– Avanti, correte – sibilo tra i denti. – Andate a dire ai poliziotti che ho perquisito il morto. E con questo? Forse perdo l'impiego. Forse anche mi sbattono dentro. E con questo? Quando esco sono a posto. Il caro piccolo Flack non dovra piu preoccuparsi, per il pane e il companatico. Non vi sognate che quei paraocchi neri l'abbiano ingannato per un momento, il caro piccolo Flack. Sono andato troppo al cinema per non riconoscere quella bella bambolina. E se volete il mio parere vi diro che la vedremo ancora per un pezzo. E destinata a far carriera… e chissa… – mi lancio un sorriso trionfante… – forse, uno di questi giorni, avra bisogno di una guardia del corpo. Di un brav'uomo sempre a sua disposizione, che tenga d'occhio le cose, e che le impedisca di mettersi nei guai. Qualcuno che abbia una certa influenza e non sia irragionevole, in fatto di danaro… Che c'e?

Avevo chinato il capo da un lato e m'ero curvato in avanti, in ascolto.

– Mi era parso di sentire la campana di una chiesa – spiegai.

– Non ci sono chiese, da queste parti – annunzio Flack, con disprezzo:

– Sara il vostro cervellone di platino, che si riempie di crepe.

– Una campana sola – continuai. – Molto lenta. A morto.

Flack ascolto, con me.

– Non sento nulla – disse aspramente.

– Oh, non e possibile che la sentiate – esclamai. – Voi siete l'unica persona al mondo che non la puo sentire.

Non mi rispose. Rimase seduto, a fissarmi, coi piccoli occhi malvagi semichiusi, coi piccoli baffi malvagi che luccicavano, aggressivamente.

Una mano gli si contrasse sullo scrittoio, in un gesto senza senso.

Lo lasciai ai suoi pensieri che, probabilmente, erano piccoli, brutti e spauriti come lui.

CAPITOLO XI

La casa-albergo era in Doheny Drive, ai piedi della collina, sotto lo Strip. In realta si trattava di due edifici, collegati da un patio pieno di fiori, con una fontana nel mezzo, e una stanza costruita proprio sopra l'arco. Nel vestibolo di finto marmo c'erano le cassette delle lettere coi campanelli.

Tre su sedici non portavano nome. I nomi che lessi non significavano niente, per me. Tentai la porta d'ingresso, e scopersi che non era chiusa a chiave, ma nonostante questo l'impresa richiedeva del lavoro supplementare.

Fuori in strada c'erano due Cadillac, una Lincoln Continental e una Packard Clipper. Nessuna delle Cadillac aveva il numero giusto o la tinta giusta. Dall'altro lato della via un tale in calzoni alla cavallerizza era sdraiato in una Lancia molto bassa, e spenzolava le gambe oltre lo sportello. Fumava e guardava in su, verso le stelle pallide che hanno abbastanza buon senso da tenersi lontano da Hollywood. M'incamminai lungo la ripida collina, verso il boulevard, percorsi un isolato e mi chiusi in una cabina telefonica stradale che pareva un bagno turco. Composi il numero di un tale, che tutti chiamano Peoria Smith perche balbetta… un altro piccolo mistero che non ho mai trovato il tempo di risolvere.

– Mavis Weld – gli dissi. – Voglio il numero di telefono. Parla Marlowe.

– S-s-s-icuro – rispose. – M-m-m-avis Weld, eh? Vuoi il s-s-s-uo nn-n-umero?

– Quanto?

– F-f-f-facciamo dieci d-d-d-ollari.

– Dimentica che t'ho chiamato.

– A-a-a-spetta un momento! Ho l'ordine di non darli, i n-n-n-n-umeri di quelle pupe! Per essere un vice- trovarobe corro un bel rischio!

Aspettai, e tornai a respirare il fiato che avevo buttato fuori.

– L'indirizzo e compreso nel prezzo! – piagnucolo Peoria, dimenticandosi di balbettare.

– Cinque dollari – ribattei. – L'indirizzo ce l'ho gia. E non fare lo strozzino. Se credi di essere il solo malvivente, nel tuo ramo, a vendere i numeri segreti delle dive…

– Lascia perdere – fece lui in tono stanco, e ando a prendere il suo taccuino rosso. Un balbuziente alla rovescia, Peoria. Tartagliava solo quando non era eccitato. Poco dopo torno all'apparecchio e mi diede il numero. Un numero della centrale di Crestview, naturalmente. Se non si ha un numero di Crestview, a Hollywood si e considerati pezzenti.

