Un sorriso, rapido come un lampo, le muto completamente il viso. Il corpo si eresse, vibrante di soddisfazione.
– Ma era uno schifo – replico, con aria radiosa. – Assolutamente. Un maledetto schifo, mio caro e amabile giovanotto. E voi lo sapete benissimo, che era uno schifosissimo schifo.
– Nessun film e uno schifo, per me, quando ci lavorate voi, signorina Gonzales.
Lei si scosto dalla soglia e mi fece segno di entrare.
– Beviamo qualcosa – mi disse. – Sicuro, venite, beviamo qualcosa.
Io adoro l'adulazione, per quanto disonesta.
Entrai. Una pistola nelle reni non mi avrebbe affatto sorpreso. La ragazza si mise in modo che, per varcare la soglia, dovetti praticamente spinger da parte le sue ghiandole mammarie. Aveva un profumo che ricordava un bosco sacro indiano, al chiaro di luna. Richiuse l'uscio e si accosto a un piccolo bar portatile, quasi a passo di danza.
– Whisky scozzese. O preferite un cocktail? Io so preparare un Martini, perfettamente disgustoso.
– Il whisky va benissimo, grazie.
Preparo due beveraggi in un paio di bicchieri che avrebbero quasi potuto servire da portaombrelli. Mi sedetti su una poltrona ricoperta di chintz e mi guardai attorno. Era un locale all'antica. C'era un caminetto falso, con i ceppi che nascondevano una stufa a gas e la mensola di marmo, qualche crepa nell'intonaco, un paio di 'croste' vigorosamente colorate, abbastanza repellenti per esser costate un occhio, e uno Steinway intagliato che, per una volta tanto, non era adorno di uno scialle spagnolo. Una quantita di libri, dall'aria nuova e dalle copertine vivaci, erano sparpagliati per la stanza e una doppietta, dal calcio elegantemente lavorato, era appoggiata in un angolo con un nastro di raso bianco annodato intorno alle canne. Spirito hollywoodiano.
La dama bruna in pantaloni mi porse il bicchiere e si appollaio sul bracciolo della mia poltrona.
– Vi permetto di chiamarmi Dolores, se volete – disse bevendo una generosa sorsata di liquore.
– Grazie.
– E io, come devo chiamarvi?
Sorrisi, senza rispondere.
– Naturalmente – continuo lei – so benissimo che siete un bugiardo matricolato, e che non avete nessuna foto in saccoccia. Non che io desideri ficcare il naso negli affari vostri, senza dubbio privatissimi.
– Davvero? – buttai giu quattro dita di liquore. – Che specie di bagno sta facendo, la signorina Weld? Un bagno all'antica, con l'acqua e il sapone, o un'abluzione complicata, con essenze orientali?
Lei agito quel che rimaneva della sigaretta bruna, stretta nelle molle d'oro.
– Forse vi farebbe piacere aiutarla. Il bagno e da quella parte… A destra, dopo l'arco. Molto probabilmente la porta non e chiusa a chiave.
– Se e cosi facile non ci tengo.
– Oh – la ragazza mi fece di nuovo omaggio del suo sorriso radioso.
– Vi piacciono le cose difficili, nella vita. Devo ricordarmi di essere meno abbordabile, vero? – Si alzo elegantemente dal bracciolo della mia poltrona e spense la sigaretta, chinandosi profondamente in modo da farmi notare la linea dei fianchi.
– Non vi disturbate, signorina Gonzales. Sono venuto qui solo per affari. Non ho intenzione di violentare nessuno.
– No? – Il sorriso divenne morbido, pigro, e, se non riuscite a trovare una parola migliore, provocante.
– Pero sto cominciando a pensare che non sarebbe una cattiva idea.
– Siete una canaglia molto divertente – dichiaro la ragazza scrollando le spalle, e se ne ando, attraverso l'arco, portando con se il suo mezzo litro di whisky e acqua. Sentii bussare gentilmente a un uscio, e poi la sua voce.
– Gioia, c'e qui un giovanotto che ti ha portato alcuni ritratti, dallo studio. Cosi dice. Muy simpatico. Muy guapo, tambien. Con cojones.
Una voce, che avevo gia udita, ordino aspramente.
– Sta zitta, cagnetta. Tra un secondo arrivo.
La Gonzales ricomparve, sotto l'arco, canticchiando a bocca chiusa. Aveva finito il whisky e torno al bar.
