– Certo – l'assicurai. – Ma la cosa non deve preoccuparvi, a meno che non si tratti del vostro scalpello da ghiaccio, naturalmente.

Lui non raccolse l'insinuazione.

– E chi parla? – s'informo, in tono soave.

– Hicks – risposi. – George W. Hicks. Me ne sono appena andato di la. Non voglio trovarmi immischiato in certe faccende. Solo ho pensato, quando Clausen ha cercato di telefonarvi… prima che morisse, beninteso,… ho pensato che la cosa potesse interessarvi.

– Mi duole, signor Hicks – disse la voce del dottor Lagardie. – Ma io non conosco il signor Clausen. Non l'ho mai sentito nominare e non ho mai avuto niente a che fare, con lui. Eppure ho una memoria eccellente per i nomi.

– Be', e una gran bella cosa – affermai. – E ora non avrete piu occasione di fare la sua conoscenza. Pero puo darsi che qualcuno desideri sapere perche aveva tentato di telefonarvi… a meno che io mi dimentichi di passare l'informazione a chi di dovere.

Vi fu una pausa di silenzio assoluto. Poi il dottor Lagardie disse:

– Non riesco a trovare un commento da fare, a questo proposito.

– Nemmeno io – replicai. – Puo darsi che vi telefoni ancora. Ma non mi fraintendete, dottor Lagardie. Non sto cercando di ricattarvi. Sono solo un pover'uomo un po' confuso, che ha bisogno di un amico. Avevo pensato che un dottore… come un prete…

– Sono a vostra completa disposizione – dichiaro Lagardie. – Prego, consultatemi pure liberamente.

– Grazie mille, dottore – risposi con slancio. – Tante, tante, tante grazie.

E deposi il ricevitore. Se il dottor Vincent Lagardie aveva la coscienza pulita ora avrebbe telefonato alla centrale di Polizia di Bay City e avrebbe raccontato tutto. Se non avesse telefonato alla polizia voleva dire che non aveva la coscienza pulita. Il che poteva essere utile a sapersi. Come poteva non esserlo.

CAPITOLO VII

Il telefono, sulla mia scrivania, squillo alle quattro in punto.

– Avete trovato Orrin, signor Marlowe?

– Non ancora. Dove siete?

– Ma… nel drugstore vicino al…

– Venite su, e piantatela di fare la Mata Hari.

– Possibile che non riusciate mai ad essere educato? – scatto lei.

Deposi il ricevitore e mi versai un bicchierino di whisky per prepararmi i nervi per il colloquio. Stavo ancora centellinandolo quando udii i passi della ragazza ticchettare lungo il corridoio. Mi alzai e andai ad aprirle la porta.

– Venite per di qua, e fuggite la folla urlante – invitai.

La signorina Quest si sedette con affettata modestia, e aspetto.

– Tutto quel che son riuscito a scoprire e che in quel buco di Idaho Street spacciano 'paglia' – annunziai. – Sigarette di marijuana, voglio dire.

– Oh, che disgusto!

– Nella vita bisogna accettare sia il buono che il cattivo – sentenziai.

– Orrin dev'essersene accorto e deve aver minacciato di denunziare tutto alla polizia.

– Volete dire che possono avergli fatto del male, per questo? – chiese con voce da bambinetta.

– Be' e molto probabile che, per prima cosa, gli abbiano fatto prendere una bella paura.

– Oh, non possono aver spaventato Orrin, signor Marlowe – affermo la ragazza, con aria decisa. – Mio fratello diventa molto cattivo con la gente che tenta di imporglisi.

– Gia – bofonchiai. – Ma non stiamo parlando delle stesse cose, noi due. Si puo spaventare chiunque, con la giusta tecnica.

Lei strinse le labbra, testardamente.

– No, signor Marlowe. Non possono aver spaventato Orrin.

