Non trovai nulla che mi paresse importante. Raccolsi un cappello floscio dal pavimento, lo deposi sulla scrivania e tornai nello stanzino da bagno.
L'unico punto interessante consisteva nello scoprire se le persone che avevano pugnalato il dottor Hambleton avessero trovato quel che cercavano; avevano avuto ben poco tempo, a disposizione.
Perquisii lo stanzino da bagno con molta cura. Tolsi il coperchio al serbatoio dell'acqua del gabinetto e vi guardai dentro. Non vidi nulla. Sbirciai giu, lungo il canale di scarico. Non c'era nessun filo con un oggetto minuscolo appeso in fondo. Perquisii il cassettone. Conteneva solo una vecchia busta. Sganciai gli scuri delle finestre e tastai per di sotto i davanzali. Raccolsi la Bibbia e la sfogliai di nuovo. Esaminai il retro dei quadri e studiai il bordo del tappeto. Era inchiodato al muro e c'erano delle coppette di polvere, nelle depressioni lasciate dai chiodi. Mi inginocchiai sul pavimento ed esaminai la parte di tappeto che passava sotto al letto. Era identica al resto. Montai in piedi su una sedia e guardai nella boccia del lampadario.
Conteneva polvere e falene morte. Esaminai il letto. Era stato rifatto da una persona del mestiere e non era piu stato toccato. Tastai il cuscino, sotto la testa del morto, poi trassi un altro cuscino dall'armadio a muro ed esaminai le cuciture. Niente.
La giacca del dottor Hambleton pendeva dallo schienale di una sedia. La perquisii, sapendo benissimo che era il posto meno probabile per trovarvi qualcosa. Qualcuno, con un coltello, si era dato da fare con la fodera e le imbottiture delle spalle. Nelle tasche c'erano fiammiferi, un paio di sigari, un paio di occhiali scuri, un fazzoletto da dozzina, pulito, un biglietto d'un cinema di Bay City, un pettinino e un pacchetto di sigarette nuovo. Lo guardai bene, alla luce. Non mostrava segni di manomissione. Lo manomisi io. Strappai l'involucro, lo feci passare tutto e non trovai che sigarette.
Cosi restava solo il dottor Hambleton in persona. Gli passai le mani sopra e gli frugai nelle tasche dei calzoni. Qualche spicciolo, fiammiferi, un mazzo di chiavi, un volantino con gli orari degli autobus. In un portafogli di cinghiale c'era un libriccino di francobolli, un secondo pettine (ecco un uomo che trattava con vero amore il suo parrucchino!), tre bustine d'una polvere bianca, sette biglietti da visita che dicevano: Dottor G. W. Hambleton. Tustin Palace, El Centro, California. Ore 9-12, 14-16, e per appuntamento. Telefono El Centro 50406. Niente patente di guida, niente assicurazione sulla vecchiaia o sulla vita, niente che lo potesse identificare veramente. Il portafogli conteneva centosessantaquattro dollari in banconote. Lo riposi dove l'avevo trovato.
Presi il cappello del dottor Hambleton dalla scrivania ed esaminai la fascia interna e il nastro. Il nodo, era stato staccato con un temperino, e aveva lasciato una riga di fili penduli. Dentro non c'era niente. Non vidi segni di scuciture e ricuciture antecedenti.
Questo era tutto. Se gli assassini sapevano quel che cercavano doveva trattarsi di una cosa che poteva essere contenuta in una scatola di telefono, in un tubo di dentifricio o nel nastro di un cappello. Tornai nello stanzino da bagno e mi esaminai di nuovo il taglio. Perdeva ancora un sottile filo di sangue. Applicai dell'altra acqua fredda, e mi asciugai con un po' di carta igienica, che dopo buttai nel gabinetto e feci sparire, tirando la catena. Poi passai in camera da letto e rimasi un lungo istante a fissare il dottor Hambleton, chiedendomi che errore poteva aver commesso. Mi era parso un individuo con la testa sul collo. Il sole si era spostato al capo estremo della stanza, ora, aveva lasciato il letto e si era rifugiato in un angolo triste e polveroso.
A un tratto sorrisi, mi chinai sul morto, di scatto, e conservando sempre il mio sorriso, per fuori luogo che fosse, gli sfilai il parrucchino e lo rovesciai. Era cosi semplice. Un foglietto di carta color arancio protetto da un quadretto di cellophane era attaccato alla fodera delia parrucca con due pezzi di carta gommata. Lo staccai, lo voltai e vidi che si trattava di uno scontrino del negozio 'Tutto per la foto' di Bay City. Lo riposi nel mio portafogli e calzai di nuovo, con cura, la parrucca sulla testa pelata come un uovo.
