Di fronte all’evidenza l’arabo non fu piu in grado di ribattere e non oppose resistenza quando Lawrence ordino ai suoi di portarlo via.

«Questa terra non solo ha orecchie ovunque, ma anche bocche che parlano troppo. Sono stanco di questa inattivita, Alberto. Sono sicuro che ormai i nostri uomini sono diventati degli esperti artificieri e lasciarli inoperosi e del tutto inutile. E tempo di muoverci.»

«Se e vero, come dicevano gli antichi, che il 7 e un numero propizio, non dovrebbero esserci dubbi circa l’esito della nostra missione: oggi e il 7 settembre del 1917», disse Lawrence schioccando la lingua come un esperto meharista, vale a dire un soldato a cammello. L’animale rispose pronto al comando del suo cavaliere, issandosi sulle quattro zampe.

«Faremo sosta al campo di Guweira: Mastuf, il capo degli howeitat, ci sta aspettando li. Speriamo di riuscire a reclutare altri uomini.»

Al campo di Guweira esisteva da tempo una strana consuetudine con la quale la complessa mentalita araba si era abituata, suo malgrado, a convivere. Quasi ogni mattina, alle prime luci del giorno, lo scoppiettante rumore di un sei cilindri Mercedes da cento cavalli anticipava di pochi attimi l’apparizione del grande uccello di tela e metallo. Il monoplano tedesco Taube aveva una linea simile a quella di un predatore, con la parte posteriore a forma di coda di rondine e priva del timone verticale. Le ali si facevano piu ampie alle estremita, proprio come quelle delle aquile.

L’aereo era vecchio e malandato, forse uno dei primi entrati in servizio nel 1914. Il copilota si muoveva a fatica nell’angusto abitacolo, mentre il monoplano sorvolava il campo dei ribelli: doveva sollevare a mano gli ordigni e, dopo aver preso a occhio nudo la mira, li lasciava cadere nel vuoto.

Gli howeitat non sembravano turbati piu di tanto da quella quotidiana incursione mattutina: gli arabi erano abituati a destarsi prima che facesse giorno. Il bombardamento dal cielo li coglieva tutt’altro che impreparati. Non appena percepivano il rumore in lontananza si addossavano alle pareti di un massiccio che sorgeva ai confini del campo e fungeva da riparo dalle bombe.

Li aspettavano fiduciosi che il nemico scaricasse le sue tre o quattro granate sapendo che non avrebbero provocato danni ingenti, quindi tornavano alle loro occupazioni.

Durante il viaggio Sciarra aveva avuto modo di notare l’abilita con cui il suo attendente cavalcava: malgrado le origini contadine, Rocco aveva un modo molto elegante di stare in sella, anche su quella di un cammello. Sembrava un aristocratico intento a disputare un impegnativo dressage.

Attraversare il deserto cavalcando un cammello non era affatto agevole. Anche i piu esperti cavalieri soffrivano per il caldo implacabile e la sete: a cio si aggiungeva la fatica di dover bilanciare con il corpo l’andatura ondeggiante degli animali.

Rocco stava in sella, sotto il sole cocente, con la leggiadria di un funambolo del circo e con la resistenza di un cavalleggero della steppa russa. Non altrettanto bene se la stavano passando i due sergenti artificieri, ai quali mancava ogni tipo di esperienza e di allenamento per fronteggiare una marcia serrata a dorso di cammello.

Il drappello giunse al campo di Guweira, dove gli uomini si concessero una breve e agognata sosta. Poi, una volta rinfoltiti i ranghi, la carovana riprese la via del deserto.

Passarono la notte nella valle di Rumm e li, al riparo della sua tenda, Lawrence espose a Sciarra il piano che aveva messo a punto.

Terminata la cena il colonnello italiano si incammino da solo in quel luogo che esercitava su di lui un misterioso fascino. La notte era calata sul deserto e la luna piena illuminava le rocce scolpite dal vento. Sembrava che una mano gigantesca avesse modellato le montagne di pietra rossa, creando curve o precipizi, scavando gole o gallerie profonde, dando vita a un indimenticabile scenario.

Sciarra si guardo intorno estasiato dal panorama illuminato dalla luna: due rupi alte come torri erano divise da un crepaccio largo una dozzina di metri. La valle si allargava e si restringeva in maniera imprevedibile: da una larghezza di oltre cinquanta metri si riduceva a una sottile fenditura nella quale sarebbe passato a malapena un cammello.

