– Che ometto coriaceo! – esclamai, e soggiunsi. – Il dottor Hambleton aveva centosessantaquattro dollari nel portafogli, quando l'ho perquisito. Me ne aveva promessi cento ricordate? Ora, nello stesso portafogli si sono trovati quattordici dollari. Io poi avevo veramente lasciato la porta aperta. E qualcun altro l'ha chiusa a chiave. Voi, l'avete chiusa, Flack.
Flack afferro i bracciali della poltroncina e li strinse forte. La sua voce pareva venire dal fondo di un pozzo e disse:
– Non potete provare un cavolo di niente.
– Devo provarmici?
Sfilo la rivoltella dalla cintura e la depose sulla scrivania di fronte a se.
Poi la fisso. Ma non aveva alcun messaggio per lui. Flack alzo gli occhi su di me e chiese con voce rotta:
– Facciamo a mezzo, eh?
Vi fu un istante di silenzio fra noi. Lui trasse di tasca un vecchio portafogli malandato e vi frugo dentro. Ne pesco una manciata di spiccioli e banconote e li sparse sulla scrivania. Poi li divise in due mucchietti e ne spinse uno verso di me. Io dissi: – Li voglio tutti.
Flack si affloscio, sulla sua poltroncina e fisso un angolo della scrivania.
Dopo una lunga pausa trasse un sospiro. Riuni i due mucchietti di danaro e li spinse avanti… verso di me.
– A lui non servivano a niente – disse. – Su, prendete il malloppo e filate. Mi ricordero di voi, bel giovane. I tipi della vostra risma mi fanno voglia di vomitare. Chi mi dice che non gli abbiate soffiato un foglio da mille?
– Avrei portato via tutto. E l'assassino avrebbe fatto lo stesso. Perche lasciare quattordici dollari?
– E perche avrei dovuto lasciarli io? – chiese Flack, con voce stanca, movendo le dita, in un gesto vago, lungo il bordo dello scrittoio. Io presi il denaro, lo contai e glielo gettai.
– Perche siete del mestiere, e avete valutato il vostro uomo. Sapevate che come minimo doveva avere in tasca abbastanza da pagare la camera, e qualche dollaro per le spese extra. Anche la polizia avrebbe fatto lo stesso ragionamento. Qua, non li voglio, questi soldi. Voglio qualcos'altro.
Lui mi fisso, con la bocca spalancata.
– Levatemi di torno questi quattrini.
Flack agguanto le banconote e le ficco disordinatamente nel portafogli.
– Che sarebbe questo 'qualcos'altro'? – domando. Aveva gli occhi piccoli, pensosi. Con la lingua spingeva avanti il labbro inferiore. – Non mi sembrate in una posizione cosi brillante da dettar legge.
– Forse vi sbagliate. Se io tornassi di sopra e dicessi a Christy French e a Beifus che ero gia stato in camera di Hambleton e avevo perquisito il cadavere mi prenderei senz'altro una bella strigliata. Pero capirebbero che non ho tenuto il becco chiuso solo per fare lo spiritoso. Saprebbero che dietro le mie spalle, c'e un cliente che desidero proteggere. Mi tirerei addosso insulti e minacce a non finire. D'accordo. Ma a voi toccherebbe qualcosa di molto diverso.
Tacqui e osservai il debole luccichio del sudore che ora gli si stava formando sulla fronte. Flack degluti a fatica. Aveva gli occhi d'un malato.
– Piantatela di blaterare e mettete le carte in tavola – scatto. Poi d'un tratto sorrise, con un'aria vagamente oscena. – Siete arrivato un po' in ritardo per proteggerla eh? – La smorfia grassa, ironica, che abitava in permanenza sul suo viso stava tornando a casa, ora, lentamente, ma con gioia. Spensi la sigaretta, ne trassi di tasca un'altra e compii, uno per uno, tutti i gesti lenti, inutili, che dovrebbero salvare la faccia: accendere, gettar via il cerino, aspirare una boccata lunga, profonda, come se quell'ufficetto lurido fosse stato la vetta d'una collina che sovrastava l'oceano spumeggiante… tutti i cliche, logori e frusti del mio mestiere.
– E va bene – dissi infine. – Ammetto che si tratta d'una donna.
Ammetto persino che e entrata in quella camera quando Hambleton era gia morto, se vi puo far piacere. Dev'essere stata l'emozione, a farla scappar via cosi.
