sentimentale.
Guardai le due foto. In una il soggetto guardava a terra e non mi serviva a niente. L'altra era l'istantanea, piuttosto ben riuscita, di un tizio alto e angoloso, con gli occhi molto vicini, la bocca dritta e sottile e il mento a punta. Orrin aveva esattamente l'espressione che mi aspettavo. Se vi foste dimenticato di pulirvi il fango dalle scarpe lui era il ragazzo che ve l'avrebbe fatto notare. Misi da parte le due foto e guardai Orfamay Quest, cercando di scoprire qualcosa, nel suo viso, che mi ricordasse lontanamente il fratello. Non ci riuscii. Tra loro non esisteva la minima rassomiglianza, il che, naturalmente, non significa nulla. Non ha mai significato nulla.
– D'accordo – dissi. – Andro laggiu a dare un'occhiata. Ma voi dovreste intuire quel che e accaduto. Il ragazzo e in una citta forestiera. Per un certo periodo guadagna parecchio. Piu di quanto abbia mai guadagnato in vita sua, forse. Incontra gente come non ne ha mai incontrata prima. E la citta… credetemi, conosco Bay City… non ha niente in comune con Manhattan, Kansas. Cosi Orrin smette di fare il bravo, e non vuole che la sua famiglia lo venga a sapere. Ma si rimettera in carreggiata.
La visitatrice mi fisso per un istante, in silenzio, poi scosse il capo.
– No. Orrin non e il tipo da fare una cosa simile, signor Marlowe.
– Tutti lo siamo – obiettai. – Specialmente un ragazzo come Orrin, il santificetur di provincia che ha vissuto tutta la vita fra le cocche del grembiale di mamma, col curato che lo teneva per manina. Da queste parti si sente solo. Ha soldi in tasca. Gli vien voglia di comprarsi un po' di dolcezza e di luce, ma non il tipo di luce che viene dalle finestre a levante di una cattedrale. Non che io abbia qualcosa contro una luce simile. Voglio soltanto dire che lui ne aveva gia avuto a sufficienza. O mi sbaglio?
Lei fece di si col capo, in silenzio.
– Cosi comincia a spassarsela – continuai. – Ma non sa come si fa.
Anche per questo ci vuole esperienza. Cosi perde un po' la trebisonda con una ragazzetta leggera e una bottiglia di liquore, e dopo gli pare di aver rubato le mutande al vescovo. Dopotutto il ragazzo ha quasi ventinove anni, e se vuole far qualche porcheriola e affar suo. Dopo un po' trovera qualcuno cui dare la colpa.
– Mi fa orrore credervi, signor Marlowe – disse la ragazza, lentamente. – Mi fa orrore per mamma…
– Avevamo detto qualcosa a proposito di venti dollari – interruppi.
Lei parve scandalizzata.
– Devo pagarvi ora?
– Come si farebbe a Manhattan, Kansas?
– Non abbiamo investigatori privati a Manhattan, c'e solo la polizia regolare. Cioe non credo che abbiamo investigatori…
Frugo di nuovo nella sua cassettina degli arnesi e pesco un borsellino rosso dal quale trasse un certo numero di banconote, piegate con cura, una per una. Tre fogli da cinque e cinque da uno. Tenne la borsa in modo che potessi vedere quanto era vuota. Poi spiego i biglietti di banca, sulla scrivania, li mise uno sopra l'altro, e li spinse verso di me. Molto lentamente, con infinita tristezza, come se stesse annegando il micino prediletto.
– Vi daro una ricevuta – dissi.
– Non mi occorre una ricevuta, signor Marlowe.
– Ma a me si. Non volete darmi il vostro indirizzo, percio ho bisogno di qualcosa con la vostra firma.
– Per che farne?
– Per dimostrare che vi rappresento. – Presi un blocco di ricevute, compilai un modulo, e le porsi il libretto, per farle firmare il duplicato. Lei non ci teneva affatto. Dopo un momento prese la matita, con riluttanza, e scrisse 'Orfamay Quest' con una grafia ordinata, da segretaria, attraverso la facciata del duplicato.
– Sempre niente indirizzo? – domandai.
– Preferirei di no.
– Telefonatemi quando volete, allora. Sulla guida c'e anche il mio numero di abitazione. Casa-albergo Bristol. Appartamento ventotto, quarto piano.
– Non e molto probabile che venga a farvi visita – dichiaro lei, freddamente.
