«Non dirmi che non hanno nemmeno cercato le impronte digitali.»
«Be’, possiamo farlo noi adesso.»
Nel frattempo sono arrivati in quello che si chiama Fan District, un quartiere che risale ai tempi della guerra civile e ha quel nome perche le sue stradine strette, dai nomi poetici come Strawberry Street, Cherry Street e Plum Street, si allargano a ventaglio. Le case del Fan sono state quasi tutte ristrutturate e hanno ampie verande, colonne neoclassiche e cancelli di ferro battuto. La casa dei Paulsson e meno eccentrica e lussuosa di tante altre e non e particolarmente grande: ha la facciata di mattoni, un piccolo portico e il tetto mansardato.
Marino posteggia davanti a un furgoncino azzurro. Lui e Kay Scarpetta scendono dalla macchina e imboccano una stradina di mattoni un po’ consumati. Il cielo e coperto, fa freddo e forse nevichera. Meglio la neve che la pioggia, pensa Kay. Richmond non si e mai abituata agli inverni rigidi, e ogni volta che si prevedono nevicate i suoi abitanti corrono a fare incetta di generi alimentari, preparandosi al peggio. I fili della luce sono esterni e se cade un albero per il vento o la galaverna, interi quartieri rimangono senza energia elettrica. Anche per questo, Kay Scarpetta spera che non ci siano forti temporali mentre si trova li.
Il batacchio sulla porta e di bronzo, a forma di ananas. Marino lo abbassa tre volte con forza. Tenuto conto del motivo della loro visita puo sembrare ineducato bussare con tanta insistenza. Si sentono dei passi rapidi, poi la porta si apre e appare una donna minuta, con la faccia gonfia di chi mangia poco ma beve molto e piange in continuazione. Se non fosse sfatta, sarebbe una bella donna. Ha i capelli biondi, tinti.
«Prego, accomodatevi» dice con voce nasale. «Ho il raffreddore, ma non dovrei essere contagiosa.» Guarda Kay Scarpetta con gli occhi rossi. «Ma lei lo sa meglio di me, visto che e dottoressa. E lei la dottoressa con cui ho parlato prima, vero?» Non era difficile da intuire, visto che Marino e un uomo e ha il berretto del LAPD.
«Si, sono Kay Scarpetta.» Le stringe la mano. «Condoglianze, signora Paulsson.»
Alla donna vengono le lacrime agli occhi. «Non entrate? Scusatemi per il disordine, vi prego. Ho appena fatto il caffe.»
«Grazie, lo prendiamo volentieri» dice Marino. Si presenta e spiega: «Ho parlato con l’ispettore Browning e pensavo di svolgere qualche altra indagine, se non le dispiace».
«Volete zucchero? Latte?»
Marino accetta entrambi.
«Io lo prendo nero, grazie» risponde Kay Scarpetta. Seguono la signora Paulsson lungo un corridoio con il parquet. Sulla destra c’e un salotto piccolo ma accogliente, con poltrone di pelle verde scuro e un caminetto; sulla sinistra c’e una cameretta che sembra poco usata e fredda. «Volete darmi i cappotti?» chiede la signora Paulsson. «Scusatemi: vi ho offerto il caffe e non vi ho fatto nemmeno togliere il cappotto. Abbiate pazienza, non ci sono con la testa.»
Kay Scarpetta e Pete Marino si tolgono i cappotti, che la signora Paulsson appende a un attaccapanni in cucina. Kay nota la sciarpa scarlatta appesa a un piolo e si chiede se era di Gilly. La cucina e vecchiotta, con il pavimento di piastrelle quadrate, bianche e nere, e mobili bianchi, fuori moda. La finestra da su un cortiletto chiuso da una staccionata di legno, dietro cui si vede un tetto basso di ardesia, malconcio e coperto di foglie e di muschio.
La signora Paulsson versa il caffe nelle tazze e li fa accomodare a un tavolo di legno vicino alla finestra. Kay nota che la cucina e pulita e in ordine, con una fila di pentole appese con dei ganci sopra un grosso tagliere di legno, e il lavello perfettamente pulito. Sul bancone, vicino a una scatola di fazzoletti di carta, c’e una boccetta di sciroppo per la tosse. E un farmaco da banco, di quelli che si acquistano senza ricetta. Kay beve un sorso di caffe.
«Non so nemmeno io da che parte cominciare» dice la signora Paulsson. «Non ho capito bene neppure perche siete venuti. L’ispettore Browning mi ha chiamato stamattina per dirmi che erano arrivati due consulenti da fuori e che avevano bisogno di parlarmi. Be’, eccovi qui.» Guarda Kay Scarpetta.
«Allora Browning l’ha avvisata» dice Marino.
