Trassi di tasca il fazzoletto e mi ripulii il viso dal rossetto. Aveva esattamente il colore del sangue, del sangue fresco.

– Puo capitare a tutti – spiegai. – Non ero io a pomiciarla. Era lei a pomiciare me.

La ragazza ando alla porta con passo deciso, e la spalanco.

– Fuori di qui, prigioniero del sogno. Cercate d'andarvene coi vostri piedi.

– Sono venuto per affari, signorina Weld.

– Gia. Me l'immaginavo. Fuori. Non vi conosco e non voglio conoscervi. E se anche ne avessi voglia questo non sarebbe il momento adatto.

– L'ora, il luogo e l'essere amato non si trovano mai insieme – citai.

– Che roba e?

Cerco di cacciarmi via con un gesto altero del mento, ma neppure lei era all'altezza di tanto.

– Browning – spiegai. – Il poeta, non l'automatica. Sono certo che voi preferireste l'automatica.

– Sentite un po', buon uomo, devo chiamare il direttore dello stabile per farvi buttar fuori a pedate?

Le andai vicino e chiusi l'uscio con una spinta. Lei tenne, fino all'ultimo.

Non arrivo a darmi un calcio in uno stinco, ma le costo uno sforzo non farlo. Cercai di indurla ad allontanarsi dalla porta, senza averne l'aria. Lei non si lascio indurre a un bel niente. Mantenne le sue posizioni, con una mano sempre pronta per la maniglia e gli occhi grevi di collera azzurra.

– Se avete intenzione di starmi cosi vicina forse vi conviene vestirvi un po' – consigliai.

Lei porto indietro una mano e mi colpi duramente. Lo schiaffo risono come la porta sbattuta dalla signorina Gonzales, ma mi fece male. E mi ricordo che avevo un punto indolenzito, sulla nuca.

– Vi ho fatto male? – mi chiese Mavis Weld a bassa voce.

Accennai di si.

– Magnifico. – Porto indietro la mano, e mi schiaffeggio di nuovo, piu forte, se possibile. – Credo che vi convenga baciarmi – alito. I suoi occhi erano chiari, limpidi, arrendevoli. Abbassai lo sguardo, distrattamente.

La sua mano destra era stretta in un pugno dall'aria molto decisa. E non era nemmeno un pugno troppo piccolo da non far effetto.

– Credetemi, c'e una sola ragione per cui non vi bacio – affermai. – E non vi bacerei, nemmeno se aveste in mano la vostra solita rivoltellina nera. O il 'pugno di ferro' che certo tenete sul comodino.

Mavis Weld sorrise educatamente.

– Potrebbe persino darsi che io stessi lavorando per voi – soggiunsi.

– Inoltre non corro dietro a ogni paio di gambe che vedo. – Guardai giu, verso le sue gambe. Le potevo vedere senza nessuna difficolta. Erano splendide. Anche dove non si chiamavano piu gambe. Lei riuni le falde della vestaglia, si volto e ando verso il bar, tentennando il capo.

– Sono libera, bianca e maggiorenne – dichiaro. – Ho provato tutti i sistemi d'approccio esistenti. Credo proprio di si. Ma se non riesco a spaventarvi, a umiliarvi e a sedurvi si puo sapere con che cosa vi posso comprare?

– Ebbene…

– Non me lo dite – si interruppe di scatto e si volto, con un bicchiere in mano. Bevve, scosse i capelli sciolti e mi sorrise: un sorriso breve, fragile. – Quattrini naturalmente. Che stupida a non averci pensato.

– I quattrini potrebbero servire – concessi.

La bocca le si contrasse dal disgusto ma la sua voce divenne quasi affettuosa.

– Quanto?

– Cento dollari, potrebbero andare, come inizio.

– Siete a buon mercato. Siete un piccolo mascalzone a buon mercato, eh? Cento dollari, d'accordo. Sono danaro, nel vostro ambiente, cento dollari, tesoro?

– Fate duecento, allora. Con una somma simile mi potrei ritirare a vita privata.

– Sempre a buon mercato. Ogni settimana, naturalmente. In una bella busta pulita?

– Potete lasciar stare la busta. Non farei che sporcarla.

– E cosa otterrei io, in cambio dei quattrini, mio caro e affascinante piedipiatti? So benissimo chi siete, naturalmente.

– Otterrete una ricevuta. Chi vi ha detto che sono un piedipiatti?

Per un istante mi fisso, come se guardasse fuori dai suoi stessi occhi, poi riprese a recitare.

– Dev'esser stata la puzza.