Il colonnello italiano noto un uomo, nei pressi di uno slargo tra le pareti di roccia. Era intento a muovere le braccia, come se stesse compiendo esercizi ginnici. Lo riconobbe subito.

«Rocco, siete voi, non e vero?»

«Si, signor colonnello», rispose una voce nell’oscurita.

«Non vi sembra un po’ troppo tardi per dedicarvi agli esercizi ginnici, soldato?»

«La lunga cavalcata di oggi ha messo a dura prova i miei muscoli, signore. Stavo proprio cercando di scioglierli», rispose il soldato siciliano cercando di non tradire l’imbarazzo. Ma la cosa non sfuggi al suo superiore.

Il piano prevedeva un primo attacco alla stazione ferroviaria di Mudowwara. Lawrence e i suoi si erano appostati sul crinale che sovrastava gli edifici sorti attorno al presidio.

Fu allora che il colonnello inglese decise che il piano originario avrebbe subito una variazione: la guarnigione turca che presidiava Mudowwara era molto piu nutrita del previsto. Lawrence poteva contare su un numero di uomini molto inferiore a quello dei nemici e non voleva correre il rischio di compromettere l’effetto sorpresa di un’azione di sabotaggio, ingaggiando un attacco il cui esito sarebbe stato a dir poco incerto. Decisero quindi che la stazione di Mudowwara sarebbe stata per ora risparmiata: avrebbero seguito la linea ferroviaria sino a che il terreno non avesse presentato le caratteristiche morfologiche ideali per un attacco al treno.

Zaal, Howeimil e Salem costituivano l’inseparabile terzetto a guardia dell’ufficiale inglese e godevano di grande rispetto presso i loro uomini: ascoltarono le indicazioni dei due sergenti artificieri e le riportarono alla truppa.

Il luogo dell’azione venne scelto con cura. Un ponte di legno valicava una gola. Subito dopo la strada ferrata compiva una curva a gomito, e un possente sperone di roccia dominava l’intero tratto.

Le cariche vennero poste sui pilastri del ponte e nel tratto di rotaie che lo precedeva.

I due ufficiali avevano provveduto a impastare i grossi pani di gelatina prima di contribuire, pale alla mano, a scavare le buche ove sarebbe stato posto l’esplosivo.

Gli uomini di Lawrence, dopo aver assemblato i tre obici someggiabili, si erano appostati sullo sperone di roccia.

Dopo alcune ore di attesa, una sentinella segnalo sbuffi di vapore in lontananza.

Gli arabi erano in preda a una grande eccitazione, in particolare i beduini, che sembrava non riuscissero a stare fermi in attesa della battaglia. In tanta agitazione spiccava la calma del colonnello inglese e del suo parigrado italiano, che rimasero imperturbabili mentre il treno si avvicinava.

Il convoglio era composto da dieci carri, originariamente adibiti al trasporto merci, ora stipati di militari turchi. Dai lati di ciascun carro spuntavano le canne dei fucili. Sui tetti dei vagoni erano sistemati sacchi di sabbia dietro ai quali trovavano riparo altri fucilieri. Due locomotive Berliner Maschinenbau, opportunamente modificate per adeguarsi allo scartamento dei binari che, nelle strade ferrate turche, era ridotto rispetto a quelle europee, precedevano il convoglio.

La costruzione di ferrovie sul territorio dell’impero ottomano si era resa necessaria verso la fine dell’Ottocento, anche per facilitare i trasferimenti delle migliaia di persone che si recavano in pellegrinaggio nelle citta sante della Mecca o di Medina. La rete si era via via ampliata e ora, solo in quella regione, aveva raggiunto i tremila chilometri di percorrenza.

Lawrence sembro leggermente preoccupato dal doppio traino: era un’eventualita che non aveva previsto. Si consulto rapidamente con Sciarra, quindi decisero che avrebbero fatto brillare le cariche al passaggio della seconda locomotiva.

Il treno avanzava sbuffando, gli arabi erano talmente nascosti che i turchi avrebbero potuto vedere solo le rocce del gigantesco sperone che sovrastava quel punto. Lo sferragliare del treno stonava in quel luogo di pace assoluta.

L’improvviso boato delle esplosioni lacero l’aria.

La carica detono all’altezza delle ruote posteriori della seconda locomotiva. Sia la motrice sia il trolley che la seguiva si contorsero, prima di librarsi in aria, quindi si abbatterono al suolo, rotolando lungo la scarpata. Del ponte di legno non erano rimasti che due monconi da un lato e dall’altro della gola. Il primo dei locomotori,

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