– Non ve l'ho ancora chiesto – le feci osservare. – Chiamatemi verso le quattro, se vi fa comodo. Puo darsi che abbia qualche notizia, puo anche darsi di no.
La ragazza si alzo.
– Spero che mamma non pensi che ho fatto male – disse, tormentandosi un labbro, ora, con un'unghia pallida. – A venir qui, intendo.
– Non mi elencate altre cose che a vostra madre non piacciono – l'invitai. – Tirate un pietoso velo, su questo punto.
– Ma dico!
– E smettetela di dire: 'Ma dico!'.
– Per me, siete un individuo estremamente villano.
– Non e vero niente. Voi pensate che sono molto carino. Non credete che io faccia questo lavoro per i venti dollari, vero?
A un tratto mi lancio un'occhiata fredda, decisa.
– E allora perche? – poi, quando vide che non rispondevo soggiunse:
– Perche c'e la primavera nell'aria?
Continuai a tacere. Lei arrossi lievemente. Poi diede una risatina.
Non ebbi cuore di dirle che ero semplicemente stufo di non far nulla.
Forse era anche la primavera. E qualcosa, nei suoi occhi, che era molto piu antico di Manhattan, Kansas.
– Mi siete molto simpatico… davvero – mormoro, poi si volto di scatto, e quasi corse fuori dall'ufficio. I suoi passi, nel corridoio esterno facevano un rumorino secco, ritmato, come mamma che tamburella le dita sul bordo della tavola da pranzo, quando papa lavora di diplomazia per conquistarsi una seconda fetta di pasticcio. E lui senza piu un soldo. Senza piu nulla. Semplicemente seduto su una sedia a dondolo, sotto il portico verso strada, laggiu a Manhattan, Kansas. A dondolare, sotto il portico verso strada, con calma, lentamente, perche quando si e avuto un colpo bisogna prendere le cose con calma, lentamente. E aspettare il prossimo colpo. E in bocca la pipa vuota. Niente tabacco. Niente. Solo aspettare.
Infilai i venti dollari di Orfamay Quest, guadagnati con tanto sudore, in una busta, ci scrissi il suo nome sopra e la lasciai cadere in un cassetto della scrivania. Non mi garbava l'idea di andarmene in giro con tanto danaro addosso.
CAPITOLO III
Si puo conoscere Bay City da molto tempo senza conoscere Idaho Street. E si puo conoscere molto bene Idaho Street senza conoscere il numero 449. L'asfalto della via, davanti al portone, era tutto corroso e mostrava la terra. La staccionata sbilenca di un magazzino di legname costeggiava il marciapiedi pieno di crepe, all'altro lato della strada. Piu avanti, circa a meta dell'isolato, le rotaie rugginose di un binario di servizio svoltavano verso un alto cancello di legno, bloccato da una catena, che aveva l'aria di non essere stato aperto da vent'anni. I ragazzini avevano riempito di scritte e di disegni i battenti del cancello e tutta la staccionata.
Il numero 449 aveva un portico poco profondo, di legno grezzo, sotto il quale quattro o cinque sedie a dondolo di vimini e legno oziavano con aria dissoluta, tenute insieme dallo spago e dall'umido dell'aria marina. Gli avvolgibili verdi delle finestre a pianterreno erano abbassati per tre quarti, e pieni di spiragli. Accanto alla porta d'ingresso c'era un grande avviso, a stampatello: Tutto esaurito. Anche quello era la da molto tempo. Era sbiadito e pieno di macchie di mosche. La porta si apriva su un lungo vestibolo, in fondo al quale partiva una rampa di scale. Sulla destra c'era uno stretto scaffale con vicino una matita copiativa appesa al muro per una catenella. C'era il pulsante di un campanello e, sopra di esso, un cartellino giallo e nero che diceva: Direttore era attaccato con tre puntine da disegno scompagnate. Sul muro di fronte c'era un telefono a gettone.
Premetti il pulsante. Il campanello suono, in un punto imprecisato, ma non accadde nulla. Suonai di nuovo. Di nuovo non accadde nulla. Avanzai lentamente verso una porta con un cartellino di metallo bianco e nero… Direttore. Bussai. Poi la presi a calci. Parve che nessuno se ne avesse a male, per le mie pedate.
Tornai ad uscire e mi avviai verso il fianco della casa, dove un sentierino di cemento conduceva a un ingresso di servizio. Mi parve che fosse nel punto giusto, per esser quello dell'appartamento del direttore. Il resto