Apersi la porta di vetro e acciaio cromato per far passare un po' d'aria, mentre componevo un altro numero. Dopo due squilli mi rispose una voce cantilenante, piena di sex appeal. Chiusi la porta della cabina.

– Siiii – tubo la voce.

– La signorina Weld, per cortesia.

– E chi desidera la signorina Weld, prego?

– Ho qui alcune pose che Whitey vuole farle avere in serata.

– Whitey? E chi sarebbe Whitey, amigo?

– Il ritrattista capo dello studio – replicai. – Come fate a non saperlo?

Se mi dite il numero dell'appartamento vengo subito. Sono a un paio di isolati da casa vostra.

– La signorina Weld sta facendo il bagno. – La ragazza rise. Probabilmente era un tintinnio argentino, nelle sue vicinanze. Dove mi trovavo io faceva pensare a qualcuno che mettesse via delle pignatte. – Ma portate le foto, naturalmente. Son certa che la signorina muore dalla voglia di vederle. L'appartamento e il numero quattordici.

– Ci sarete anche voi?

– Ma certo. Ma naturale. Perche me lo domandate?

Appesi il ricevitore e uscii, quasi a tentoni, nell'aria fresca. Scesi la collina. Il tizio in pantaloni alla cavallerizza era ancora adagiato nella Lancia ma una delle Cadillac se ne era andata e due Buick trasformabili si erano unite alla schiera. Premetti il campanello dell'appartamento quattordici e attraversai il patio, dove un caprifoglio cinese, color porpora, era illuminato da un riflettore. Un altro riflettore splendeva sull'ampia piscina ornamentale, piena di pingui pesci rossi e di silenziose ninfee. Accanto c'erano un paio di sedili di pietra e un'altalena da giardino. La casa non aveva un'aria particolarmente costosa, a parte il fatto che tutte le case erano costose, quell'anno. L'appartamento di Mavis Weld era al secondo piano, una delle due porte che si guardavano, al di la di un ampio vestibolo.

Il campanello squillo, gentilmente, e una ragazza alta, in pantaloni da equitazione venne ad aprirmi. Dire che trasudava sex appeal e non dir nulla. I calzoni, come i suoi capelli, erano d'un nero carbone. Portava una camicetta di seta bianca, con una sciarpa scarlatta, annodata mollemente intorno al collo. Il colore della sciarpa era aggressivo, ma non come quello delle labbra. Fumava una lunga sigaretta marrone, stretta in un paio di minuscole mollette d'oro. Le dita che le reggevano erano inanellate piu che a sufficienza. I capelli corvini erano divisi nel mezzo e la scriminatura bianca correva lungo tutta la testa e andava a perdersi dietro, sulla nuca. Due grosse trecce, nere, lucidissime pendevano ai lati dell'esile collo bruno. Le aveva legate con un nastrino rosso. Eppure era passato molto tempo dai giorni della sua infanzia.

La ragazza lancio un'occhiata penetrante alle mie mani vuote. I ritratti degli studi cinematografici, in genere, sono troppo grandi, per poterli portare in tasca. Io dissi:

– La signorina Weld, prego.

– Potete dare a me le fotografie – la sua voce era fredda, strascicata, insolente, ma gli occhi avevano tutt'altra espressione. Era una ragazza difficile, come un compito di prima elementare.

– Spiacente. Devo consegnarle alla signorina Weld in persona.

– Ve l'ho detto, sta facendo il bagno.

– Aspettero.

– Siete proprio sicuro di avere quelle foto, amigo?

– Sicurissimo. Perche?

– Il vostro nome? – la sua voce svani, all'ultima parola, come una piuma che si innalza, presa da un vortice improvviso di vento. Poi tubo, indugio, si alzo e gorgheggio; l'invito silenzioso di un sorriso le rialzo delicatamente gli angoli della bocca, molto adagio, come un bimbo che cerca di raccogliere un bioccolo di neve.

– Il vostro ultimo film era meraviglioso, signorina Gonzales.

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