Lasciai la porta chiusa con la sola maniglia, perche non c'era modo di chiuderla a chiave.
Fuori la radio vociava sempre dallo sfiatatoio e le risa degli ubriachi, dall'altra parte del pianerottolo, le facevano l'accompagnamento.
CAPITOLO IX
Al telefono l'impiegato di 'Tutto per la foto' mi disse:
– Si, signor Hicks. Sono pronte. Sei ingrandimenti su carta lucida, dalla vostra negativa.
– A che ora chiudete? – domandai.
– Oh, fra cinque minuti, circa. Apriamo alle nove di mattina.
– Allora verro a ritirarle domattina. Grazie.
Appesi la cornetta, portai automaticamente la mano alla fessura e trovai un nichelino, dimenticato da chissa chi. Andai al bar, e col nichelino mi pagai una tazza di caffe. Rimasi seduto, a sorseggiarlo e ad ascoltare i clackson delle automobili, che si lagnavano nella via. Era l'ora di rincasare.
Stridevano fischietti. Rombavano motori. Vecchi freni cigolavano. Sul marciapiedi risonava uno scalpiccio tetro, costante. Erano le cinque e mezzo, appena passate. Terminai il caffe, riempii la pipa e mi incamminai lentamente verso l'albergo Van Nuys, a mezzo isolato di distanza. Nella sala di scrittura infilai lo scontrino arancione del fotografo in una busta intestata dell'albergo e l'indirizzai a me stesso. Vi applicai un francobollo espresso e la lasciai cadere nella cassetta delle lettere, vicino agli ascensori. Poi tornai nell'ufficio di Flack.
Di nuovo richiusi la porta, e di nuovo mi sedetti di fronte a lui. Pareva che Flack non si fosse mosso d'un centimetro. Masticava con aria assente lo stesso mozzicone di sigaro e i suoi occhi erano ancora pieni di nulla.
Riaccesi la pipa sfregando un cerino contro il fianco della sua scrivania.
Lui si acciglio.
– Il dottor Hambleton non risponde – annunziai.
– Che? – Flack mi guardo con aria vacua.
– Il cliente del numero trentadue. Ricordate? Be', non risponde.
– Che cosa dovrei fare? Mettermi a piangere?
– Ho bussato varie volte – spiegai. – Nessuna risposta. Ho pensato che stesse facendo il bagno o qualcosa di simile, per quanto non si sentisse niente, e sono andato a fare un giretto. Poi sono tornato e ho riprovato. Di nuovo nessuna risposta.
Flack consulto un orologio a cipolla che aveva tratto dal panciotto. – Termino alle sette – brontolo. – Gesu, ancora un'ora, e passa… Ragazzi, che fame!
– E naturale – osservai. – Lavorando come lavorate… Dovete mantenervi in forze. Sono riuscito ad attirare la vostra attenzione sulla camera trentadue?
– Avete detto che il cliente non c'era – replico Flack, irritato. – E con questo? Non c'era.
– Non ho detto che non c'era – rettificai. – Ho detto che non rispondeva alla porta.
Flack si chino in avanti. Con estrema lentezza si tolse di bocca gli avanzi del sigaro e li depose nel portacenere di vetro.
– Continuate. Cercate di interessarmi – disse con aria cauta.
– Forse vi puo far piacere venir di sopra a dare un'occhiata – dissi. – Forse e un pezzo che non vedete un lavoro di scalpello di prim'ordine.
Flack poso le mani sui braccioli della sedia, e strinse forte il legno.
– Ouu! – disse dolorosamente – ouuu!
Si tiro in piedi e aperse il cassetto della scrivania. Ne trasse un grosso revolver nero, aperse il cilindro, controllo i proiettili, sbircio nell'interno della canna, richiuse il cilindro di scatto. Si sbottono il panciotto e infilo la rivoltella ben fonda dentro la cintura dei calzoni. In caso di emergenza probabilmente sarebbe riuscito a tirarla fuori in poco meno di sessanta secondi. Si pianto il cappello in testa, con fermezza, e mi indico la porta col pollice.
Salimmo al terzo piano in silenzio. Percorremmo il corridoio. Nulla era cambiato. Nessun suono era aumentato o diminuito di volume. Flack si affretto verso il numero trentadue e busso, per forza dell'abitudine. Poi tento la maniglia. Dopo di che si volto a guardarmi, con la bocca contratta.
– M'avete detto che la porta non era chiusa a chiave – si lagno.
– Non ho detto precisamente questo. Pero non era chiusa a chiave.
– E ora lo e – annunzio Flack tirando fuori una chiave appesa a una lunga catena. La fece girare nella