– D'accordo – dissi. – Non l'hanno spaventato. Poniamo, allora, che gli abbiano tagliato via una gamba e se ne siano serviti per pestargliela sulla testa. Che farebbe vostro fratello, in un caso simile? Si rivolgerebbe all'Ufficio Reclami?

– State prendendovi gioco di me – osservo la ragazza, educatamente.

La sua voce era fredda come la minestra di una pensione. – Non avete fatto altro, in tutto il giorno? Avete solo scoperto che Orrin ha traslocato, e che abitava in un quartiere di dubbia fama? Perbacco, questo l'avevo scoperto da me, signor Marlowe. Pensavo che, essendo un investigatore e tutto quanto… – S'interruppe, lasciando il resto della frase come sospeso a mezz'aria.

– Ho fatto qualcosa di piu – rettificai. – Ho dato qualche sorso di gin al direttore della pensione, ho sfogliato il registro degli ospiti e ho parlato con un certo Hicks. George W. Hicks. Un tizio che porta la parrucca. Forse non l'avete conosciuto. Abita, o meglio abitava, nella camera di Orrin. Cosi ho pensato che forse… – fu il mio turno di lasciare la frase sospesa a mezz'aria.

Lei mi fisso, coi suoi pallidi occhi azzurri, ingranditi dalle lenti. La sua bocca era piccola, ferma, dura, le mani annodate strettamente, sulla scrivania, davanti alla grossa borsa quadra. Tutto il suo corpo, rigido, impettito e formale esprimeva disapprovazione.

– Vi ho pagato venti dollari, signor Marlowe – disse in tono gelido. – Ritenevo si trattasse del pagamento per una giornata di lavoro. Non mi pare che abbiate compiuto una giornata di lavoro.

– No – ammisi. – E vero. Ma non e ancora venuto sera. E non vi preoccupate per i venti dollari. Potete riprenderli, se ci tenete. Non li ho nemmeno sfiorati.

Apersi il cassetto, tirai fuori i suoi soldi e li spinsi verso di lei. La ragazza guardo il mucchietto di banconote ma non lo tocco. I suoi occhi si alzarono lentamente, a incontrare i miei.

– Non intendevo questo. So che state facendo del vostro meglio, signor Marlowe.

– Con gli elementi che ho…

– Ma vi ho detto tutto quel che sapevo.

– Non credo.

– Be', io non posso farci niente se non la pensate cosi – ribatte lei con aria petulante. – Dopotutto, se avessi saputo quel che volevo sapere non sarei venuta qui a chiedervi di scoprirlo, vi pare?

– Non dico che voi sappiate tutto quel che volete sapere – replicai. – Il fatto e che io non so tutto quel che vorrei sapere per compiere il lavoro che mi avete affidato. E quel che mi avete detto non ha senso.

– Che cosa non ha senso? Vi ho detto la verita. Sono la sorella di Orrin.

Lo sapro che tipo e.

– Quanto tempo ha lavorato per la Cal-Western?

– Ve l'ho detto. E venuto in California circa un anno fa. Ha cominciato a lavorare subito perche, praticamente, aveva gia l'impiego prima di partire.

– Scriveva spesso a casa? Prima di smettere di scrivere, intendo.

– Tutte le settimane. A volte anche piu spesso. Scriveva a turno alla mamma e a me. Ma le lettere erano per tutt'e due, naturalmente.

– Di che trattava?

– Volete dire che cosa trattava nelle sue lettere?

– Che cosa credevate che intendessi?

– Be', non e necessario che alziate la voce. Ci raccontava del suo lavoro, delle officine, dei suoi colleghi, e, ogni tanto, di qualche spettacolo al quale aveva assistito. Oppure ci parlava della California. Parlava anche della chiesa, a volte!

– Ragazze niente?

– Non credo che Orrin s'interessi molto, alle ragazze.

– Da che e in California ha mai cambiato indirizzo?

La ragazza tentenno il capo, perplessa.

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