«Si, e stato molto gentile.» La signora Paulsson guarda Marino come se lo trovasse interessante. «Sono tutti molto… Non so.» Le vengono di nuovo le lacrime agli occhi. «Dovrei essere contenta che vi diate tanto da fare. Sarebbe peggio, se a nessuno fregasse niente.»
«Stiamo lavorando tutti a questo caso con molto impegno» la conforta Kay. «Siamo intervenuti per questo.»
«Di dove siete?» La signora Paulsson guarda Marino e beve un sorso di caffe.
«Florida. Abitiamo poco a nord di Miami» risponde lui.
«Oh, credevo che lei fosse di Los Angeles» dice la signora Paulsson, lanciando un’occhiata al berretto.
«Lavoro molto con Los Angeles.»
«Stupefacente» dice lei. Ma non sembra per niente stupefatta e Kay Scarpetta intuisce che nasconde qualcosa. E come se dentro la signora Paulsson si celasse una donna completamente diversa.
«Il telefono squilla in continuazione: giornalisti, curiosi… L’altro giorno sono venuti con un camion gigantesco, pieno di antenne o cosa diavolo erano.» Si volta e indica la strada davanti a casa. «E uno scandalo, non vi pare? L’agente dell’FBI, che era qui quando sono venuti quelli della televisione, mi ha detto che fanno cosi perche non si e ancora scoperto che cosa e successo veramente a Gilly. Secondo lei, mi e gia andata bene, perche certe volte i giornalisti si accaniscono molto di piu. Non capisco come si faccia a dire che mi e andata bene cosi, sinceramente…»
«Forse l’agente dell’FBI si riferiva al fatto che a certi casi viene data molta piu pubblicita» replica Kay con dolcezza.
«La mia e una tragedia!» esclama la signora Paulsson asciugandosi gli occhi. «Che cosa puo esserci di peggio che perdere una figlia in questo modo?»
«Come e morta Gilly, secondo lei?» chiede Marino, passando il pollice sul bordo della tazza.
«Di influenza» risponde la signora Paulsson. «Dio l’ha voluta chiamare a se, non so per quale motivo. Vorrei tanto saperlo…»
«Sembra che non sia morta di influenza» precisa Marino.
«Oggigiorno e sempre cosi. Sono tutti sospettosi, vogliono il dramma. La mia bambina aveva la febbre alta. Quest’anno l’influenza e micidiale.» Guarda Kay Scarpetta.
«Signora Paulsson, io non credo che sua figlia sia morta di influenza. Immagino che l’abbiano gia informata che l’autopsia conferma la mia ipotesi. Ha parlato con il dottor Fielding, vero?»
«Si, certamente. Mi ha chiamato subito. Ma come fate a stabilire che uno non e morto di influenza? Come potete esserne sicuri, se non l’avete sentito tossire, non gli avete misurato la febbre, non lo avete sentito lamentarsi?» Scoppia in lacrime. «Gilly aveva la febbre a trentotto, una tosse da far paura! Sono uscita a comprarle lo sciroppo. Ho preso la macchina e sono andata in Cary Street, in farmacia.»
Kay Scarpetta lancia un’occhiata alla boccetta di sciroppo sul bancone e pensa ai campioni di tessuto polmonare che ha esaminato al microscopio poco prima. C’erano tracce di fibrina, linfociti e macrofagi e gli alveoli erano aperti. La broncopolmonite di Gilly, complicanza dell’influenza abbastanza frequente nei bambini e negli anziani, era in via di guarigione.
«Signora Paulsson, e possibile stabilire se una persona e morta di influenza dalle condizioni dei polmoni» le spiega. Non vuole entrare nei dettagli e descriverle in che stato sarebbero dovuti essere i polmoni di Gilly se fosse morta di broncopolmonite acuta. «Sua figlia era sotto antibiotici?»
«Si, li ha presi per una settimana.» Beve un sorso di caffe. «E infatti mi sembrava che stesse guarendo. Pensavo che ormai avesse solo un po’ di raffreddore.»
Marino spinge indietro la sedia. «Vi spiace se vi lascio sole?» domanda. «Vorrei dare un’occhiata in giro.»
«Non so a cosa, ma faccia pure. Non sara ne il primo ne l’ultimo a guardare dappertutto. La camera di Gilly e in fondo.»
«Grazie.» Marino si allontana, pestando con gli scarponi pesanti sul parquet.
«Gilly stava guarendo» dice Kay Scarpetta. «L’esame dei polmoni lo conferma.»
«Pero era ancora molto debole.»
«Signora Paulsson, Gilly non e morta di influenza» ripete con voce ferma. «E importante che lei se ne convinca. Se fosse morta di influenza, io adesso non sarei qui. Sto cercando di capire la dinamica dell’accaduto e ho bisogno di farle qualche domanda.»
«Non ha l’accento di qui, dottoressa.»
