di stare alla finestra, con tutto quello che ho da fare.»
«Scusa, posso andare un attimo in bagno?» domanda Lucy.
«Prego. E da quella parte.» Leggermente malferma sulle gambe, indica l’ala nord della villa.
Lucy entra in un bagno con doccia, vasca, wc, bide e vista mare. Versa mezzo bicchiere nel gabinetto e tira lo sciacquone. Aspetta qualche secondo e torna sul ballatoio, dove Kate la sta aspettando.
«Qual e il tuo champagne preferito?» le chiede Lucy, pensando alla bottiglia vuota che ha visto accanto al letto.
«Perche? Ce n’e piu di un tipo?» Kate scoppia a ridere.
«Si. Certo, dipende da quanto si e disposti a spendere.»
«Scherzi? Ti ho mai raccontato di quando io e Jeff ci siamo dati alla pazza gioia al Ritz, a Parigi? No, certo che no: e la prima volta che ci vediamo! E che mi sembra di conoscerti da un sacco» dice, avvicinandosi a Lucy e accarezzandole un braccio. «Eravamo… No, anzi, aspetta.» Beve un altro sorso, sempre tenendole la mano sul braccio. «Eravamo all’Hotel de Paris a Montecarlo. Ci sei mai stata?»
«Si, sulla mia Enzo» mente Lucy.
«Che sarebbe? Quella metallizzata o quella nera?»
«La Enzo e rossa. Non e qui.» E quasi la verita: la Enzo non c’e perche non esiste. Cioe, Lucy non ne ha mai posseduto una.
«Quindi ci sei stata. All’Hotel de Paris?» chiede Kate, riprendendo ad accarezzarle il braccio. «Be’, Jeff e io siamo andati al casino.»
Lucy annuisce, alza il bicchiere e lo avvicina alle labbra, senza bere.
«Ero alle slot machine ed era il mio momento fortunato. Santo cielo, se era il mio momento fortunato!» Finisce il bicchiere e stringe il braccio di Lucy. «Sei molto tonica, sai? Allora, ti dicevo: ho avuto fortuna e cosi ho proposto a Jeff di festeggiare la mia vincita. Ai tempi, andavamo ancora d’amore e d’accordo.» Ride e guarda il bicchiere vuoto. «Cosi siamo tornati nella nostra suite. La Winston Churchill Suite, cosi si chiamava. Me lo ricordo ancora. E indovina che cosa abbiamo ordinato?»
Lucy sta cercando di decidere se prendere le distanze da Kate subito o aspettare che faccia qualcosa di piu compromettente. Le sta accarezzando il braccio, avvicinandoselo al corpo sottile. «Dom Perignon?» chiede Lucy.
«
«Non mi ricordo.»
«Ah, te lo ricorderesti, se l’avessi bevuto. Una volta assaggiato quello, il resto fa schifo. Non riesci a bere altro, credimi. E dopo il Cristal, abbiamo ordinato un Rouge de Chateau Margaux. Divino!» Ha una pronuncia ottima, per essere ubriaca.
«Vuoi finirlo tu?» Lucy le porge il flute, mentre Kate le si struscia addosso. «Dai, facciamo cambio.» Prende il bicchiere vuoto di Kate e le mette in mano il suo, pieno a meta.
17
Edgar Allan Pogue ricorda il giorno in cui lei scese a parlare al suo capo. Doveva essere per una cosa importante, se la direttrice si era abbassata a prendere quel montacarichi, scomodissimo e inaffidabile.
Era di ferro, arrugginito, con le porte che si chiudevano dal basso verso l’alto e si incontravano nel mezzo, come le fauci di un animale feroce. Naturalmente c’erano anche le scale: le norme antincendio le prevedevano in ogni edificio pubblico. Tuttavia nessuno le prendeva mai per scendere nella divisione di Anatomia, che era sottoterra, e meno che mai Edgar Allan Pogue. Quando prendeva quel montacarichi perche doveva salire all’obitorio, non appena le porte metalliche si chiudevano si sentiva come Giona nella balena. Il fondo di acciaio era perennemente coperto di polvere e di cenere, e qualcuno ci lasciava sempre dentro una barella, fregandosene altamente se a lui poi veniva la claustrofobia.
Ma lei no, lei non se ne fregava.
Seduto sulla sua sedia a sdraio nell’appartamento di Hollywood di cui ha appena preso possesso, con la mazza da baseball in mano, Edgar Allan Pogue ricorda la mattina in cui lei usci dal montacarichi con il camice bianco e i calzoni verdi da chirurgo e attraverso la sala senza finestre in cui lui trascorreva le giornate — e, in seguito, anche le notti — con passo leggerissimo. Indossava scarpe con le suole di gomma, probabilmente perche erano antiscivolo e comode e lei stava in piedi molte ore nella sala autopsie, a smembrare cadaveri. Strano: fare a pezzi cadaveri per lei andava bene perche era una dottoressa, mentre lui, Pogue, non era niente. Non ha neppure finito le superiori, anche se sul curriculum ha dichiarato di essere diplomato e tutti ci hanno creduto.
“Non si lasciano le barelle nel montacarichi” disse la dottoressa al capo di Pogue, Dave, un uomo curvo con gli occhi scuri e pesti e i capelli tinti pieni di brillantina. “Specie quelle che usate nel crematorio, che lasciano in giro un sacco di polvere. Non mi piace e non e igienico.”
“Si, dottoressa” rispose Dave, manovrando l’argano con cui tiravano fuori i cadaveri nudi e rosa dalla vasca piena di formalina. Ai tempi in cui Edgar Allan Pogue lavorava nella divisione di Anatomia, per estrarli dalla vasca gli infilavano un grosso gancio di ferro in ciascun orecchio. “Quella non e nel montacarichi” le fece poi notare Dave guardando una barella graffiata, mezza arrugginita e piena di ammaccature, parcheggiata in mezzo alla sala con un involucro di plastica lucida sopra.
“Dico in generale. Quasi nessuno usa il montacarichi, ma preferisco comunque che sia pulito” ribatte lei.
Fu in quel momento che Pogue si rese conto che per la dottoressa il loro era un lavoro sporco. Come altro avrebbe dovuto interpretare quel commento? Pero, senza quei cadaveri, gli studenti di medicina non avrebbero