Sorseggio la sua bibita e mi guardo da capo a piedi con una vaga aria di disprezzo.

– Comincio a credere che vi scriviate da sola le battute – dissi. – Fino a questo momento mi son chiesto come mai il dialogo era tanto barboso.

Mi scostai di scatto. Alcune gocce mi spruzzarono. Il bicchiere ando in frantumi contro il muro, alle mie spalle. I pezzi caddero, senza rumore.

– E con questo – disse Mavis Weld, perfettamente tranquilla, – ho completamente esaurito le mie riserve di fascino. Andai a prendere il cappello.

– Non ho mai pensato che foste stata voi, a ucciderlo – dichiarai. – Pero potrebbe tornarmi utile una ragione qualsiasi per non dire a nessuno che eravate la. Puo servirmi a ricevere abbastanza danaro per una caparra, tanto per avere una posizione ufficiale. Nonche una certa quantita d'informazioni, per giustificare il fatto che ho accettato la caparra.

Mavis Weld prese una sigaretta da una scatola, la getto in aria, l'afferro, con le labbra, senza sforzo e l'accese con un cerino che pareva esser sorto dal nulla.

– Oh, santa pazienza, si sospetta che io abbia assassinato qualcuno? – domando. Avevo ancora il cappello in mano, e la cosa mi fece sentire molto stupido. Chissa perche. Me lo calcai in testa e mi avviai alla porta.

– Spero che abbiate gli spiccioli del tram per tornare a casa – mormoro la sua voce sprezzante, alle mie spalle.

Non risposi, e proseguii la mia via. Quando ebbi aperto l'uscio Mavis Weld soggiunse:

– Spero, inoltre, che la signorina Gonzales vi abbia dato il suo indirizzo e il numero di telefono. Dovreste riuscire a ottenere praticamente tutto, da lei… danaro compreso, a quanto mi si dice.

Lasciai andare la maniglia di scatto e tornai rapidamente sui miei passi.

Lei rimase ferma, sulle sue posizioni. Anche il suo sorriso non si sposto d'un millimetro.

– Datemi retta – l'apostrofai. – So che farete una fatica tremenda, a credermi… Ma io sono venuto qui con la strana idea che voi foste una ragazza che aveva bisogno d'aiuto… e avrebbe avuto molte difficolta a trovare qualcuno sul quale fare affidamento. Avevo immaginato che foste andata in quella camera d'albergo per pagare il prezzo d'un ricatto o qualcosa di simile. Il fatto che ci siate andata da sola, poi, correndo il rischio di venir riconosciuta… e siete stata riconosciuta, infatti, dal poliziotto dell'albergo, un individuo che, moralmente, e dritto come un ramo di vite… tutto mi ha fatto pensare che vi trovaste in una di quelle grane stile Hollywood, che finiscono una persona, senza via di scampo. Ma voi non siete in una grana.

Voi siete nel bel mezzo del palcoscenico, sotto il riflettore, a ripetere tutte le guitterie trite e ritrite che avete usato nei film di second'ordine in cui avete recitato… se il vostro si chiama recitare.

– Tacete! – sibilo lei, stringendo i denti fino a farli stridere. – Tacete, sporco ricattatore, lurido spione…

– Non avete bisogno di me – continuai. – Non avete bisogno di nessuno. Siete cosi maledettamente abile che a forza di chiacchiere riuscireste a uscire da una cassetta di sicurezza. E va bene. Tiratevi fuori a forza di chiacchiere. Io non ve l'impedisco. Basta che non mi costringiate ad ascoltarvi. Scoppierei in lacrime, al pensiero che una povera ragazzina ingenua, alta un soldo di cacio puo essere cosi intelligente. Voi mi commuovete, dolcezza. Proprio come Margaret O' Brien.

Lei non si mosse, non fiato nemmeno quando andai alla porta, nemmeno quando l'apersi. Non so perche. La mia tirata non era efficace fino a quel punto.

Scesi le scale, attraversai il cortile, e, uscendo dal portone per poco non cozzai contro un ometto snello, dagli occhi neri, che si era fermato ad accendere una sigaretta.

– Scusatemi – dissi con calma – temo di impedirvi la via.

Feci per girargli attorno, poi mi accorsi che nella destra alzata stringeva una chiave. Allungai una zampa e senza nessuna ragione al mondo gli feci saltare la chiave di mano. Guardai il numero che vi era inciso. N° 14.

L'appartamento di Mavis Weld. La gettai via, dietro una macchia di cespugli.

– Non vi occorre – dissi. – La porta non e chiusa.

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