– Ma voi non bevete! – esclamo, guardando il mio bicchiere.
– Ho gia cenato. E in ogni caso il mio stomaco tiene solo due litri. So un po' di spagnolo.
Lei getto indietro la testa.
– Siete scandalizzato? – Roteo gli occhi, poi mosse le spalle, in una curiosa figura di danza.
– Non e facile scandalizzarmi.
– Ma avete capito quel che ho detto? Madre de Dios! Sono desolatissima!
– L'avrei scommesso.
Lei termino di prepararsi un altro whisky e soda.
– Si, sono desolatissima – sospiro. – Cioe, credo di esserlo. A volte non ne sono tanto sicura. A volte non me ne frega niente di niente. E cosi imbarazzante. Gli amici mi dicono che sono sboccata. Vi scandalizzo, vero?
Si era appollaiata di nuovo sulla mia poltrona.
– No. Ma se volessi scandalizzarmi saprei dove venire.
La ragazza aveva deposto il bicchiere alle sue spalle, con indolenza, e si era chinata verso di me.
– Ma io non abito qui – m'informo. – Abito al Chateau Bercy.
– Sola?
Mi diede uno schiaffetto delicato, sulla punta del naso. Un secondo dopo l'avevo in grembo che cercava di mordermi via un pezzo di lingua.
– Siete un'adorabile canaglia – mormoro.
Aveva una bocca come non ne avevo provate mai. Le labbra bruciavano, come ghiaccio secco. Premeva la lingua forte contro i miei denti. I suoi occhi mi parevano neri, enormi, e il bianco risaltava, sotto le iridi.
– Sono tanto stanca – mi alito in bocca. – Sono cosi sfinita, cosi incredibilmente affranta.
Sentii la sua mano nel taschino interno della giacca. La spinsi indietro duramente, ma mi aveva gia preso il portafogli. Si allontano a passo di danza, ridendo, col portafogli in mano, poi l'aperse di scatto e ne fece passare il contenuto fra le dita che scattavano come piccole serpi.
– Lietissima che abbiate gia fatto conoscenza – disse una voce fredda, di fianco a noi.
Mavis Weld era apparsa sotto l'arco.
Non si era presa il disturbo di truccarsi e aveva appena ravviato la capigliatura rigonfia. Portava una elegantissima vestaglia, e ben poco d'altro.
Ai piedi aveva un paio di pantofoline verdi e argento. Gli occhi erano vuoti, le labbra sdegnose. Ma era indubbiamente la stessa ragazza, occhiali neri o non occhiali neri.
La Gonzales le lar.cio un'occhiata rapida, chiuse il mio portafogli e me lo getto. L'afferrai al volo e lo rimisi in tasca. La bruna si avvicino pigramente a un tavolo, raccolse una borsa nera con una lunga cinghia, se la mise a tracolla e si incammino verso la porta.
Mavis Weld non si mosse, non la guardo. Guardo me, invece. Ma nel suo viso non c'era la minima espressione. La Gonzales aperse l'uscio, diede un'occhiata fuori e torno a richiuderlo.
– Si chiama Philip Marlowe – annunzio. – Carino, vero?
– Non sapevo che ti scomodassi a domandare come si chiamano – osservo Mavis Weld. – Ben di rado frequenti gli uomini abbastanza a lungo per poterlo fare.
– Capisco – rispose l'altra con gentilezza. Si volto e mi sorrise. – Un modo molto grazioso per dar della sgualdrina a una ragazza, non vi pare?
Mavis Weld non disse nulla. Il suo viso pareva di marmo.
– Se non altro – continuo la Gonzales mentre tornava ad aprire la porta, – io non sono andata a letto con nessun sicario, in questi ultimi tempi.
– Sei sicura di ricordartene? – chiese Mavis Weld, esattamente nello stesso tono. – Apri la porta, gioia. Oggi e il giorno che mettiamo fuori l'immondizia.
La Gonzales si volto e le rivolse uno sguardo lento, sicuro, che pareva una coltellata. Poi emise un rumorino soffocato, schioccando le labbra e spalanco l'uscio. Un istante dopo il battente si richiudeva, con un rumore assordante. Il fracasso non sposto d'un millimetro lo sguardo azzurro, duro, ostinato di Mavis Weld.
– E ora, che ne direste di fare altrettanto,… ma con piu garbo? – mi domando.