– Ma sicuro – convenne Flack, con aria odiosa. La sua smorfia grassa e ironica era tornata a casa del tutto, ora. – O forse era un mese che non scannava piu nessuno con uno scalpello da ghiaccio. Aveva un po' perso lo stile…
– Ma perche portare via la chiave della camera? – chiesi, come parlando a me stesso. – E perche lasciarla al portiere? Perche non se ne e andata, piu semplicemente, piantando tutto come stava? Come mai si e ritenuta in dovere di chiudere la porta? Perche non gettare la chiave in una sputacchiera e coprirla con la sabbia? Oppure portarsela dietro, e perderla, da qualche parte? Perche occuparsi comunque, di quella chiave, che avrebbe provato la sua presenza nella stanza del delitto? – Abbassai gli occhi e fissai Flack con uno sguardo intenso, duro, immobile. – A meno che, naturalmente, qualcuno l'abbia vista lasciare la stanza con le chiavi in mano, e l'abbia seguita fuori dall'albergo.
– E perche l'avrebbe fatto, quel 'qualcuno'? – chiese Flack.
– Perche la persona che l'ha vista ha potuto entrare in quella stanza quasi subito dopo di lei. Aveva un passe- partout.
Gli occhi di Flack si alzarono su di me e tornarono ad abbassarsi, in un solo movimento.
– Cosi, quella persona deve aver seguito la ragazza – continuai. – Deve averla vista lasciare la chiave al banco del portiere e uscire dall'albergo, e deve averla seguita per un tratto di strada.
– Come fate ad essere cosi meravigliosamente astuto? – chiese Flack, in tono di scherno.
Mi sporsi in avanti e tirai il telefono verso di me.
– Mi conviene chiamare Christy e farla finita, una volta per tutte – dissi. – Piu ci penso e piu ho paura. Forse Hambleton l'ha accoppato davvero la ragazza. Non posso proteggere un'assassina.
Sollevai il ricevitore dalla forcella. La zampa sudaticcia di Fk ck mi piombo di violenza sul dorso della mano. Il ricevitore rimbalzo sulla scrivania.
– Lasciate stare – la sua voce era quasi un singhiozzo. – L'ho seguita fino a una macchina, ferma in fondo alla strada. Ho preso il numero. Per l'amor di Dio, lasciatemi una via d'uscita, amico… Una via qualsiasi. – Stava frugandosi in tasca freneticamente. – Sapete quanto prendo, con questo lavoro? Quel che mi basta per le sigarette e stop. Quasi nient'altro.
Su, aspettate un minuto. Credo… – Abbasso lo sguardo, gioco un solitario con alcune buste unte, e finalmente ne scelse una e me la getto. – Ecco la targa – disse in tono stanco. – E se puo farvi piacere vi diro che non mi ricordo piu nemmeno che numero e.
Diedi un'occhiata alla busta. C'era effettivamente scarabocchiato un numero d'automobile. Il tratto era malfermo, esile, sbilenco, proprio come quando si scrive frettolosamente, in strada, col solo foglio in mano. Diceva: 6N333. California 1947.
– Soddisfatto? – Era la voce di Flack. Per lo meno il suono era uscito dalla sua bocca.
Strappai via il lembo col numero, e gli gettai indietro la busta. – 4P 327 – dissi, studiando attentamente i suoi occhi. Nessuna luce improvvisa gli si accese nelle pupille. Non vidi tracce di ironia, di finzione. – Ma come faccio, io, a sapere che non si tratta d'un numero che avevate gia in tasca?
– Dovete contentarvi della mia parola.
– Descrivetemi la macchina.
– Cadillac trasformabile. Non nuova. Col soffietto chiuso. Modello del quarantadue o giu di li. Di un colore azzurro-polvere.
– Descrivetemi la donna.
– Prendete parecchio per i vostri quattrini, eh, bel giovane?
– Per i quattrini del dottor Hambleton.
Lui strabuzzo gli occhi.
– E va bene. Bionda. Soprabito bianco con le cuciture degli orli colorate. Cappello grande, di paglia azzurra. Occhiali neri. Alta circa uno e sessanta. Una figura che fa scintille.
– La riconoscereste, senza occhiali? – chiesi con una certa prudenza.
Lui fece finta di pensare. Poi scosse il capo: no.
– E allora, volete ripetermi quel numero di targa, Flack?
L'avevo preso alla sprovvista.
– Quale numero?
Mi chinai in avanti e lasciai cadere un po' di cenere sulla sua rivoltella.
Poi lo fissai di nuovo negli occhi, intensamente. Ma ormai sapevo di averlo battuto. Pareva che lo sapesse anche lui. Prese il revolver, soffio via la cenere e lo ripose in un cassetto.